L’ultimo atto normativo riguardante l’erbicida più utilizzato al mondo, arriva dagli Stati Uniti.
Il 7 luglio, la California – il più popoloso stato della nazione, generatore del suo PI, lo ha inserito nella lista delle sostanze chimiche cancerogene che, ora, obbliga le aziende produttrici a inserire in etichetta l’indicazione della sua pericolosità, a tutela della salute degli utilizzatori.
E quell’avvertimento in etichetta non è una buona “pubblicità” per un prodotto impiegato su vasta scala.
La decisione giunge dopo anni di dibattito avviato dalla società civile, che aveva provocato l’attenzione di IARC, l’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. IARC nel 2015, un po’ a sorpresa, si era espressa al termine di un’indagine che aveva evidenziato prove convincenti di una correlazione epidemiologica tra l’esposizione all’erbicida e il linfoma non-Hodgkin e rilevato aumenti di leucemie infantili e malattie neurodegenerative come il Parkinson: il glifosate può essere causa di cancro negli animali da laboratorio, dunque è da ritenersi “probabilmente cancerogeno”. Secondo studi del Mit del 2013-2014, l’erbicida è all abase dell’insorgenza della celiachia. Ma non sempre gli scienziati si trovano in unanime accordo: è accaduto molte volte nel corso dei secoli, come per l’amianto. E così l’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, si era affrettata a definire “improbabile che il glifosate costituisca un pericolo di cancerogenicità per l’uomo” e a proporre nuovi livelli di sicurezza per rendere più severo il con- trollo dei residui negli alimenti. Il rapporto dell’EFSA fu accusato di insufficiente obiettività, poiché basato su uno studio finanziato dalle stesse aziende produttrici di diserbanti. E ad esso l’Europa ha recentemente opposto una Iniziativa dei cittadini europei (Ice), una petizione po- polare che richiede alla UE di bandire il glifosate, raccogliendo più di un milione e trecentomila firme. In un momento di particolare importanza: l’autorizzazione all’uso dell’erbicida è in scadenza e il suo rinnovo per ulteriori 10 anni potrebbe essere concesso.
Gli interessi in gioco sono enormi e giova ricordare che Monsanto Company è tra i colossi dell’economia multinazionale, leader nella produzione di sementi (anche transgeniche), di pesticidi e di- serbanti. Entro la fine dell’anno potrebbe essere perfezionato il suo acquisto da parte della tedesca Bayer.
UN PO’ DI STORIA
Il glifosate mosse i suoi primi passi nel 1967, quando Monsanto iniziò a sintetizzare la molecola che avrebbe cambia-to la tecnica di coltivazione: la sostanza attiva della formulazione Roundup®. I test verificarono che l’erbicida risultava efficace non solo sulle infestanti annuali, ma anche su quelle perenni ed era attivo tanto sulle foglie quanto sulle radici. Sette anni dopo il glifosate fu introdotto sul mercato inglese e dopo altri tre anni l’utilizzo si diffuse anche in Italia, per contenere la sorghetta da rizoma pre-sente tra le stoppie di coltivazione e la gramigna nei vigneti. Venne registrato in prima classe tossicologica, a causa del tensioattivo impiegato e con un costo elevato, pari a oltre 20 €/litro.
Dopo studi più approfonditi e migliorie formulative, nel 1982 il prodotto entrò in terza classe tossicologica e iniziò la sua fortuna, che troverà consacrazione nel 1990, quando Monsanto si concentrò sull’innovazione dei tensioattivi utilizzati: il glifosate penetrava più rapidamente attraverso la superficie fogliare per es- sere traslocato all’interno della pianta. Il processo tecnico portò poi nuove innovazioni al formulato, utilizzato ormai in più di 130 paesi, in grado di controllare tutte le infestanti più difficili e impiegato anche dalle pubbliche amministrazioni nella cura del verde pubblico (anche se una normativa europea lo ha vietato, ma gli Stati membri hanno tempo fino al 2020 per adeguarsi) e ai bordi delle strade.
IL SUO SUCCESSO E LE ALTERNATIVE
Risparmiare tempo, fatica e denaro: è indubbiamente il «mantra» che ha decretato la fortuna del glifosate. Ma in Europa la legge quadro in materia di sicurezza alimentare considera il principio di precauzione come strumento per assicurare la protezione dei consumatori. E la domanda ricorrente è: il glifosate è sicuro oppure no? Non esistendo risposte univoche da parte della scienza, parrebbe logico che – nel dubbio – il principio di precauzione venisse applicato. Anche in Italia, dopo che tracce di glifosate sono state rinvenute nella pasta, in altri prodotti alimentari e nelle acque superficiali di Toscana e Lombardia, le uniche regioni dove si effettuano specifiche rilevazioni. Il consorzio del Prosecco Conegliano e Valdobbiadene ha deciso, a par tire dalla campagna viticola 2018, di vietare del tutto l’uso di pesticidi, con un provvedi- mento senza precedenti che diventerà obbligatorio per tutti i suoi produttori. In Svizzera, residui di glifosate sono stati rilevati nelle urine di un ampio campione di abituali utilizzatori di pasta, biscotti, cereali da colazione, farina e pane e su ben 6 prodotti su 16 consumati.
Si può fare a meno del glifosate e degli erbicidi di sintesi?
In questa rubrica abbiamo più volte raccontato le buone pratiche agronomiche che permettono di rinunciare alle mole- cole chimiche di sintesi e che costituisco- no uno strumento/valore aggiunto (e non un limite) per il successo d’impresa. Gli esempi si sprecano, ovunque. Come nel comprensorio del Chianti, dove l’85 % della viticoltura è biologica e le “malerbe” sono contenute senza l’utilizzo della chimica, attraverso una cura “ragionata” dei terreni: mantenere l’inerbimento favorisce l’espansione in profondità delle radici con maggiori infiltrazioni di acqua e aumento di sostanza organica. E l’uso di pacciamature, decompattamento delle carreggiate, semine e ammendante organico per sviluppare la biodiversità, lavorazioni meccaniche nel sottofila, fanno il resto.
La chimica è comoda, ma a lungo an- dare il terreno si impoverisce e i guai si moltiplicano.
I paesaggi primaverili delle terre Unesco torneranno a essere verdi? La tendenza è già in atto. Ma ora occorrono scelte individuali e di rete, forse prima che scienza e norme le rendano obbligatorie.