Che il presidente della regione Veneto Luca Zaia avrebbe definito “inaccettabile” la richiesta della Croazia perché venga riconosciuto il nome Prosek tra le denominazioni tutelate dall’UE c’era da aspettarselo.
Che la protesta suscitasse la solidarietà della Francia, che annuncia opposizione, è inatteso e preoccupante. Perché la dice lunga sulla problematicità della tutela europea sulle denominazioni.
Problematicità che peraltro si era già palesata in occasione del precedente caso dell’aceto balsamico sloveno quando il governo sloveno aveva notificato alla Commissione Europea una norma tecnica nazionale in materia di produzione di aceti che parificava la dizione “aceto balsamico” a uno standard di prodotto (evidentemente a proprio uso e consumo) e non già a una Denominazione.
Ora, l’antefatto del caso in questione: la Commissione europea pubblica sulla Gazzetta UE la domanda di protezione della menzione “tradizionale” Prosek presentata dalla Croazia da impiegarsi nell’etichettatura di quattro suoi vini peraltro già protetti da Denominazione.
Alle interrogazioni di alcuni europarlamentari di paesi diversi e da diversi schieramenti, pare che l’attuale Commissario all’Agricoltura, il polacco Janusz Wojciechowski, abbia risposto che la richiesta della Croazia per il riconoscimente dei vini Prosek come STG, Specialità Tradizionale Garantita, è “conforme ai requisiti di ammissibilità e validità”.
La vicenda sarebbe da ridere, se non fosse estremamente seria.
Che il termine Prosek risuonerebbe molto simile all’italiano Prosecco, protetto già da tre Denominazioni, tra le quali due Docg riconosciute come Dop in ambito europeo, risulta palese anche a un sordo.
C’è chi parla di un vero e proprio schiaffo di Bruxelles al made in Italy.
In realtà si tratta, per il momento, di una “richiesta di registrazione in Gazzetta Ufficiale”. Contro la decisione ci sono 60 giorni di tempo per presentare osservazioni contrarie e il Consorzio di Tutela del Prosecco Dop ne ha già annunciate di corpose.
Secondo l’Unione Italiana Vini, l’associazione che rappresenta l’85% dell’export di vino italiano, c’è in gioco la credibilità del modello europeo di tutela dei prodotti agroalimentari e annuncia che chiamerà a fare squadra Francia, Spagna, Portogallo e Germania perché presentino mozioni contrarie. Del resto il CIVC, il Comitée Interprofessionnel du Vin de Champagne, ha già annunciato la sua opposizione, reduce com’è dalla vicenda “Champanillo” (il nome adottato inopinatamente da una catena di tapas bar spagnoli) portata recentemente con successo davanti alla Corte di Giustizia europea. Nella sentenza infatti la Corte aveva ribadito che sussiste una evocazione abusiva di una denominazione quando produce “un nesso sufficientemente diretto e univoco tra tale denominazione e la Dop” come può essere determinato, tra gli altri casi descritti, dall’incorporazione parziale del nome della denominazione o dall’affinità fonetica e visiva tra le due denominazioni. Proprio come sembrerebbe nel caso del Prosecco.
Il Ministro per le Politiche Agricole Stefano Patuanelli nella sua informativa al Senato, si è infatti riferito a questo caso, preoccupato dell’attacco alla prima Dop italiana del comparto vino che nel 2020 e arrivata a rappresentare da sola il 16% del totale esportazioni vino italiano, trascinando l’export nel primo semestre 2021 a un + 15,2 % sullo stesso periodo del 2020.
C’è da sperare che la battaglia sarà condivisa, perché si tratta di difendere una produzione di 620 milioni di bottiglie di Prosecco delle quali circa 370 milioni prendono la via dell’estero e lo spumante italiano più famoso nel mondo vale circa 2,4 miliardi di fatturato annuo. Non proprio bruscolini!
(foto: archivio Consorzio Conegliano Valdobbiadene)