Si tratta di un problema che tocca il settore agricolo nella sua globalità, ma che ha “effetti collaterali” anche sul comparto viticolo.
In agricoltura, negli ultimi anni, la manodopera è suddivisa sostanzialmente in due tipologie:
- la manodopera a tempo indeterminato, presente e operativa tutto l’anno;
- la manodopera assunta a tempo determinato, operativa per 8-9 mesi, ma in genere ben inserita nelle aziende. È proprio quest’ultima che verrebbe a mancare.
Solitamente questi addetti arrivavano tra marzo e aprile e lavorano fino a ottobre o novembre.
Oggi, molti di questi lavoratori sono nei loro paesi di origine e, se la situazione rimarrà com’è adesso, non possono tornare in Italia per dare il loro apporto operativo. Si stima che verrebbe a mancare circa il 30-40% della manodopera necessaria.
Le organizzazioni professionali agricole hanno accolto con favore il fatto che il Decreto “Cura Italia” abbia esteso dal quarto al sesto grado il rapporto di parentela/affinità per le attività prestate nei campi senza che diventino rapporto di lavoro né subordinato né autonomo, a patto che la prestazione sia resa a titolo gratuito. È una misura utile, ma non in grado di risolvere questa carenza.
In secondo luogo in assenza, per evidenti ragioni sanitarie, del tradizionale “Decreto flussi”, è parsa utile anche la proroga fino al 15 giugno prossimo dei permessi di soggiorno in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile 2020. Ma anche questo intervento non è risolutivo, perché la necessità di manodopera aggiuntiva va oltre il 15 giugno. Tale proroga dovrebbe dilazionare la validità dei permessi fino agli ultimi giorni di ottobre 2020.
Su tali basi, le organizzazioni professionali stanno pensando a chiedere la riattivazione in forma molto semplificata dei cosiddetti “voucher”, che avevano dato ottimi risultati negli anni passati e che erano poi stati accantonati a causa della loro eccessiva burocratizzazione.
Secondo la nuova ipotesi, Coldiretti, Confagricoltura e CIA chiedono al Ministero dell’Agricoltura di attivare una formula “emergenziale”, che permetta di coinvolgere nei lavori agricoli coloro che in questo momento, a causa della chiusura di scuole, università, attività economiche e aziende, sono liberi e sono alla ricerca di un’integrazione del loro reddito. Evidentemente deve essere un lavoro giustamente remunerato, anche su base settimanale e il cui introito economico non costituisca cumulo con gli introiti della cassa integrazione o di altre forme di sostegno.
Sembrerebbe uno strumento di buon senso che in un periodo di totale emergenza favorirebbe un interscambio tra settori che hanno nel territorio il loro minimo comun denominatore.
Vedremo se il mondo parallelo della burocrazia avrà la saggezza di condividerlo.