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Moscato d’Asti, un brindisi infinito

Il Moscato d’Asti: un viaggio tra colline piemontesi, dolcezza e fragranze uniche, simbolo di festa e convivialità.

Giancarlo Montaldo
Moscato d’Asti, un brindisi infinito

C’è un mare di colline che caratterizza la zona d’origine del Moscato d’Asti, un mare grande, 51 paesi tra le province di Cuneo, Asti e Alessandria, nel cuore del Piemonte. Su questo “mare di terra” è il vitigno Moscato che caratterizza la produzione e genera un vino dolce, non stucchevole, con quella fragranza infinita che cattura gli occhi, il naso e la bocca.

Chi pensa che un vino così sia frutto della casualità è fuori strada. Sono i “fattori della produzione” a generare i caratteri del Moscato d’Asti: il colore giallo dorato che richiama le tinte del grappolo maturo, dove l’oro domina il verde e il giallo paglierino.

C’è poi la complessità olfattiva, un avvicendarsi di sentori aromatici e fragranti: i primi richiamano l’uva matura, gli altri raccontano la pesca gialla, la rosa, il miele, i fiori di tiglio, d’acacia e di glicine fino ai frutti appassiti o canditi nei vini più evoluti.

La bocca prepara ai piacevoli sentori dolci, sempre con la fragranza dettata dalla bella acidità che con la dolcezza innesca una sana competizione che porta a provare, riprovare e tornare a degustare all’infinito.

Anche per questo il Moscato d’Asti è il “vino della festa e della convivialità”, quando il pasto è concluso e viene meno lo stimolo ancestrale della fame oppure quando – a ogni ora del giorno – c’è bisogno di un attimo di tregua nella routine quotidiana.

È la voglia di brindare e ritrovare la festa che fa stappare una bottiglia di Moscato d’Asti e versarla nel calice per celebrare la vita.

 Sopra le colline un cielo speciale

Torniamo ai “fattori della produzione”: abbiamo detto delle colline alla destra del Tanaro. Da 52 che erano oggi i paesi sono diventati 51 per via dell’unione tra il piccolo Camo e il più grande Santo Stefano Belbo. Non tutti sono alla destra del fiume: Santa Vittoria d’Alba è alla sinistra per una tradizione consolidata, avviata a inizio Novecento dalla presenza in quel paese della Cinzano.

Queste colline costituiscono tuttora un ampio territorio che percorre in direzione ovest-est la realtà piemontese nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria.

Sovente sono colline in posizione elevata rispetto al livello del mare e questo favorisce la buona sinergia tra la dolcezza e la fragranza. Sono colline di terre bianche, ricche di calcare, talvolta permeate da infiltrazioni argillose o sabbiose.

Qui il vitigno è il Moscato bianco, che la tradizione declina anche come “di Canelli”. Predilige a ragione le colline dove il clima sa condizionare le varie stagioni in un susseguirsi di ritmi atmosferici che accompagnano le vicende di un anno. Questo clima qui generalmente è detto “freddo-temperato” grazie a inverni rigidi e nevosi, primavere fresche e capricciose, estati calde e luminose. Infine, arriva l’autunno, di solito mite, spesso alternato tra piogge, nebbie e giornate di sereno e accompagna le foglie che dal verde virano al giallo prima di cadere ai piedi della pianta e ricordare la caducità del tempo.

Il Moscato, sia uva che vino, cerca la tecnica e la tecnologia, predilige i tempi precisi di lavorazione, ama il freddo e la pulizia, sa che il rispetto dell’origine è fondamentale per generare profumi e sapori affascinanti. Potreste obiettare che ogni vino ha queste pretese o aspettative, ma per il Moscato d’Asti lo è di più. L’improvvisazione e la mediocrità appiattirebbero ogni cosa, rendendo banale le bontà assolute che nascono da fasi produttive compiute nei tempi giusti e con profonda precisione.

Un bisogno così esplicito di rigore introduce l’ultimo fattore, quello umano: il viticoltore, il tecnico, il cantiniere così come gli addetti al mercato e all’immagine. Tutti debbono essere preparati, ma anche intuitivi, puntigliosi e perseveranti. Sono “uomini” fondamentali perché guidano i processi produttivi, interpretano i caratteri della vigna traducendoli nell’uva e nel vino. Il Moscato d’Asti ha bisogno dell’uomo “artigiano”, quello che sa plasmare con le mani e il suo modo di fare le percezioni del cuore e dell’intelletto.

Il cammino della denominazione di origine

Dopo il riconoscimento come “Vino Tipico di Pregio” degli anni Trenta del Novecento, è stato il Decreto del Presidente della Repubblica Italiana 9 luglio 1967 ad attribuire la denominazione di origine controllata al Moscato d’Asti. Ventisei anni dopo, il 29 novembre 1993, un altro decreto, stavolta del Ministero per l’Agricoltura, traghettava lo stesso vino dalla Doc alla Docg.

Tutti i riconoscimenti hanno visto il Moscato d’Asti condividere il suo status con l’Asti Spumante e con questa sinergia, il Moscato d’Asti ha condiviso con l’Asti non solo la zona e il vitigno, ma anche il cammino produttivo e l’organizzazione, non sempre consolidando i risultati in stretta coordinazione.

D’altro canto, condividere il tragitto con un fratello maggiore così ingombrante come l’Asti poteva essere un problema. Soprattutto nei primi anni della Doc e per l’ultima parte del XX secolo, la condivisione degli spazi, concreti e virtuali, non è stata facile, perché c’erano oggettive differenze che complicavano la coesistenza: da un lato, l’Asti è da sempre il vino dei grandi marchi, delle strutture aziendali importanti o delle realtà cooperative; solo le cooperative univano il vigneto alla cantina. Dall’altro lato, il Moscato d’Asti è rimasto a lungo il vino delle piccole strutture artigianali, soprattutto agricole, dove il vigneto e la cantina erano due facce della stessa realtà produttiva.

Anche il dialogo con il mercato e il consumo ha utilizzato stili e strumenti differenti: se l’Asti Spumante ha spesso rinunciato a parlare con il consumatore, soprattutto locale, concentrando i suoi messaggi nel periodo delle feste di fine anno, il Moscato d’Asti invece ha dialogato con il consumatore spesso e tutto l’anno, generando un rapporto di complicità che ha gratificato un po’ tutti.

Moscato d'Asti

Lo sviluppo del Moscato d’Asti

Premesso che nella zona di origine il vigneto di Moscato è uno solo, sia che si voglia produrre Asti o Moscato d’Asti, dopo ogni vendemmia spetta al viticoltore – in un dialogo stretto con chi vinifica – decidere se rivendicare l’uno o l’altro dei due vini. Capita sovente che rivendichi Moscato per Moscato d’Asti, perché anche successivamente si può scegliere in cantina una destinazione diversa rispetto a quella maturata con la denuncia di produzione.

Analizzando i dati della superficie rivendicata annata per annata, si desume che il potenziale produttivo delle due tipologie è gradatamente cresciuto: dai 6.800 ettari dei primi anni Ottanta alla situazione odierna che oscilla tra i 9 e i 10 mila ettari di vigneto. Per esempio, il dato di rivendicazione dell’annata 2021 è stato di 9.713 ettari.

Nella medesima vendemmia, la produzione effettiva globale tra Moscato d’Asti e Asti Spumante è stata di 715.976 ettolitri di vino, con altri 84.087 ettolitri di “Riserva vendemmiale”. Dal momento che anche la “Riserva” è stata interamente sbloccata, le bottiglie potenziali del 2021 sono state 106.675.259.

Ma come si è comportato nel tempo il Moscato d’Asti nel suo rapporto con mercato e consumo?

Risale al 1994 il primo dato disponibile diramato dal Consorzio dell’Asti: quell’anno sono state vendute circa 2.400.000 bottiglie di Moscato d’Asti. I numeri sono cresciuti negli anni successivi: nel 2000 le bottiglie vendute erano salite a 4.900.000 pezzi per incrementare ancora nel 2005 toccando la quota di 7.400.000 bottiglie.

I numeri si sono ulteriormente potenziati dal 2006 (9.371.000 bottiglie), con una crescita sempre più consistente fino a raggiungere 19.894.000 bottiglie nel 2010, 29.481.000 nel 2015, 38.170.000 nel 2020 e 42.023.000 nel 2021.

Ovviamente, una crescita così decisa delle bottiglie di Moscato d’Asti ha comportato un parziale arretramento di quelle dell’Asti, che nel 2021 si sono attestate su 60.133.000 bottiglie, una quota distante per esempio dalle 81.929.000 bottiglie del 2011.

Ma quali sono state le aziende che hanno favorito l’exploit del Moscato d’Asti? Solo i produttori artigiani o anche altri?

I produttori artigiani da soli non potevano generare uno sviluppo di questo tipo, ma sono intervenute anche realtà industriali che, dall’uso quasi esclusivo della tipologia Asti, sono passate a un crescente utilizzo della tipologia Moscato d’Asti.

Viene da chiedersi se questo aumento di produzione del Moscato d’Asti abbia influenzato la qualità del prodotto. Ciò che possiamo dire è che la qualità dei vini dei “produttori artigiani” è rimasta costante, mentre qualche dubbio viene dai volumi di mercato di altri players, tanti imbottigliatori e non sempre italiani.

Per certi versi sembra assodato come anno per anno il livello qualitativo globale del Moscato d’Asti si sia consolidato; tuttavia, i grandi volumi e i prezzi obbligatoriamente contenuti destano qualche perplessità per il loro livello di qualità e piacevolezza.

Le regole della produzione

A questo punto vediamo le regole di produzione del Moscato d’Asti con riferimento al disciplinare più recente, modificato con Decreto 21 dicembre 2021. Di tipologie (Art. 1) il Moscato d’Asti ne propone due: Moscato d’Asti e Moscato d’Asti Vendemmia Tardiva.

L’Art. 1 individua anche le “Sottozone”: “Canelli”, riservata al Moscato d’Asti e in procinto di diventare Docg a sé stante; “Santa Vittoria d’Alba” e “Strevi”, utilizzabili sia per il Moscato d’Asti che per l’Asti.

La base ampelografica (Art. 2) è costituita dal Moscato bianco almeno al 97% con il possibile inserimento del 3% di altri vitigni a bacca bianca aromatici idonei alla coltivazione in Piemonte. Della zona di origine delle uve (Art. 3) abbiamo già detto.

Moscato d'Asti

Veniamo alle regole in vigneto (Art.4). I vigneti di nuova costituzione debbono prevedere almeno 4.000 piante per ettaro. La resa massima a ettaro è stabilita in 10.000 chilogrammi

di uva per il Moscato d’Asti e 6.000 per il Moscato d’Asti Vendemmia Tardiva. L’appassimento delle uve per tale tipologia può avvenire in pianta o in locali idonei. Nelle annate particolarmente favorevoli, la Regione Piemonte, su proposta del Consorzio di Tutela e sentite le rappresentanze della filiera, può aumentare – limitatamente alle tipologie “Asti” e “Moscato d’Asti” – sino a un massimo del 20% la resa a ettaro, fermo restante il limite invalicabile di 12.000 kg/ettaro. Questa ulteriore produzione – denominata “Riserva vendemmiale” – dovrà essere autorizzata o meno alla denominazione nei mesi successivi alla vendemmia in base all’andamento dei mercati.

Veniamo, ora, alle norme per la vinificazione (Art. 5): innanzitutto, le operazioni di appassimento delle uve (post raccolta) per la Vendemmia Tardiva e di ammostamento delle uve per tutte le tipologie, incluse le operazioni di elaborazione, di presa di spuma e stabilizzazione, affinamento nonché le operazioni di imbottigliamento e di confezionamento

dei vini, devono avvenire nelle Provincie di Alessandria, Asti, Cuneo e nella frazione Pessione del Comune di Chieri (TO).

La resa uva-vino è fissata nel 75% per il Moscato d’Asti e nel 50% per il Moscato d’Asti Vendemmia Tardiva. Il Moscato d’Asti non ha maturazione obbligatoria, che invece è prevista per la Vendemmia tardiva: almeno un anno calcolato dal momento della preparazione.

Quanto alle caratteristiche al consumo (Art. 6), il Moscato d’Asti deve avere un titolo alcolometrico volumico totale minimo di 11,00% Vol, di cui quello svolto compreso tra 4,50% e 6,50% Vol. L’acidità totale minima non dev’essere inferiore a 4,5 g/l e la sovrapressione dovuta all’anidride carbonica in soluzione non deve superare le 2,5 atmosfere.

Per il Moscato d’Asti Vendemmia Tardiva il titolo alcolometrico volumico totale minimo è fissato nel 14,00% di cui svolto almeno 11,00% vol. L’acidità totale minima è di 4,5 g/l.

Per quanto concerne le regole relative alla designazione e presentazione (Art. 7), ricordiamo che è consentito l’uso del termine “Vigna” seguito dal toponimo o nome tradizionale.

Inoltre, in etichetta è obbligatoria dell’annata di produzione delle uve.

Canelli Ddocg alle porte

Quella del “Moscato di Canelli o Canelli Docg” è la vera novità del mondo Moscato degli ultimi anni. Tutto sembra aver preso le mosse nel 2011 dal riconoscimento delle Sottozone Canelli, Santa Vittoria d’Alba e Strevi. Ma la volontà dei produttori risale addirittura al 2001 quando un gruppo di loro ha fondato l’associazione “Produttori Moscato di Canelli”. Il passo definitivo si è compiuto il 15 aprile 2019 quando il Consorzio dell’Asti ha varato la trasformazione della sottozona “Canelli” nella nuova Docg.

Un primo risultato si è avuto il 12 maggio 2021 quando il Comitato Nazionale Vini DOP e IGP ha approvato la proposta di disciplinare della nuova Docg. La pratica, quindi, è passata

a Bruxelles per il riconoscimento conclusivo. Nel 2022 l’Unione Europea ha chiesto alcune integrazioni che sono state prontamente inviate.

Ora non resta che attendere la conclusione dell’iter con la pubblicazione del riconoscimento sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.

È probabile che la nuova Docg diventi operativa con la vendemmia 2023.

Moscato d'Asti

Vediamo quindi le principali regole produttive della Docg “Canelli”.

Le tipologie sono quattro (Art. 1): Canelli e Canelli con indicazione di Vigna, Canelli Riserva e Canelli Riserva con indicazione di Vigna. La base ampelografica (Art. 2) è di solo Moscato bianco. La zona di origine delle uve (Art. 3) interessa 17 paesi, 11 in provincia di Asti (Calamandrana, Calosso, Canelli, Cassinasco e Coazzolo per intero e Bubbio, Castagnole Lanze, Costigliole d’Asti, Loazzolo, Moasca e San Marzano Oliveto in parte) e 6 in quella di Cuneo (Castiglione Tinella e S. Stefano Belbo per intero, Cossano Belbo, Neive, Neviglie e Mango solo in parte).

Tra le norme per la viticoltura (Art. 4), le rese a ettaro sono più contenute della Docg “Asti”: 9,500 chilogrammi per Canelli e Canelli Riserva e 8.500 chilogrammi per le tipologie con la Vigna. Quanto alle regole per la vinificazione (Art. 5), le operazioni di vinificazione, invecchiamento e imbottigliamento devono essere effettuate nella zona delimitata all’art. 3. Nei comuni il cui territorio è parzialmente compreso nella zona le operazioni sono consentite nell’intero territorio.

La resa massima uva-vino non deve superare il 75%.

Le due tipologie “Riserva” dovranno rispettare un periodo di maturazione minimo di 30 mesi, dei quali almeno 20 mesi in bottiglia, calcolati dal 1° ottobre dell’anno di vendemmia.Per quanto concerne le caratteristiche al consumo (Art. 6) i vini delle varie tipologie debbono rispettare i seguenti valori: titolo alcolometrico volumico totale minimo superiore a 12,00% Vol. di cui svolto compreso tra 4,50 e 6,50% Vol. L’acidità totale minima non deve scendere sotto i 4,5 g/l e la sovrapressione dovuta all’anidride carbonica in soluzione non dev’essere superiore a 2,5 atmosfere.

Articolo scritto da Giancarlo Montaldo
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