La notizia è che quattro vini di pregio prodotti dalla Château Changyu (una delle aziende vitivinicole più antiche della Cina, attiva dal 1892 nella regione di Ningxia) stanno per arrivare – distribuiti dal Gruppo Meregalli – tra gli scaffali e i tavoli di enoteche, ristoranti e vinerie in quel di Monza.
Non sono vini “da poco”, ma bottiglie di pregio a base di Cabernet Sauvignon: Helan Mountain (Blanc de Noir e rosso, entrambi da uve Cabernet Sauvignon) per un pubblico più giovane, Moser Family per una clientela di tipo medio-alto e Purple Air Comes From The Est (prezzo medio 150 euro), già premiato da alcune guide di settore.
Ora il mercato mondiale del vino ha chiaro che anche il più popoloso paese del pianeta è parte integrante di una competizione sempre più agguerrita, che non ha (e non può avere) confini o dazi.
L’indicazione sembra essere che la Cina intende entrare nel mercato dei Fine Wines – del resto il gruppo Moët-Hennessy aveva già importato anni fa vini da 300 dollari a bottiglia prodotti nella provincia dello Yunnan ai piedi dell’Himalaya – e non poteva essere diversamente, considerata la lunga presenza di enologi francesi nelle zone di produzione cinesi più vocate come appunto il Ningxia, regione al confine con la Mongolia.
Confessiamo che certi Chardonnay assaggiati anni fa non ci avevano fatto, diciamo così, grande impressione, ma oggi alcuni vini cinesi, come quelli in questione, ricevono valutazioni lusinghiere da molti esperti.
Tuttavia, a parer nostro, non è il caso di allarmarsi più di tanto, considerando anche che il mercato cinese è per noi tanto più vasto di quanto lo sia quello italiano per i produttori cinesi, anche se alle loro spalle c’è molto, per non dire tutto, know-how francese. I produttori italiani sono abituati a queste sfide.
Ben vengano comunque buoni vini sul mercato, così come a suo tempo sono arrivati australiani, cileni, neozelandesi con ottimi prodotti, per lo più creati sul modello dell’uvaggio bordolese a base Cabernet. Probabilmente aumenteranno i curiosi e i bevitori saltuari.
Ma il terroir è terroir e l’identità dei nostri vini nazionali resta il prodotto di un mix irripetibile di vitigni – per lo più autoctoni – e territori non riproducibili altrove quand’anche, come è stato fatto, qualcuno si sognasse di piantare Nebbiolo in Australia o Barbera in California.
Dunque, calma e gesso, come si suol dire.