Vino di lunga tradizione e storia, il Vino Nobile di Montepulciano è stato tra i primi rossi italiani a fregiarsi della Doc e poi della Docg.
Nasce come altri grandi rossi toscani dal vitigno Sangiovese e ha come zona di origine il solo comune di Montepulciano in provincia di Siena.
Chi di voi salirà sulla torre del Palazzo Comunale di Montepulciano, dopo aver ripreso fiato, non potrà che fare due cose: guardare e andare indietro nel tempo. Da quell’osservatorio che spazia su metà Toscana e una buona fetta d’Umbria sembra di toccare la rocca di Montalcino da una parte e le case di Cortona dall’altra. Il monte Subasio a est ed il Monte Amiata e le colline maremmane a sud/sud-ovest fanno da confine visivo a un mare di verde, con alcune macchie azzurre in corrispondenza dei laghetti di Montepulciano e Chiusi e del loro fratello maggiore, il Trasimeno. Di fronte a questo panorama, complice anche la struttura cinquecentesca di Montepulciano, vi sentirete come un signorotto rinascimentale che osserva i suoi possedimenti. Prima di un qualsiasi signorotto rinascimentale è stato Tito Livio, nel III sec. a.C., a menzionare i vini locali. Per non parlare di un certo chierico Arnipert, che nel IX secolo devolve alla chiesa un terreno coltivato a vigna nel “Castello di Policiano”. Praticamente contemporanee di quel signorotto invece sono le Clausole del 1350 (citate dal Repetti nel Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana) per il commercio e l’esportazione del vino locale. Nel XV secolo Agnolo Ambrosini, detto il Poliziano proprio per i suoi natali, scrivendo la favola di Orfeo fa dire alle baccanti “…chi vuol bevere, chi vuol bevere, venga a bevere, venga qui” riferendosi al vino della sua città. Anche i papi di quel periodo non si facevano mancare il vino di Montepulciano. Paolo III Farnese era ghiotto del vino locale, magari dietro consiglio del Cardinal Tarugi, originario di Montepulciano. Citiamo di sfuggita l’ormai troppo decantato Bacco in Toscana di Francesco Redi e arriviamo al secolo dei lumi, dove Voltaire fa invitare da Candide delle persone a pranzo proponendo pernici di Lombardia, uova di storione e vino di Montepulciano. Dai piatti prelibati alla pura sopravvivenza: anche lì il Nobile è utile, visto che Edmond Dantes è lasciato a espiare sull’isola di Montecristo, ma con del vino di Montepulciano. Lo stesso Presidente americano Thomas Jefferson, esperto di vini tanto da vendere Champagne negli Stati Uniti (prima di diventarne il Presidente…ovviamente), nel suo viaggio in Italia assaggiò spesso il Vino Nobile, che del resto era citato in moltissimi resoconti dei Grand Tour ottocenteschi.

IL NOVECENTO
Se l’Ottocento è stato il secolo dei Grand Tour, il Novecento potremmo chiamarlo a Montepulciano (ma in generale in tutta la Toscana) come il secolo della mezzadria e della grande fatica. La mezzadria era una forma di contratto tra padrone e famiglia contadina dove il primo metteva il podere da lavorare e le sementi e il secondo tutto il resto: alla fine si faceva “a metà” del ricavato. Sempre dalla Torre del Comune puntate l’occhio sulle varie case coloniche che si trovano attorno a Montepulciano e immaginatele come “poderi”, cioè come fulcro di un’economia dove tutto si doveva produrre in loco e quindi dove tutto doveva essere più di quantità che di qualità. Il vino non faceva eccezione e così il Vino Nobile di Montepulciano ha (nella maggioranza dei casi) attraversato il secolo scorso come vino/alimento, buono per “sfamare” chi doveva lavorare duro sulle terre del padrone. Naturalmente c’erano le eccezioni, ma fino alla morte della mezzadria negli anni sessanta, la situazione non era molto diversa. Il momento di passaggio tra la mezzadria e la viticoltura moderna a Montepulciano è avvenuto (come in tutto il resto della Toscana) tra gli anni Sessanta e gli Ottanta e ha portato a un nuovo rinascimento di questo vino.
IL VINO NOBILE OGGI<7h3>
Ma che vino è questo Nobile di Montepulciano? È un rosso a base Sangiovese (almeno 70%), mediamente più corposo di un Chianti Classico, ma meno potente di un Brunello. Questa differenziazione, forse vera trenta anni fa, è in sé oggi abbastanza dozzinale perché oramai le tipologie del Nobile hanno tra le loro file vini estremamente potenti e corposi. Infatti oggi, oltre al Vino Nobile, esistono la Riserva e soprattutto le Selezioni, che alzano di molto il livello di concentrazione e potenza del vino. Ma sia esso Nobile, Selezione o Riserva, certo è che i terreni sono diversi rispetto alle altre denominazioni storiche. Non si trova certo il galestro chiantigiano, ma terreni di origine alluvionale, ghiaiosi, sabbiosi e/o con importanti componenti argillose. Se ci mettiamo anche un clima sicuramente più mite, eccoci a dei Sangiovesi che in bocca mostrano buona struttura, magari non con un’elevata acidità, e al naso puntano sulle classiche note del Sangiovese declinate verso frutti rossi di buona maturità.
Sangiovese o Prugnolo Gentile? Da soli o in compagnia?
Il bello del Vino Nobile è che da queste parti il Sangiovese non è un figlio unico, ma il gemello del Prugnolo Gentile. Da sempre infatti i due nomi stanno a identificare il Sangiovese locale, ma da qualche anno si sono fatti studi clonali che hanno portato alla definizione di un clone di Prugnolo Gentile, oggi utilizzato anche come “vitigno migliorativo” nell’uvaggio. Naturalmente si continua ancora in molti casi a usare i due termini senza un reale confine, anche perché in realtà la stragrande maggioranza del Sangiovese locale è realmente Sangiovese. Ma il vino Nobile ha oggi una particolarità che, almeno dai puristi del Sangiovese non è vista benissimo: da alcuni anni si può aggiungere fino ad un 30% (altre denominazioni storiche, come il Chianti Classico, arrivano al 20%) di altre uve. Se storicamente le uve che facevano parte del classico uvaggio (oltre alle bianche ridotte oggi, almeno sulla carta, al 5%) erano Canaiolo, Ciliegiolo e Mammolo, oggi diversi utilizzano Cabernet Sauvignon e/o Merlot, che certamente (specie se usati fino al massimo consentito dal disciplinare) portano il vino a note olfattive e strutturali molto diverse da un Sangiovese in purezza o con aggiunta di vitigni autoctoni. La discussione è in atto, ma a Montepulciano oramai ci sono varie strade per produrre il Vino Nobile (e il Rosso di Montepulciano, vino rosso che nasce dalle stesse uve, ma viene messo in commercio molto prima): quella che punta sul Sangiovese in purezza o con piccole aggiunte di vitigni autoctoni (la maggioranza) e quella che utilizza tranquillamente uve internazionali. Questo porta, aldilà della qualità finale del prodotto, alta in ogni caso, ad avere delle diversità che non contribuiscono certo a una immediata riconoscibilità del vino. Comunque un calice di Vino Nobile di Montepulciano ha bei profumi fruttati e un bel calore in bocca, dove tannini equilibrati ma importanti svolgono bene il loro lavoro.
LE COMPAGNIE A TAVOLA
A proposito di “lavoro in bocca”, la cucina poliziana si svolge attorno a due capisaldi: i pici e le carni: tra quest’ultime, da una parte troviamo animali da cortile come conigli, oche, anatre, piccioni, dall’altra prede di caccia come colombacci, fagiani, caprioli e ovviamente cinghiali. Per quanto concerne i pici, è l’unico esempio toscano di pasta lunga. I pici sono composti da acqua, farina, sale e un cucchiaio di olio extravergine di oliva. Solo in casi eccezionali viene aggiunto un uovo. Il bello dei pici è il sistema di lavorazione della pasta. Questa, una volta preparata e lasciata una notte a riposare, passa nelle abili mani delle massaie che ne prendono piccoli quantitativi e la stendono manualmente sulla spianatoia. Dalla pallina iniziale prendono forma velocemente dei lunghi “spaghettoni” irregolari che non vengono essiccati ma cotti immediatamente. “La su’ morte” è il sugo all’aglione, composto da innumerevoli spicchi d’aglio saltati nell’olio a cui si aggiunge del pomodoro fresco o della salsa di pomodoro. Chi avesse invece a cuore l’incolumità dei vicini può sempre condirli con un bel ragù di anatra o di oca.
E veniamo alle carni.
A proposito di anatra, in loco chiamata nana, vi racconto un aneddoto accaduto a una mia amica che ha un ristorante in zona. Una delle prime volte che il suo fidanzato piemontese veniva a trovarla rimase scioccato perché lesse su striscioni e manifesti di una, per lui agghiacciante, Sagra della nana. “Ma voi toscani non avete rispetto per niente- disse scandalizzato- Già le poverette hanno problemi e voi le mettete addirittura alla berlina!”. Gli venne subito spiegato che le nane in questione non erano donne affette da nanismo ma le anatre, dette “nane” perché più piccole delle oche a cui assomigliano e con cui dividono il cortile. Tra i piatti tradizionali più gustosi c’è appunto l’oca o l’anatra arrosto, insaporita con salvia, rosmarino, aglio, pepe e sale e cotta lentamente in forno, possibilmente a legna. Tra la cacciagione, oltre al classico arrosto girato di uccellini che prevede migliaia di varianti, o i tradizionali umidi di cinghiale, mi piace parlare del colombo o colombaccio, ripieno di un battuto di salsiccia, pane ammollato nel latte, salvia, rosmarino, sale e pepe e cucinato lentamente in un tegame di coccio con un soffritto di cipolla, carota e poca salsa di pomodoro. Anche il piccione, che in molte regioni italiane non viene mangiato, a Montepulciano è un piatto da signori, sempre in tegame, ma ripieno di un battuto delle sue interiora, aglio, prezzemolo, uovo, pecorino stagionato, pangrattato, sale e pepe. Molti, poi, si domanderanno perché tra le carni non abbia parlato di una delle razze italiane più famose, la chianina, nata a pochissimi chilometri, in Val di Chiana. L’utilizzo della carne chianina nelle ricette locali è abbastanza recente, perché in realtà era una razza da lavoro e non da carne. Per questo non esiste una tradizione che affondi nella notte dei tempi, anche se oramai non solo il ragù ma tanti piatti di lunga cottura, come stracotti o umidi, vedono l’utilizzo della carne chianina, che però, proprio perché razza da lavoro, ha bisogno di una frollatura più lunga oppure di persone non abituate al “tonno che si taglia con un grissino”.
LE REGOLE DEL DISCIPLINARE
Secondo il Disciplinare, le caratteristiche del Vino Nobile di Montepulciano sono:
Vitigni: Sangiovese, denominato a Montepulciano “Prugnolo Gentile”, per un minimo del 70%. Possono concorrere fino ad un massimo del 30% vitigni complementari, purché quelli a bacca bianca non superino il 5%.
La resa massima per ettaro è di 8.000 kg, con una resa in vino effettiva del 70%.
Il vino può essere immesso in commercio solo dopo due anni di maturazione (tre per la tipologia Riserva)
Per quanto concerne il Rosso di Montepulciano Doc, la zona di produzione è la stessa del Nobile, identiche anche le uve utilizzate. La resa massima è di 10.000 kg ad ettaro e quella in vino del 70%. Può essere messo in commercio dal marzo successivo all’anno di vendemmia.
DOVE NASCE IL VINO NOBILE DI MONTEPULCIANO
Nel 1966 ottiene la Doc ed è tra i primi dieci vini italiani a dotarsi di questo imprimatur di qualità. Nel 1980 (attiva dal 1984) la Docg. La zona di produzione è limitata al territorio del comune di Montepulciano, compresa tra i 250 ed i 600 m s.l.m. Gli ettari di vigneto dedicati alla produzione di questo vino Docg sono 1.300, mentre per la produzione di Rosso di Montepulciano DOC sono circa 400. La produzione di Nobile si aggira sui 7 milioni di bottiglie, mentre quella del Rosso di Montepulciano si attesta poco sotto i 3 milioni. Il Vino Nobile di Montepulciano si vende molto all’estero (circa 80% della produzione). In Italia, invece, è bevuto soprattutto in Toscana e nel Centro/nord.
IL BRAVIO
Nel 1974 rinasce il Bravio, nato nel medioevo come corsa di cavalli. Per la sua rinascita venne scartata la corsa di cavalli a favore di una gara che potremmo definire “podistico-bottaia”. Due atleti per ognuna delle otto contrade cittadine devono correre in coppia spingendo una botte per le ripide stradine del percorso cittadino. Questo è quasi tutto in salita e lungo quasi due chilometri: è micidiale perché, oltre a correre in sincrono con il compagno spingendo una botte, bisogna fare i conti con continui cambi di dislivello e con un selciato irregolare. Nonostante questo, i più bravi compiono il percorso in meno di nove minuti. La contrada vincente riceve il Bravio, cioè un panno dipinto (tanto per capirci…a Siena lo chiamerebbero Palio) realizzato ogni anno da un artista diverso. La corsa si svolge sempre l’ultima domenica di agosto.