Molti dei prodotti agricoli più prestigiosi del Piemonte nascono ai piedi delle montagne.
Il riso di Baraggia è uno di questi. Alle Alpi che coronano l’orizzonte delle risaie, individuate dal profilo massiccio del Monte Rosa, deve il microclima e i terreni morenici che ne fanno un unicum nel panorama italiano.
Quello di cui parliamo è un territorio al confine nord-est del Piemonte, tra le province di Vercelli e Biella, localmente da sempre denominata Baraggia, termine che indica un’area di brughiera. Sono, questi, terreni particolari per la loro struttura geologica e per questa ragione difficili da coltivare. Contrariamente alle altre brughiere che generalmente poggiano su terreni soffici di origine alluvionale, la Baraggia si sviluppa su suoli morenici di origine alpina, dovuti per lo più alla degradazione di rocce granitiche e porfidi quarziferi, che li rendono compatti, poco arieggiati e poveri di humus; particolarmente ricchi di ferro e scarsamente calcarei, rendono assai difficile, ad esempio, l’avvicendamento con le altre colture.
“Solo il riso si poteva coltivare qui” dice Carlo Zaccaria, presidente del Consorzio di Tutela del Riso di Baraggia Biellese e Vercellese, riferendosi a questa coltivazione storica locale che risale indietro nei secoli. Risale, infatti, almeno agli inizi del XVI secolo, vale a dire qualche decennio dopo che il duca di Milano Galeazzo Sforza aveva strappato ai mercanti veneziani il monopolio del commercio del riso introducendone la coltivazione nei suoi territori e consentendo poi al duca di Ferrara di sperimentarla. Comunque atti notarili del comune di Salussola ne testimoniano la coltivazione nel 1606. Già nel XIX secolo la reputazione del riso di Baraggia era ormai affermata; ma sarebbe stato a partire dagli inizi del ‘900 che i risicoltori di Baraggia si sarebbero distinti per le numerose varietà create, da quelle ormai dimenticate come il Ranghino del 1887 o il Greppi del 1906, ai più recenti Arborio del 1946 o Rosa Marchetti del 1964 ancora gloriosamente sugli scaffali. Oggi la superficie coltivata a riso compresa nella Dop “ Riso di Baraggia Biellese e Vercellese”, riconosciuta nel 2007, ammonta a oltre 22.000 ettari che rappresentano circa il 10% della superficie risicola complessiva italiana. Ricordiamo che sono solo tre le denominazioni registrate presso l’UE: Riso di Baraggia Biellese e Vercellese Dop, Riso Nano Vialone Veronese Igp, Riso del Delta del Po Igp. E che la maggior produzione di riso avviene nella zona di Vercelli, che è la sede della più importante borsa del riso italiana.
UNA QUESTIONE DI GUSTO
Perché i consumatori esperti apprezzano particolarmente i risi di Baraggia? È tutta una questione di gusto: chicchi più consistenti, minore collosità, resistenza alla cottura sono le qualità che distinguono i risi di Baraggia e si traducono in maggiore sapidità nei piatti. Una delle ragioni di queste eccellenti prestazioni nella pentola è che la particolarità dei terreni limita naturalmente la produttività di questa zona e questo sembra essere uno dei motivi che spiegano la migliore qualità di questi risi rispetto alle medesime varietà coltivate altrove.
“Per il riso valgono le stesse regole che per il vino” sostiene Carlo Zaccaria “più si spinge la resa e minore è la qualità. Per fortuna qui più di tanto non si può spingere”.
In effetti, l’area di produzione così descritta dal disciplinare “è costituita da un unico nucleo caratterizzato dalla particolare struttura argilloso-ferrosa che si traduce in disparate condizioni di sommersione”. Un’altra ragione è che questa zona gode di un clima specifico caratterizzato, si legge sempre nel disciplinare, “da mesi estivi piuttosto freschi nonché da frequenti inversioni termiche favorite dall’ingresso dei venti che discendono dai monti”. In sostanza le correnti d’aria fresca alpina influenzano a tal punto lo sviluppo vegetativo della pianta da spingerla a una maturazione precoce, cioè a chiudere prima il chicco, come si dice in gergo e benché si presenti più piccolo rispetto alla media della stessa varietà – il peso di 1000 grani di riso di Baraggia è sempre inferiore a uno omologo – risulta però più compatto e omogeneo in cottura. “Abissale la differenza tra un Carnaroli coltivato in Baraggia e uno coltivato altrove. Visivamente si vede la differenza” fa notare ancora Carlo Zaccaria “anche perché noi qui, per disciplinare, dobbiamo usare la varietà originale, mentre oggi vengono coltivati almeno otto tipi genetici diversi di Carnaroli”.

UN VALORE AMBIENTALE
Infine i risicoltori di Baraggia non attribuiscono minore importanza all’acqua che irriga le risaie, fredda e pulita, raccolta appena discesa dalle montagne come ricorda ancora il disciplinare: “Inoltre la presenza di acque fredde nella zona, situata ai piedi delle Alpi, fa sì che questa zona sia la prima a essere irrigata dai torrenti di montagna”. Un’acqua così fredda che in passato, subito dopo il punto di presa, all’imbocco delle risaie, veniva fatta sostare per un po’ in un piccolo spazio più profondo per farla riscaldare prima di immetterla nei vari appezzamenti. Si tratta ancora oggi di piccole risaie – non certo come quelle a perdita d’occhio della pianura – coltivate forse alla latitudine più alta a livello mondiale, attorno ai 45° di latitudine nord. Costruite su terreni leggermente terrazzati che seguono il dislivello naturale della zona pedemontana, orientata da nord ovest verso sud est, colpiscono i viaggiatori con un paesaggio molto suggestivo, con le montagne vicinissime, ben visibile anche dall’autostrada A4 nel tratto tra Carisio e Greggio. Un valore ambientale e paesaggistico che fa delle risaie della Baraggia un habitat particolare, una vera nicchia ecologica che esplicita il legame con il territorio riconosciuto dalla Dop. Cosicché il disciplinare può concludere senza tema di smentita: “Risulta da queste caratteristiche della zona di produzione che il Riso di Baraggia Biellese e Vercellese si caratterizza per la tenuta alla cottura, superiore consistenza e modesta collosità. Tali caratteristiche sono unanimemente riconosciute dai consumatori e sono attribuibili tra l’altro a rese più basse e cicli vegetativi più lunghi rispetto a quelli rinvenibili in altre zone”.

EDUCARE IL CONSUMATORE A CAPIRE LE DIFFERENZE
Riconosciute da un consumatore educato a capire le differenze, beninteso. Come dovrebbe essere il consumatore italiano, dato che l’Italia è il primo paese produttore di riso dell’UE e destina quasi la metà del prodotto al mercato interno. E si tratta per lo più di varietà da risotti. Ma i tipi di riso in Italia vengono distinti, per legge, secondo le dimensione del chicco e non in base alle caratteristiche organolettiche o di comportamento alla cottura che dipendono dal contenuto proteico delle cariossidi. Un po’ di cultura in più su un prodotto checi distingue anche sul piano internazionale non guasterebbe, anche senza arrivare ai corsi di analisi sensoriale dei risi proposti recentemente. Tuttavia ormai tutti conoscono una certa varietà di riso profumato orientale, vero o falso che sia nella confezione, ma stentano ancora a scegliere la varietà ottimale per le proprie ricette. Eppure esportiamo riso in tutto il mondo, Cina compresa. “Abbiamo risi che si adattano a tutti i gusti del mondo” conferma Carlo Zaccaria “risi che piacciono anche ai Cinesi o ai Giapponesi. Ma nel processo di valorizzazione dei risi che produciamo siamo ancora indietro”. La Dop ottenuta nel 2007 ha dato un colpo d’ala ai Risi di Baraggia, ma secondo il presidente del Consorzio il mercato potenziale è enorme. La Dop richiederebbe un impegno di promozione incisivo da parte dei produttori che, sul modello di altri prodotti esclusivi e prestigiosi, come quello dei vini nel sud Piemonte, potrebbero puntare a un mercato di nicchia dell’alta qualità per remunerare una produzione di prestigio che già sta trovando estimatori in Europa, in paesi come Francia, Germania, Svizzera, Inghilterra, Belgio e Austria, ma anche in paesi extra UE come Giappone, Australia, Canada e soprattutto Stati Uniti.
COSA PRESCRIVE LA DOP
Il Riso di Baraggia biellese e vercellese è identificato da un logo rotondo che riproduce tre chicchi di riso raffinato e riporta sullo sfondo l’immagine stilizzata del Monte Rosa, a rappresentare che è la montagna alpina, con i suoi ghiacciai e corsi d’acqua, che alimenta direttamente le risaie della Baraggia e la qualità dei suoi risi. Sono 28 i comuni, alcuni molto noti nel mondo risicolo, che rientrano nella zona d’origine delimitata dalla Dop “Riso di Baraggia Biellese e Vercellese”, un comprensorio che si estende tra le province di Biella e Vercelli: Albano Vercellese, Arborio, Balocco, Brusnengo, Buronzo, Carisio, Casanova Elvo, Castelletto Cervo, Cavaglià, Collobiano, Dorzano, Formigliana, Gattinara, Ghislarengo, Gifflenga, Greggio, Lenta, Massazza, Masserano, Mottalciata, Oldenico, Rovasenda, Roasio, Salussola, San Giacomo Vercellese, Santhià, Villanova Biellese e Villarboit. La tracciabilità del prodotto è garantita in ogni fase del processo produttivo da una struttura di controllo che gestisce la documentazione dei prodotti in entrata e in uscita e gli appositi elenchi delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, oltre a quelli dei trasformatori e dei confezionatori.
Le varietà che possono fregiarsi della Dop con relativo logo sono sette, originali della zona: Arborio, Baldo, Balilla, Carnaroli, S. Andrea, Loto e Gladio. Il risone (riso grezzo) deve essere prodotto e lavorato all’interno dei territori dei comuni indicati. Se ne ottengono le varianti “integrale”, “raffinato” e “parboiled” che riportano sulla confezione solo il nome della varietà effettivamente coltivata nel territorio e non quella di un’altra consimile come generalmente consentito. Quasi totalmente coltivato in sommersione, per proteggere le piantine di riso dalle escursioni termiche e dalle gelate tardive – l’acqua fa da isolante – il “Riso di Baraggia Biellese e Vercellese” è soggetto a un disciplinare piuttosto restrittivo rispetto alle pratiche di produzione seguite altrove, riferito a parametri qualitativi stretti che vanno dall’obbligo di coltivare i tipi genetici originali delle diverse varietà ai limiti ammessi, più semplicemente, di grani spezzati nelle confezioni (le cosiddette rotture), fissati dal disciplinare solo al 3% per il riso raffinato e parboiled e al 2% per il riso integrale. Fino a divieto, nella coltivazione, dell’impiego di concimi azotati e di fertilizzanti che contengano metalli pesanti.