Lo Sforzato della Valtellina è un particolarissimo figlio del vitigno Nebbiolo (ma qui chiamano le uve Chiavennasca) che nasce da vigneti in altitudine, su terrazzamenti posti anche a 700 metri s.l.m., lungo il corso del fiume Adda. Rosso potente, di grande struttura e carattere, ha contribuito nei secoli ad alimentare la fama dei vini della Valtellina.
“Lo Sforzato di Valtellina Docg o “Sfursat” spiega Aldo Rainoldi, presidente del Consorzio di Tutela Vini di Valtellina “è il primo vino DO italiano prodotto con uve parzialmente disidratate senza residui zuccherini, frutto di una selezione di uve Nebbiolo che subito dopo la vendemmia vengono poste in appassimento per due – tre mesi in locali asciutti e ben ventilati, detti “fruttai”.
Nel corso degli oltre cinquant’anni trascorsi dalla concessione della Doc lo Sforzato (Doc dal 1968 e Docg dal 2003) si è fatto conoscere in tutto il mondo divenendo un vino simbolo della Valtellina”.
Quali sono i rischi nel processo di produzione di questo vino simbolo?
Parliamo di un vino rappresentativo del nostro territorio, figlio di ciò che l’ambiente di coltivazione ha indotto alla vite e che la pianta ha trasferito nel suo prezioso succo. Naturalmente il lungo processo di produzione fa aumentare le difficoltà e i rischi per il produttore, che si trova di fronte alla necessità di garantire una perfetta sanità dell’uva in vigna e durante la fase di appassimento, dove lo sviluppo di muffe mina la stabilità del colore e potrebbe stimolare la produzione di sostanze indesiderate nella fase di fermentazione”.
Perché il progetto ‘Increase Sfursat’, avviato con la vendemmia 2020 è inserito nelle misure del P.S.R. di “trasferimento di conoscenze e azioni di informazione”?
“L’idea è nata dalla consapevolezza che pur avendo la fortuna di lavorare con un vitigno dalle insuperabili performances enologiche, a causa dei cambiamenti climatici in atto e con un cambio dei gusti dei consumatori le produzioni attualmente sul mercato siano troppo eterogenee e con livelli qualitativi talora migliorabili. Il progetto si prefigge quindi di dare risposte tecnico scientifiche agli operatori del comparto viticolo-enologico in merito all’impatto che le diverse fasi del processo di produzione dello Sfursat (appassimento e vinificazione) hanno sulle caratteristiche chimico-fisiche del vino, di sperimentare tecniche enologiche innovative (anche già utilizzate in altre zone viticole italiane) e riadattarle per le uve Chiavennasca (Nebbiolo), nonché di condurre una accurata indagine sulle caratteristiche delle produzioni enologiche disponibili sul mercato”.
Al Gruppo di lavoro coinvolto nel progetto “Increase Sfursat”, nato dunque con l’intento di incrementare le conoscenze tecnico-scientifiche degli operatori del settore, partecipano l’Università degli studi di Torino-Disafa (capofila); l’UNIMI di Milano, la Federazione provinciale Coldiretti di Sondrio e naturalmente il Consorzio di Tutela Vini di Valtellina.
(Guido Montaldo)