Gastronomia Storie di cibo

Storie di sale tra terra e mare

Traffici, guerre, diplomazie, invenzioni di cibi straordinari: tutto si tiene nella vicenda del sale

Teresa E. Baccini Dicembre 2018
Storie di sale tra terra e mare

D’accordo, il sale non è un cibo. Nondimeno è indispensabile alla nostra alimentazione. E la sua storia non è meno coinvolgente di quella di alcuni dei cibi che abbiamo già raccontato. Traffici, guerre, diplomazie, invenzioni di cibi straordinari, tutto si tiene nella vicenda del sale.

Chissà quando, chissà dove, gli uomini si accorsero che qualunque cibo acquistava un sapore diverso con l’aggiunta di un pizzico di sale. Probabilmente in concomitanza, più o meno, con l’acquisizione del dominio del fuoco – oggi si pensa circa un milione di anni fa, in Africa, a opera dell’Homo erectus – e del fatto che i cibi cotti diventavano più digeribili ed evitavano molti problemi alimentari, dato che la cottura elimina parassiti e batteri. Con tutta probabilità dapprima fu la necessità di conservare gli alimenti e la constatazione che i cibi impregnati di sale si conservavano a lungo, sfuggendo alla putrefazione che spinse gli uomini del Neolitico a farne uso: carni, pesci e poi perfino gli umani ne subirono il trattamento, cosicché il sale assunse, accanto a quelle alimentari, funzioni religiose e valenze purificatorie nei riti di consacrazione e di passaggio. Così divenne simbolo di purezza incorruttibile ed eterna, simbolo di saggezza e di sapienza. Pane e sale era l’offerta di benvenuto all’ospite, nella maggior parte delle civiltà ritenuto sacro, almeno nell’antichità. Pane e sale era il dono al viandante come viatico per il viaggio e l’omaggio a chi inaugurava la casa nuova: l’indispensabile per una nuova vita. “Tra me e te c’è pane e sale” recitava un antico proverbio arabo ricordato da Annia Ciezadlo nel suo bel libro di cibo e di guerra “Day of honey”, a significare che “… una volta che abbiamo mangiato insieme, condividendo pane e sale, i simboli tradizionali dell’ospitalità, non possiamo più combatterci…”. E ancora “Patto di sale” in ambito medioevale, era definita un’alleanza irrevocabile.

PREZIOSO E INDISPENSABILE

Prezioso, raro, desiderato e difeso, merce di scambio insostituibile, moneta sonante, simbolo di ricchezza per gli uomini e risorsa fiscale per gli stati, ma chimicamente solo e semplicemente cloruro di sodio, il sale è indispensabile agli esseri viventi. Usualmente si parla dei danni che un eccessivo consumo di sale nella dieta quotidiana può causare alla salute, come il fatto che possa aggravare l’ipertensione o danneggiare i reni. Non sempre si ricorda che sul preciso rapporto tra sodio e potassio, conosciuto come “pompa sodio-potassio” si basa l’eccitabilità delle cellule nervose e si alimenta la trasmissione degli impulsi alle fibre muscolari. Il contenuto di sale nel corpo umano è continuamente compromesso dalla perdita di sali, ad esempio attraverso il sudore, anche quando non ce ne accorgiamo; per questo dobbiamo costantemente assumerne una certa quantità – il corpo umano contiene in media 110 grammi di sale – soprattutto in momenti particolari come i periodi di caldo o di intensa attività fisica. Normalmente lo facciamo attraverso l’acqua o attraverso il cibo. Per quanto abbiamo detto sopra la carne, quella animale intendiamo, è un’ottima fonte di sale, ma poiché tendiamo a non cibarci più prevalentemente di carne cruda come facevano i nostri antenati preistorici, l’assunzione di ulteriori piccole quantità di sale si è resa necessaria almeno da quando abbiamo adottato uno stile di vita sedentario fondato sull’agricoltura, come sostengono anche i due chimici Penny Le Couteur e Jay Burreson nel libro “I bottoni di Napoleone”.

DAL LIBERO MERCATO AL MONOPOLIO STATALE

Una derrata che rappresenta un bisogno condiviso da tutti, uomini e animali, ma che non è nella facile disponibilità di tutti genera necessariamente traffici, commerci, spesso potere e talvolta conflitti.

Secondo lo storico Massimo Montanari nel suo “Alimentazione e cultura nel Medioevo”, è a partire dal Medioevo che il sale diventa oggetto di speculazione finanziaria e soprattutto fiscale. Se in precedenza i meccanismi produttivi e di controllo di mercato avevano avuto il predominio, predominio a volte assoluto, come dimostra la lunga prevalenza dei Romani sulle fonti di approvvigionamento nel Mediterraneo o il feroce controllo veneziano sulle produzioni dell’Adriatico e il mercato dell’Italia settentrionale, tanto da arrivare ad annientare le saline di Comacchio e scontrarsi con il potere papale per quelle di Cervia, a partire dal XII secolo “…l’intervento del potere pubblico nel ciclo produttivo e distributivo del sale… condiziona da allora in poi le vicende del sale, frapponendo fra i produttori e i consumatori un complesso apparato di estorsione fiscale.” Insomma da quel momento in poi la questione del sale non sarà più affare di produttori autonomi e commercianti, ma affare di stato. Tanto da gravarlo di imposizioni fiscali che ne moltiplicheranno il costo – anche del 200% – e da imporre l’acquisto di quantità prestabilite ai singoli cittadini per utilizzarlo come controllo della popolazione. È nota la vicenda dei contrabbandieri liguri sulle vie del sale piemontesi, ripresa anche da Nico Orengo nel suo “Il salto dell’acciuga”, che mascheravano i contenitori del sale con strati di acciughe per sfuggire al dazio dei gabellieri sabaudi. E così è andata fino all’epoca moderna, quando ancora gli stati erano i detentori del monopolio del sale, simbolo di un controllo asfissiante e inevitabile. Fa pensare il fatto che la lotta per indipendenza dell’India sia passata attraverso la famosa marcia del sale di Gandhi nel 1930 contro il monopolio britannico del commercio del sale. Del resto l’abolizione del monopolio di stato in Italia è intervenuta solo nel 1974.

LE FONTI DEL SALE

Oggi come mille, duemila anni fa le fonti di sale sono sempre le stesse: l’acqua del mare, le sorgenti salse, il sale minerale. Per i popoli vicini al mare non è mai stato difficile ricavarlo dalle saline lungo le coste grazie alla cristallizzazione dell’acqua salata, purché vi ricorressero alcune condizioni indispensabili: litorali piatti o lagune, acque basse, forte insolazione e ventilazione ricorrente e costante. Già i Fenici possedevano le tecniche di lavorazione per ottenerlo basate su una serie di bacini comunicanti a concentrazione sempre più elevata di sale e furono loro a esportarle in tutto il Mediterraneo, compresa la colonia di Mozia, davanti alla città di Marsala sulla costa siciliana dove ancora oggi sono attive 27 saline tra la Riserva Naturale delle Saline di Trapani e Paceco e la Riserva Naturale delle Isole dello Stagnone di Marsala. In seguito furono i Romani a controllare la produzione delle saline nella penisola e lo importavano anche da Turchia e Spagna. C’è da tenere presente che la concentrazione media di sale nell’acqua marina si aggira attorno ai 35g/l, ma può variare da un mare all’altro; ad esempio oggi è sempre più bassa nei mari polari a causa dello scioglimento dei ghiacci, mentre è più elevata in luoghi come il golfo Persico, data la forte evaporazione. Nell’acqua di mare il cloruro di sodio costituisce circa l’80% dei sali disciolti, per il resto costituiti da altri elementi come solfati, magnesio, calcio, potassio e carbonati.

SALE DI SORGENTE E SALE DI MINIERA

Lontano dalle coste l’approvvigionamento di sale, spesso difficoltoso e a costi proibitivi, avveniva talvolta attraverso le fonti termali, estraendolo per ebollizione da sorgenti salate. In Val Padana le saline di Salsomaggiore, ad esempio, erano così preziose che i marchesi Pallavicino costruirono per controllarle un quadrilatero di castelli noti come le Fortezze del Sale; sono a tutt’oggi fonte di acque salsobromoiodiche esenti da sali di calcio e magnesio che, al di là delle proprietà salutari che già i Romani e anche i Celti conoscevano, contengono una salinità di 150g/l, cioè circa quattro volte quella dell’acqua di mare. Le saline di Bobbio, anch’esse ricche di cloruro di sodio, iodio e bromo, erano sfruttate già dai Longobardi per la produzione di sale e vennero concesse in reddito all’abbazia di San Colombano nel VII secolo. Non è un particolare da poco: nel Basso Medioevo è nei centri monastici della zona, vere e proprie aziende agricole, che si sviluppa la lavorazione dei formaggi ed è probabile che le prime forme di grana siano state salate proprio con questo sale. Così come la salatura dei prosciutti nel parmense sembra abbia profittato del sale di Salsomaggiore. Delizie gastronomiche che ben poco hanno a che vedere con i pezzi di carne salata dei nostri antenati preistorici. Per le stesse ragioni, un po’ dappertutto in Europa, il sale è sempre stato estratto anche dalle miniere di salgemma, un sale minerale racchiuso in antichi mari sotterranei; geologicamente denominato “halite”, si trova depositato sottoforma di cristalli in bacini a volte spessi fino a centinaia di metri. Può portare diverse sfumature di colore a seconda delle impurità che contiene, come il cosiddetto sale rosa dell’Hymalaia – in realtà estratto dalle miniere di Khewra in Pakistan – che deve il suo colore a tracce di ossido di ferro o il sale rosso delle Hawaii che contiene residui argillosi. Pittoreschi, ma sempre fatti di cloruro di sodio almeno al 97%, come prescrive la legge italiana per la commercializzazione e che, secondo gli esperti, poco aggiungono in fatto di salute date le percentuali irrisorie degli altri elementi contenuti. Oggi molte miniere di salgemma sono state dismesse, ma alcune sono diventate attrazioni turistiche visitabili come le miniere di miniere di Hallein a Salisburgo in Austria o le famosissime miniera di salgemma di Wieliczka in Polonia a pochi chilometri da Cracovia, dotate di ambienti monumentali scolpiti artisticamente nel sale; sono una delle più antiche del mondo, aperte nel XIII secolo e rimaste attive fino alla fine degli anni ‘90. Oggi accolgono più di tre milioni di visitatori all’anno e sono Patrimonio Unesco dal 1978.

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Camminando sull’acqua del Salar de Uyuni in Bolivia

UNA CURIOSITÀ

Il Salar de Uyuni è il più grande lago salato del mondo e si estende sull’altipiano boliviano, formatosi dal sollevamento delle Ande. Si trova nel sudovest della Bolivia, a 3669 m.s.l.m. e deriva dal prosciugamento di un lago preistorico più grande avvenuta circa 40 mila anni fa. Frequentato da lama, vigogne e fenicotteri rosa che brucano la sua superfice salata, durante la stagione delle piogge si ricopre di un velo d’acqua che grazie anche all’atmosfera rarefatta riflette perfettamente il cielo soprastante; sotto la crosta di sale, alta diversi metri, nasconde una salamoia che contiene in soluzione satura cloruro di sodio, magnesio e soprattutto litio, il prezioso minerale indispensabile all’industria digitale. Si calcola che nel Salar de Uyuni siano contenute almeno il 50% delle riserve di litio mondiali conosciute; questo ha dato origine a un braccio di ferro tra compagnie estrattive internazionali e il governo boliviano per lo sfruttamento del minerale. La guerra del sale continua, anche se non è più per il sale da cucina.

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