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Il castelmagno, prezioso come l’oro

Scopri il Castelmagno, formaggio delle Alpi Marittime, apprezzato per la sua storia, sapore unico e qualità artigianale.

Beppe Malò
Il castelmagno, prezioso come l’oro

Il formaggio Castelmagno deve il suo nome all’omonimo comune della Valle Grana, nel territorio delle Alpi Marittime cuneesi dove viene prodotto da tempo immemorabile.

Il primo documento ufficiale che ne attesta la produzione, le qualità e l’apprezzamento risale al 1227 ed è una sentenza di arbitrato – oggi potremmo definirla un parere del Giudice di pace – relativo al valore dell’usufrutto di alcuni pascoli registrati nella zona di confine tra i comuni di Castelmagno e Celle Macra.

Oggetto del contendere, tra il Comune di Castelmagno e il Marchese di Saluzzo, era la richiesta da parte di quest’ultimo di ottenere un pagamento per il diritto di utilizzo delle terre e dei relativi pascoli. In sede di giudizio il Comune di Castelmagno ebbe la peggio e, per gli anni a venire, dovette pagare al Marchese di Saluzzo un canone annuo sotto forma di un congruo numero di forme di formaggio locale.

Pur in carenza di accreditate fonti storiche, è lecito supporre che il Castelmagno fosse apprezzatissimo protagonista delle mense già 400 anni prima, quando Carlo Magno attraverso le Alpi per portare soccorso al Papa nella lotta contro i nemici del Cristianesimo. Si narra infatti che l’Imperatore, ospite alla mensa del vescovo di Saluzzo, si accostò con una certa diffidenza “a quel grosso cacio color del sacco”. Una volta assaggiato però l’Imperatore apprezzò a tal punto quel formaggio “straordinario e misterioso” che ogni anno spediva alla sede imperiale di Aquisgrana un’adeguata quantità di Castelmagno.

castelmango

Sulla scorta anche di queste antiche attestazioni, il Castelmagno venne molto apprezzato alla Corte Sabauda nel XVIII Secolo. Poi, il formaggio di Castelmagno ebbe una diffusione prevalentemente locale almeno sino agli anni Settanta del Novecento. Nel decennio successivo ha poi iniziato un cammino inarrestabile nella letteratura casearia sino ad affermarsi, ormai da anni, come uno dei formaggi italiani di maggior pregio per la personalità, il profilo sensoriale, la rarità del prodotto (che resta un’esperienza di nicchia che vede la sua alta stagione nell’ultimo quadrimestre dell’anno), una disponibilità molto contenuta e una qualità garantita dal Consorzio di produzione, da un disciplinare molto severo e dalle due sole varianti disponibili: quella di alpeggio e quella stanziale.

Un prodotto molto prezioso

Questo formaggio è oggi una delle materie prime più ricercate e apprezzate anche dalla gastronomia internazionale che ne gradisce la versatilità insieme con le innate qualità di un

prodotto unico. Dal 1982 il formaggio Castelmagno è un prodotto a denominazione d’origine e, in base alla normativa europea, dal luglio 1996 è una Denominazione di Origine Protetta: una duplice garanzia dell’unicità della zona di produzione che comprende tre soli comuni: Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana. La fortuna e il segreto del Castelmagno e del suo sapore unico e irripetibile stanno soprattutto nel permanere della sua produzione solo nella dimensione artigianale che nulla ha concesso al processo di industrializzazione e standardizzazione del prodotto.

Tra i formaggi erborinati del Nord Italia, il Castelmagno Dop è tra quelli con la storia più antica e affascinante. Nasce nelle montagne del cuneese e conquista da subito le cucine nazionali ed europee con il suo sapore intenso e tendente al piccante. È un formaggio a pasta semidura, appartenente alla categoria dei cosiddetti formaggi a pasta blu o erborinati. Con questa denominazione si indicano i formaggi caratterizzati dalla presenza di muffe del genere Penicillium, che conferiscono alla pasta le venature dal colore naturale tendente al verde e al blu. 

Il Castelmagno viene prodotto con latte vaccino, addizionato con quello ovino o caprino, questi ultimi con percentuali ben determinate: da un minimo del 5% a un massimo del 20%.

Il latte del Castelmagno proviene dall’unione di due mungiture e il primo siero viene conservato a basse temperature e scremato. La coagulazione, quindi, viene effettuata utilizzando il caglio animale e riscaldando il latte fino a circa 38°.

Nella lavorazione del formaggio, un ruolo fondamentale ha il procedimento di estrazione della cagliata che, rotta fino a raggiungere la dimensione di un chicco di mais, viene lasciata a riposare, in grandi pezzi, nel siero della lavorazione dei giorni precedenti.

Una volta estratta, la cagliata viene salata e posta in celle fresche con alto tasso di umidità per una stagionatura di almeno due mesi.

castelmagno

I caratteri merceologici e organolettici

Il formaggio si presenta al consumatore in forma cilindrica, con un diametro tra i 15 e i 25 cm, un’altezza tra i 12 e i 20 cm e un peso che va dai 2 ai 7 kg. La crosta è sottile e rugosa e ha un colore giallo, tendente al rossastro, via via più scura in base al tempo di stagionatura. La pasta, semidura, è friabile, priva di occhiature e di colore bianco tendente all’ocra. Inoltre, presenta delle venature di colore verdeblu, prodotte dallo sviluppo naturale delle speciali muffe che contraddistinguono i formaggi erborinati.

Il Castelmagno Dop ha un sapore che varia d’intensità, da un sentore più delicato a uno più piccante, man mano che aumenta il periodo di stagionatura che mediamente si protrae da sette mesi a un anno, eccezionalmente anche due.

In base alla quota altimetrica di pascolo si ottengono due tipologie di Castelmagno: quello, con etichetta blu, che viene prodotto nel territorio montano (Castelmagno di montagna) e quello d’Alpeggio, con etichetta verde, che viene prodotto a una quota superiore ai mille metri.

Il Castelmagno non è un semplice prodotto caseario. In esso sono memorizzate tradizioni, cultura, storia e conoscenze; prendendo le mosse dalla Val Grana, continuano a rendere unico e popolare nel mondo il paese e la vallata. Alla fine degli anni Ottanta i produttori di Castelmagno Dop del comune omonimo erano una decina o poco più. Oggi, ne sono rimasti due stanziali, che producono tutto l’anno e quattro che operano solo nel periodo estivo producendo il Castelmagno d’alpeggio.

Di questi quattro, due si fregiano in aggiunta del marchio di “Presidio Slow Food”.

Le caratteristiche nutrizionali

Il Castelmagno Dop è un formaggio molto nutriente. Come tutti gli erborinati con muffe del genere Penicillium questo formaggio ha un effetto positivo sulla flora batterica intestinale e contribuisce attivamente a mantenere equilibrato il macrobiota umano da cui dipende il nostro sistema immunitario. Il Castelmagno, quindi, oltre a essere un alimento buono e ricco di gusto, è anche salutare. “In questo momento – spiega il vicepresidente del Consorzio di certificazione e tutela Marco Arneodo – siamo rimasti in pochissimi a portare avanti la produzione del Castelmagno.

Un tempo vi erano 5 famiglie, oltre 10 persone, che lavoravano stabilmente alla produzione del formaggio. Oggi possiamo contarci sulle dita di una mano. La produzione locale è di circa 3.000 forme all’anno che sono destinate alla vendita diretta ai negozi locali, ai ristoratori e ai grossisti che salgono dalla pianura. Strano a dirsi, ma oggi che il prodotto si è affermato guadagnando grande apprezzamento, la produzione è in calo. La ragione sta nel fatto che tale attività impone moltissimi sacrifici: si lavora ogni giorno duramente in stalla, nel laboratorio di produzione e nella cantina di stagionatura”.

Il formaggio Castelmagno, in sintesi, è un erborinato che racchiude in sé il profumo dei pascoli, di montagna e quelli della Valle più alta e rappresenta un perfetto esempio di “arte casearia”.

Tuttavia, come tutti i prodotti di nicchia, anche il Castelmagno non può dormire sonni tranquilli. A fronte delle straordinarie caratteristiche del prodotto e dei paletti posti dal disciplinare a tutela della qualità e della filiera, infatti, bisogna ricordare che poche sono le nicchie che non sono influenzate da rischi o problemi. L’incognita, in questo caso, è rappresentata dalla progressiva erosione del numero degli addetti e dei produttori.Una variabile, anzi un fattore di rischio, che va seriamente valutata.

Per alcuni versi la situazione ricorda quella del Murazzano Dop, altro eccellente prodotto – per quanto agli antipodi organolettici del Castelmagno – oggi ottenuto da pochissimi artigiani.

La soluzione può arrivare solo attraverso valutazioni e progetti in grado di trovare l’equilibrio tra la dimensione, la filosofia di nicchia e la remunerazione degli elementi di filiera. E qui ci si avvicina al concetto di sostenibilità che oggi viene citato in modo esagerato e poco efficace: dimenticando spesso che la sostenibilità non è solo ambientale, ma anche sociale, culturale e soprattutto economica.

Lunga vita, dunque, al Castelmagno e alle sue forme: che possano prosperare e testimoniare sempre quel tesoro di sapere antico e di tradizioni secolari, quell’alchimia che lega un territorio ai suoi prodotti così preziosi e irripetibili.

castelmagno

Il castelmagno in cucina

Abbiamo già detto della spiccata versatilità del Castelmagno. Si tratta di un prodotto che in cucina si trova particolarmente bene sia quando venga servito a fine pasto (anche in alternativa a un secondo piatto), sia quando venga utilizzato come ingrediente.

La prima considerazione da fare è che ci si trova fronte a un formaggio di alto lignaggio e struttura. Si eviti dunque di puntare su effetti speciali o di complicare la semplicità del suo

essere. Il primo comandamento è quindi la semplicità e il rispetto per il Castelmagno.

Servito come formaggio, basterà proporgli la compagnia di un semplice filo di miele o di un cucchiaio di cognà. Non ripetiamo l’errore di Carlo Magno che, sulle prime, volle limitarsi a degustarne solo la pasta bianca. Assaggiata la pasta più vicina alla crosta – dice la leggenda – non poté più fare a meno di una congrua scorta di forme di Castelmagno. Volendo esagerare un po’, provate a spanderne un po’ della sua pasta bianca su una bella battuta di Fassone.

In crema o fonduta il Castelmagno è altrettanto strepitoso. L’esempio più classico è quello degli gnocchi al Castelmagno, abbinamento tutto sommato recente, ma davvero speciale.

Attenti agli gnocchi però! Per essere all’altezza della situazione dovranno essere “veraci”, niente buste del supermercato anche se griffate da marchi roboanti. È davvero ottimo anche l’abbinamento con il riso, anche in questo caso di ottima qualità.

D’inverno è da provare la crema di Castelmagno, bollente, spalmata sui crostoni di polenta arroventata sulla stufa oppure al forno.

E il vino? Il migliore che avete in cantina ovviamente. Purché robusto e generoso, strizzando l’occhio a un passito coraggioso o a un Nebbiolo, sia Barbaresco che Barolo, di bella struttura e affinamento.

Articolo scritto da Beppe Malò
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