“Tra le principali fonti, donde trae il popolo della Valle d’Aosta il suo sostentamento, quella vi ha dalla vite: essa si trova coltivata per tutto il tratto che va da Ponte-San Martino sino quasi a Prato-San-Desiderio, sulle costiere specialmente, che alla destra, ed alla sinistra della Dora servono di scaglioni alle alpi, e con esito diverso, perché la sponda destra, come quella che è volta a tramontana, vi è meno adatta”.
Scrive così della geografia vitivinicola a metà dell’Ottocento il medico e ricercatore canavesano Lorenzo Francesco Gatta nel suo saggio “Sulle viti e sui vini della Valle d’Aosta”. testo ripreso e ampliato con approfondimenti e note dallo studioso Rudy Sandi nel 2014. Il saggio di Gatta è prezioso per la storia della viticoltura valdostana, una storia millenaria che ha visto proprio negli anni del Gatta la sua maggior floridezza, passando invece poi a uno dei suoi periodi più bui, da oltre 3000 ettari ai circa 500 attuali. Un calo significativo, dovuto alla filossera certamente, ma anche a un abbandono della vita agricola da parte dei giovani, andamento per fortuna in controtendenza in questo ultimo decennio in cui il ricambio generazionale sembra avviato e più che positivo. Giovani che hanno deciso di riprendere in mano i terreni di famiglia, valorizzarli, anche là, o forse soprattutto, dove vengono strappati alla montagna, custodi del loro territorio, un territorio difficile, dove le pratiche agricole vengono effettuate quasi esclusivamente a mano.
Alcuni elementi produttivi
Il panorama vitivinicolo valdostano conta oggi 6 cooperative e oltre 50 aziende private, un’unica Doc “Valle d’Aosta” o “Vallée d’Aoste” con una produzione di circa 2 milioni di bottiglie. Sette sono le sottozone: il Blanc de Morgex et de la Salle, l’Enfer d’Arvier, il Torrette, il Nus, il Chambave, l’Arnad-Montjovet e il Donnas e 19 i riferimenti di vitigno: Chardonnay, Cornalin, Fumin, Gamay, Mayolet, Merlot, Müller Thurgau, Nebbiolo, Petite Arvine, Petit Rouge, Pinot Blanc, Pinot Gris, Pinot Noir, Prëmetta, Syrah, Vuillermin, Moscato bianco, Traminer aromatico e Gamaret. Sono riconosciuti idonei alla coltivazione 38 vitigni, dei quali 13 gli autoctoni: Bonda, Cornalin, Crovassa, Fumin, Mayolet, Ner d’Ala, Neyret, Petit rouge, Premetta, Prié blanc, Roussin, Vien de Nus, Vuillermin.
La storia della viticoltura valdostana
Parlando di presenza della vite, un recente ritrovamento di vinaccioli nell’area archeologica di Saint-Martin-de-Corléans ad Aosta, la fa risalire all’età del bronzo, ma è con i Romani che si ha prova della coltivazione di vigneti. Vi sono infatti anfore, brocche e bottiglie risalenti al I secolo d.C. ritrovate in siti vicino ad Aosta.
La prima testimonianza scritta risale al 1032 d.C., con un atto di donazione di un vigneto. Nei secoli successivi la coltivazione della vite diventa sempre più importante arrivando al massimo splendore nel periodo napoleonico e nel corso del XIX secolo con una massima estensione di oltre circa 3.000 ettari. Dopo di che si assiste a un declino dovuto, come si diceva, alla filossera, ma anche ad altre malattie come oidio e peronospora, e a cause più propriamente sociali ed economiche conseguenza delle due guerre mondiali: l’abbandono della campagna per la città, il vino che era stato un prodotto di autoconsumo e non rappresentava più un arricchimento calorico dell’alimentazione.
L’inversione di tendenza inizia dagli anni ‘50 del 1900 quando ricerca, tecnologia e politica hanno iniziato a lavorare insieme per far crescere il settore e migliorare la qualità dei vini.
Importantissimo è stato e lo è ancora oggi il lavoro di sperimentazione e di ricerca dell’Institut Agricole Régional di Aosta, che – guidato ai suoi albori dal Canonico J. Vaudan – ha sostenuto e sostiene non solo la viticoltura valdostana ma tutto il settore agricolo.
La struttura produttiva
La produzione vitivinicola valdostana è ancora oggi caratterizzata da micro particelle, da piccoli o piccolissimi produttori. Perciò, negli anni ‘70 si è sentita la necessità di unire le forze e sono nate le prime cooperative che hanno permesso la crescita e la diffusione del vino valdostano, grazie anche alla guida di presidenti illuminati come Mauro Jaccod a Morgex, Mario Dalbard a Donnas e il compianto Dino Darensod a Aymavilles. La prima cooperativa è stata quella di Donnas, così come la Doc del Donnas è stata riconosciuta per prima nel 1971. L’anno seguente è toccato all’Enfer d’Arvier. Nel 1985, infine, è stata varata la Doc “Valle d’Aosta” o “Vallée d’Aoste”.
L’associazionismo vitivinicolo si ha successivamente dato vita alla Viticulteurs encaveurs e, nel 2006, al VIVAL, l’Associazione dei viticoltori della Valle d’Aosta che raggruppa tutte le anime di tale viticoltura, diventando il punto di riferimento del settore. Naturale evoluzione dell’associazione è stata, a marzo 2022 la nascita del Consorzio Vini Valle d’Aosta, che ha lo scopo di tutelare e promuovere i vini di questo territorio così impervio.
I caratteri della viticoltura valdostana sono piuttosto eterogenei e dipendono dalle condizioni ambientali, dall’esposizione, dalle forme di impianto e quelle di allevamento delle viti.
Dal punto di vista climatico le condizioni sono quelle continentali, con scarse precipitazioni e forti escursioni termiche, soprattutto nella fascia centrale. Il suolo è di origine antica, con affioramenti di rocce cristalline e sedimentarie, la pendenza è importante e quindi spesso sono fondamentali le opere di terrazzamento.
Il viaggio nella viticoltura valdostana
Partendo da nord, iniziamo il cammino da Morgex e La Salle, dove si trovano con vista sul Monte Bianco alcuni tra i vigneti più alti d’Europa. In quest’area predomina un vitigno molto particolare, il Prié Blanc, l’unica varietà autoctona a bacca bianca e l’unica ancora a piede franco. È coltivata con un sistema di allevamento a pergola bassa con impalcature in legno e pietra. Da questa uva nasce un vino bianco secco, morbido e delicato, il Blanc de Morgex et de La Salle, ideale anche per la spumantizzazione. Esiste anche la versione Vendemmia Tardiva, con i grappoli che sono raccolti ancora ghiacciati la mattina presto.
Percorrendo la a strada verso sud raggiungiamo “l’inferno”, l’Enfer di Arvier, nome che deriva dalla morfologia del territorio, un anfiteatro naturale esposto al sole, dove fa più caldo che nelle zone vicine e dove i vigneti coltivati a Guyot, sistemati in filari disposti a rittochino o in ciglioni e aggrappati ai pendii rocciosi. Il vitigno base è il Petit Rouge, bacca nera, il più coltivato in tutta la regione. Di questo vino esiste anche la versione Supérieur.
Il vitigno Petit Rouge interessa anche il Torrette, la Doc di zona più estesa della regione, coinvolgendo undici comuni: Quart, Saint-Christophe, Aosta, Sarre, Saint-Pierre, Charvensod, Gressan, Jovencan, Aymavilles, Villeneuve e Introd. La versione Supérieur è ottenuta dai vigneti più soleggiati e con limitate rese a ettaro.
Superando il capoluogo in direzione sud arriviamo a Nus. Questa Sottozona presenta tre tipologie di vino: il Nus rouge si ottiene dal vitigno locale Vien de Nus e dal Petit Rouge. Il Nus Malvoisie è un vino secco prodotto con Pinot grigio e infine il Nus Malvoisie Passito, un vino dolce.
Subito dopo raggiungiamo la zona di Chambave: qui troviamo il Muscat, che a dispetto del nome non è un vino dolce, ma è secco e molto aromatico. Se ne produce una versione passita ricavata dai migliori grappoli lasciati appassire in ambienti ben arieggiati. E, poi, ricordiamo lo Chambave rouge, prodotto da uve Petit Rouge (minimo 70%), Dolcetto, Gamay e Pinot nero.
Avvicinandoci al sud della regione, incontriamo in due zone vicine una grande espressione del Nebbiolo, qui chiamato Picotendro, che in dialetto locale significa “buccia nera”: l’Arnad-Montjovet e il Donnas.
L’Arnad-Montjovet è prodotto principalmente da uve Nebbiolo (70%) mentre il restante 30% da altre uve di vigneti che si trovano nei territori di Arnad e nei comuni limitrofi Hône, Verrès, Issogne, Challand-Saint-Victor, Champdepraz, Montjovet.
Infine, al ridosso del Piemonte troviamo il Donnas, ottenuto da uve Nebbiolo prodotte nelle aree vitate di Donnas, Perloz, Pont-Saint-Martin e Bard, su terrazzamenti che ne hanno caratterizzato fortemente il territorio e dove la pendenza è proibitiva. Il sistema di allevamento è la pergola alta, detta topia nel dialetto locale.
Diverse anime, un’unica denominazione, a caratterizzare un territorio unico.