La politica dedicata al settore del vino che l’Unione Europea ha varato alcuni anni fa ha portato senza dubbio contributi positivi allo sviluppo.
Già è stato un passo importante l’abbandono della logica del sostegno finalizzato alla distruzione del prodotto o al suo stoccaggio a favore di una vera valorizzazione del vino europeo nel suo complesso e, individualmente, dei singoli prodotti e dei loro produttori. Tuttavia, nell’interpretazione e nello sviluppo delle linee comunitarie, spesso intervengono elementi distorsivi che rischiano di limitare il ritorno in termini di efficienza degli investimenti effettuati dalla collettività, dai gruppi organizzati o dai singoli produttori. È il caso dell’orientamento che ultimamente sta caratterizzando la destinazione dei capitali OCM Vino, con la netta preferenza per i nuovi mercati a scapito di quelli più tradizionali, che rischiano di essere considerati maturi e, quindi, non meritevoli di sostegno.
Come tutte le esasperazioni, anche in questo caso si rischiano investimenti poco efficaci e, soprattutto, mal distribuiti nel panorama globale di un vino. È un po’ ciò che è capitato ad alcuni progetti promozionali orientati al mercato cinese, che – a fronte di investimenti anche rilevanti – hanno portato risultati scarsi in termini di vendite e di notorietà del prodotto.
Il pianeta Asti Spumante ne sa qualcosa in tal senso, visto che – nonostante l’investimento su quel mercato di alcuni milioni di euro – i ritorni in fatto di vendite per il momento sono limitati.
Nel frattempo, però, sono stati trascurati paesi di consumo tradizionale come Germania e Italia, con il risultato di dover riscontrare perdite di mercato anche in queste realtà. È vero che i fondi OCM si possono destinare solo ai paesi extra UE, ma anche mercati come gli Stati Uniti sono stati presi in scarsa considerazione. Va bene, quindi, la ricerca del nuovo e del non ancora esplorato, ma con le cautele del caso. Soprattutto, non bisogna smettere di lavorare e investire su quei mercati “tradizionali” che conoscono il prodotto, dispongono di una certa familiarità con il vino e finora hanno garantito buone soddisfazioni a tanti operatori.
Anche quest’anno, il caldo dell’estate – peraltro non insopportabile – non ha fermato il lavoro della redazione di Barolo & Co. che ha preparato questo numero per raccontare ancora i temi e le qualità dell’enogastronomia piemontese e non solo. Nella nuova rivista, la terza del 2016, troverete molti nuovi argomenti, che ci auguriamo sappiano suscitare il vostro interesse.
Il vino è ancora il protagonista assoluto con varie rubriche che raccontano la Barbera d’Alba, il Ghemme e l’originalità del Chianti Rufina. Il mito del vino è rappresentato dalla collina San Luigi di Dogliani, dal vitigno Erbaluce e dal Caluso Passito. Tra i prodotti alimentari ricordiamo le castagne, le mele antiche, l’olio di Colombara in Liguria, l’aceto di miele, la menta e la maggiorana.
Altra attenzione è andata anche ai temi del turismo del vino con le rubriche dedicate a Pinerolo e il Pinerolese, ai castelli e vitigni della Valle d’Aosta e al Museo del Castello di Grinzane Cavour.
Il passato ritorna con le sue testimonianze su Arturo Bersano, le case chiuse di antica memoria e il passaggio dalla Vernaccia allo Sciacchetrà.
La rubrica della poesia ripropone il “Quant’è bella giovinezza…” di Lorenzo il Magnifico; infine, le rubriche “Fornelli d’Italia” e “Il vino al banco” annunciano nuove piacevoli proposte dai mondi della ristorazione e dei locali del vino. Questo è il nostro un nuovo contributo alla conoscenza e alla formazione per il mese di settembre e anche oltre.