Con l’arrivo dell’estate ritorna la voglia di vini serviti freddi e caratterizzati da un intrigante profilo aromatico. Rosati o rosé? C’è una nuova definizione a indicare la strada italiana: vini rosa. Non si tratta di una disquisizione lessicale, ma di una novità nel modo di fare cultura e promozione del vino rosa prodotto con vitigni autoctoni italiani.
LA STRADA ITALIANA DEL VINO ROSA
Secondo le più recenti statistiche elaborate da Wine Monitor – Nomisma la produzione italiana di vini rosati rappresenta circa il 10% della produzione mondiale. Diverse ricerche sulle tendenze globali del mercato del vino sono concordi nel dire che il consumo di questi vini, nei prossimi anni, continuerà a crescere. La situazione è al momento quella tradizionale, con la Francia che consuma il 36% dei vini rosé prodotti a livello mondiale; seguono, con la domanda in forte ascesa, gli Stati Uniti con il 15%. Francese è anche il record produttivo: il 28% delle bottiglie prodotte dai cugini d’Oltralpe è di vini rosati. Gli istituti di ricerca tengono monitorate soprattutto le scelte dei cosiddetti “millenials”, la fascia di consumatori che sta guidando i cambiamenti di tendenza in molti settori, anche in quello enogastronomico. Alcuni analisti sono pronti a scommettere in una sterzata nelle scelte dei trentenni: dai rosé di Provenza ai rosati di Puglia. È in questo contesto che è stata formalizzata, lo scorso marzo, la nascita di “Rosautoctono”, ovvero l’Istituto del Vino Rosa Autoctono Italiano. Si tratta di un consorzio che raggruppa le denominazioni di Bardolino Chiaretto, Valtènesi Chiaretto, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel del Monte Rosato, Salice Salentino Rosato e Cirò Rosato con l’intenzione di promuovere questi vini rosa da vitigni autoctoni italiani. In un contesto caratterizzato dai soliti campanilismi, l’iniziativa dei sei consorzi è decisamente innovativa: ci sono le premesse per dare energia e slancio alla distribuzione dei vini rosa. Occorrerà ovviamente fare formazione e promozione, partendo proprio dal mercato interno.
STEREOTIPI E DISINFORMAZIONE
Nonostante la didattica sui vini sia molto diffusa, per essere poi rilanciata in versione sintetizzata sui social network, i vini rosati soffrono di informazioni meno attente e dettagliate. Pochi cenni nei corsi amatoriali, rare le opportunità di degustazione. In quanti saprebbero descrivere una delle tecniche che hanno fatto la storia dell’enologia italiana, la tecnica del salasso? E che dire della tecnica “vino di una notte”? Ci sono poi dogmi in merito a quale sia il più bel colore: cerasuolo o “buccia di cipolla”? Questo per dire che una maggiore informazione da parte del neonato “Rosautoctono” sarà la benvenuta. C’è anche necessità di eliminare vecchi stereotipi. In passato è capitato che si spacciasse per rosé un vino fatto con la fermentazione delle annacquature di torchio; un vinello che nella cultura contadina il fattore avrebbe prodotto solo per lo stretto uso casalingo. Fino agli anni Novanta, molti vini rosati erano fatti male, con poca attenzione alle temperature di fermentazione. Ecco perché i produttori di vini nobili prima, i puristi poi, si sono quasi sempre vergognati del vino rosato, relegandolo in una posizione ibrida e misteriosa, privo di una identità propria. Informazione e chiarezza potranno rendere i consumatori più consapevoli dei tanti sforzi che si stanno facendo per produrre vini di migliore qualità. Infatti, in epoca contemporanea, si sta prestando molta attenzione a preservare intatti i grappoli, dalla raccolta in vigneto fino alla cantina. Le pressature soffici e l’abbattimento delle temperature permettono lo sviluppo di bouquet ampi e ricchi di note delicate. Insomma, oggi i vini rosa si fanno bene.
LA DISTRIBUZIONE
In Italia sono davvero poche le etichette di vini rosati riconosciute come iconiche; chi sceglie queste, solitamente, conosce già e apprezza quel vino. Per il resto, buona parte del consumo è locale e trainato dal turismo. Molti italiani ricordano i vini rosati per associazione alla vacanza in Salento: i rosati da Negroamaro. Quasi tutti conoscono i rosati del lago di Garda e il Cerasuolo d’Abruzzo. Si tratta però di vini poco disponibili nelle enoteche italiane; la rotazione nelle vendite è bassa e non è raro trovare vini che hanno perso freschezza e colore originali. Al supermercato, purtroppo, accade l’esatto opposto. Grossi volumi di vendita sono garantiti dalle promozioni, ma è molto difficile trovare vini rosati di buona qualità. Si tratta spesso di azioni promozionali su grosse partite di Bardolino e Cerasuolo d’Abruzzo, prodotte ad hoc dagli imbottigliatori industriali, pronte per le promozioni d’estate. Un’altra caratteristica di questi vini è la concentrazione dei consumi in poche settimane. Si tratta di una stagionalità davvero breve, spesso la sola canicola estiva. Lo stesso accade in molti altri mercati, in cui i distributori non riescono a prevedere quanto vino acquistare, perché sono consapevoli del fatto che le vendite dureranno quanto il sole estivo. Nei paesi del Nord Europa, talvolta, le estati sono brevi e nemmeno molto calde. Succede così che in agosto i distributori danesi, belgi o scandinavi lamentino di avere ancora grosse quantità di vino rosato invenduto. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti il consumo ha carattere di maggiore continuità durante l’anno.
SCEGLIERE LA SFUMATURA DI ROSA
Nell’ultimo decennio l’assortimento di vini rosati italiani si è di molto ampliato. Ai vini rosati più noti, che abbiamo già analizzato, si sono aggiunte le “proposte rosa” di moltissime cantine. Molti produttori hanno intuito il potenziale di questa speciale vinificazione, altri hanno ora gli strumenti più moderni in cantina per effettuarla. Un vino rosato, prodotto per il solo vezzo di avere la variante rosé a listino, ha lasciato però parecchie delusioni. Mercato interno e possibilità di esportazione: entrambe i mercati soffrono questa breve stagionalità, con il distributore che teme l’impegno economico per un vino dal ciclo di vendite così corto. E quando i vini stanno fermi, tutto il sistema va in sofferenza: enotecario e ristoratore che hanno investito denaro nelle scorte, il produttore che non vede ulteriori vendite e si chiede se continuarne la produzione, il consumatore che rischia di aprire una bottiglia non più perfetta. Chi non si chiede se produrre o meno una variante di rosé del proprio vino è il Consorzio di tutela del Prosecco Doc. È ormai avviata la discussione di modifica del disciplinare per la produzione di una variante millesimata di Prosecco Rosè (il colore si otterrebbe con una percentuale di Pinot Nero n.d.r.). Sarà logico aspettarsi un deciso interesse verso questa ipotetica variante dello spumante italiano più famoso nel mondo proprio in quei mercati che trascinano entrambe i consumi, sia di rosati, sia di Prosecco: Stati Uniti, Germania e Regno Unito. Ma tornando alla situazione di mercato attuale, cosa si può fare, nella ristorazione? Ne parliamo con Lido Vannucchi, osservatore del panorama eno-gastronomico italiano, che descrive i vini rosati come “vini dal colore di una poesia stupenda, pieni di seduzione”. Lido ci esprime il suo disappunto per il modo in cui vengono ancora fatte molte scelte nella ristorazione. “Troppe carte dei vini sono ancora basate sul nome blasonato, sulla scaletta delle posizioni geografiche da rispettare. Altre volte i ristoratori optano per ridurre il numero di fornitori, riducendo così la loro carta alla lista del rappresentante. Sogno di vedere liste dei vini più emozionali. Se i produttori spendessero più tempo a raccontare sé stessi e il loro territorio, per far emozionare per primo chi il vino dovrà poi proporlo al tavolo del ristorante! Se i ristoratori e gli enotecari visitassero di più vigneti e cantine, dando un senso emozionale alla loro scelta!” È una rivoluzione in corso per i grandi e nobili rossi piemontesi. È auspicabile che la strada intrapresa da alcuni produttori e dai loro consorzi di tutela sia quella del lavoro collettivo, per dare identità e orgoglio ai vini italiani di colore rosa.