Nebbiolo d’Alba, la nobiltà del vino

“Personaggio” a sé stante, sbarazzino e impertinente

Giancarlo Montaldo Dicembre 2017
Nebbiolo d’Alba, la nobiltà del vino

“Nasce sulle colline albesi, a destra e sinistra del Tanaro. Con la sua qualità e prestigio mette d’accordo Langa e Roero. Nebbiolo è il vitigno, Alba è il riferimento d’origine, con le colline di 32 paesi che ne firmano la produzione. A tavola si sposa con l’eleganza dei piatti di entrata come con la struttura di carni e formaggi.”

Dal momento in cui ha ottenuto la denominazione di origine (25 maggio 1970), il Nebbiolo d’Alba ha vissuto una vita da sparring partner tra Barolo e Barbaresco.

Non ha mai avuto la storia del primo e nemmeno l’aristocrazia del secondo, ma ha saputo ritagliarsi con autorevolezza una posizione di privilegio. Lo ha favorito anche la posizione della sua zona di origine, un po’ alla sinistra e un po’ alla destra del fiume Tanaro, in quel mondo di colline albesi che fin dal passato hanno dedicato molti spazi alla coltivazione del Nebbiolo, il vero protagonista della sua base ampelografica. L’arrivo del vino Roero – nella parte di territorio alla sinistra del fiume – non ne ha scalfito più di tanto le certezze. Il favore dei produttori per il Nebbiolo d’Alba è rimasto intatto. Anzi in certi periodi storici ha rinsaldato i legami con i suoi produttori. Forse un po’ più di titubanza l’ha provata con il 1994 quando è arrivato il riconoscimento del Langhe Nebbiolo. I caratteri assai fragranti e quel modo di essere sbarazzino e impertinente del nuovo vino lo hanno messo un po’ più in difficoltà. Ma il patrimonio dei vigneti a disposizione e la quantità delle bottiglie prodotte hanno conservato livelli rimarchevoli.Sbagliava nel passato e sbaglia anche adesso chi pensa che il Nebbiolo d’Alba abbia una parentela di origine con Barolo e Barbaresco. Solo il vitigno è in comune. Per il resto è stato concepito e sviluppato in un territorio differente ed è poco per volta diventato un personaggio a sé stante, che ha saputo giocare la sua partita senza sfigurare.

ALCUNI SPUNTI DI STORIA

Ci sono alcuni fatti storici che vanno ricordati e tenuti in considerazione. Nulla succede per caso. Soprattutto, la conoscenza della storia può aiutarci a capire il presente e a progettare il futuro. Che il Nebbiolo sia un vitigno nato tra le colline di Langa e Roero oppure che vi sia arrivato da altri lidi in definitiva poco importa. Un giorno forse qualcuno potrà chiarire questo elemento. Ma la storia ci dice che il legame tra il Nebbiolo e il territorio di Langa e Roero è molto profondo. Mentre l’Italia stava per uscire dal nebuloso Medioevo, le vigne piemontesi ricominciavano a popolarsi dei vitigni tradizionali e soprattutto tornavano a evidenziare il vitigno coltivato. Il Medioevo era stato un periodo molto buio sotto tanti punti di vista. Anche quello ampelografico: aveva spesso sostituito il monovitigno con l’uvaggio di tante differenti varietà. Il primo vitigno ad avere una citazione storica attendibile è proprio il Nebbiolo, segnalato come vino da “uva Nibiol” in un documento del 1266 (non 1268 come citato a più riprese) della Castellania di Rivoli riguardante la produzione delle vigne del Conte Umberto de Balma. Circostanza questa che trova ulteriore conferma nel libro “Documenti per la storia del Piemonte (1265-1300)” redatto da Stanislao Cordero di Pamparato, senatore del Regno di Sardegna (1797-1863). L’uva Nubiola viene poi citata dal bolognese Pier de’ Crescenzi (per molti anni giudice ad Asti) nel 1330 nell’opera intitolata “Ruralium Commodorum”, dove scrive di una “spezie di uva nera detta Nubiola, la quale è dilettevole a manicare e maravigliosamente vinosa… e fa ottimo vino e da serbare e potente molto… ed è lodato nella città di Asti e da quelle parti…” Le citazioni si susseguono numerose lungo tutta la parte restante del Medioevo e il successivo Rinascimento, con riferimenti più specifici al territorio albese. Nel 1606, Giovan Battista Croce, nella pubblicazione “Dell’eccellenza e diversità dei Vini che nelle montagne di Torino si fanno” indica il Nebbiolo come “la regina delle uve nere” Molto interessanti sono i riferimenti che ci vengono dagli Statuti del comune di La Morra, Ius Municipale Loci Murrae, stampati nel 1680 in un volume di 100 pagine tratto da un originale codice cartaceo del 1512 conservato nell’Archivio Comunale di La Morra. Molte citazioni sottolineano tutto il valore che veniva attribuito al vitigno Nebbiolo, ritenuto – come scrive Renato Ratti nella Guida ai Vini del Piemonte (1977) “prezioso e da proteggere in modo particolare”.

Ma le segnalazioni del Nebbiolo non si limitano al solo territorio albese: nel 1798 il conte Nuvolone nella relazione intitolata “Sulla coltivazione delle viti e sul metodo migliore di fare e conservare i vini” cita il Nebieul tra le varietà piemontesi come uva che “si confà con tutte le terre”. Nel 1821, sul Calendario Georgico dell’Accademia di Agricoltura di Torino, Antonio Maria Vassalli-Eandi, nell’intervento intitolato “Navigazione dei vini piemontesi” segnala come del vino Nebbiolo prodotto in vigneti di Costigliole d’Asti e di San Marzano sia stato imbarcato per Rio de Janeiro e come il trasporto non ne abbia minimamente scalfito la qualità. Nel 1823 il conte Carlo Ilarione Petitti di Roreto, personaggio di spicco del Risorgimento italiano e senatore del Regno di Sardegna, in una relazione statistica sulla provincia di Asti segnala tra i vitigni “l’eccellente Nebbiolo”. Infine, nel 1847, Giuseppe Luigi De Bartolomeis nel libro “Notizie topografiche e statistiche sugli Stati Sardi” a pag. 328, nel grande capitolo dedicato alla provincia d’Alba, segnala il Nebbiolo coltivato a Castiglione Tinella, uno dei luoghi dove oggi se ne sono perse le tracce. Nel tempo la situazione si è via via modificata. Il Nebbiolo da vitigno diffuso in tanti luoghi del Piemonte meridionale ha poco per volta concentrato la sua presenza nel territorio albese, dando luogo a una sorta di “ritirata” come la definisce Renato Ratti nel capitolo “Le battaglie dei vitigni” nel libro “Della vigna e del vino nell’Albese” realizzato nel 1971 in sinergia con l’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini di Alba. In questo capitolo, Ratti scrive: “La grande ritirata del Nebbiolo è conseguenza delle continue sconfitte ricevute ogni volta che l’urto con altri vitigni ha come obiettivo la quantità o una minor difficoltà nella coltura… Il grande nemico del Nebbiolo è il vitigno Barbera…” arrivato nell’Albese verso la fine del secolo XIX. Infatti, Lorenzo Fantini, nella sua “Monografia agraria sul circondario di Alba” nel 1883 segnala il Barbera coltivato a Govone e Priocca, mentre nella Langa inizia a essere coltivato ma in modo più sporadico a Diano e Monforte d’Alba. Questa evoluzione è evidente nelle cosiddette medie generali del mercato di Alba del 1893 pubblicato dalla Gazzetta d’Alba: il primo posto spetta alle uve Dolcetto con 296.249 Mg, il secondo al Barbera con 86.213 Mg, il terzo al Neirano con 35.373 Mg, il quarto al Freisa con 15.002 Mg e il quinto al Nebbiolo con 10.832. Questa presenza così ridotta delle uve Nebbiolo è dovuta anche a un altro fattore, ossia la tendenza alla vinificazione in zona che già allora prevaleva nelle aree dei vini prodotti da Nebbiolo (Barolo, Barbaresco e Roero): quelle erano uve che andavano direttamente dalle vigne alle cantine e non transitavano sul mercato albese. Da questi dati si percepisce anche la grande presenza delle vigne di Dolcetto e la tendenza all’incremento di quelle di Barbera, un vitigno di facile adattamento e con una costante propensione alla buona produzione annata per annata. Il legame così stretto tra il Nebbiolo e il territorio albese ha portato, a fine Ottocento, a proposte che non hanno trovato realizzazione concreta, come quella di fare una zona unica di produzione tra destra e sinistra Tanaro e denominare il vino ovunque “Barolo”. Grande assertore di tale ipotesi era stato allora il prof. Domizio Cavazza, primo direttore della Regia Scuola Enologica di Alba.

Al proposito, la “Gazzetta di Dogliani” n. 131 del 16 luglio 1892 ha pubblicato una relazione tenuta dal prof. Cavazza al Circolo Enofilo di Conegliano. Intitolata “Cenno enografico del Barolo”, la relazione riporta testualmente a proposito dell’ipotetica zona di origine del Barolo allargata a destra e sinistra Tanaro: “La zona tipica è formata dai comuni di Barolo, La Morra, Castiglione Falletto, Grinzane, Verduno, Serralunga, Monforte, Perno, Roddi, Monchiero, Castelletto di Monforte, Diano d’Alba, Neive, Barbaresco e Alba sulla destra Tanaro; poi Santo Stefano Roero, Vezza, Monticello, Santa Vittoria, San Martino e qualche altro sulla sinistra.” Questa ipotesi non ebbe seguito e così Domizio Cavazza volse le sue attenzione al Barbaresco e contribuì in modo decisivo allo sviluppo di quel territorio e di quel vino. Negli anni Venti del Novecento, la legge sui Vini Tipici di Pregio (18 marzo 1926) ha di fatto aperto la strada al Barolo e al Barbaresco per una prima regolamentazione e tutela delle loro produzioni. Nella parte restante dell’Albese dove si era consolidata la coltivazione del Nebbiolo (il Roero alla sinistra del Tanaro e i paesi di contorno alle zone del Barolo e del Barbaresco alla destra) non si è trovata una soluzione condivisa che privilegiasse il riferimento geografico a quello del vitigno. Nonostante questa legge e la presenza di alcuni uomini illuminati, il territorio albese stava per scivolare in uno dei periodi più tristi della sua storia anche dal punto di vista vitivinicolo. Avrebbe contribuito a questo tracollo la politica autarchica del governo fascista: la cosiddetta “battaglia del grano” avrebbe poco per volta disincentivato la coltivazione del vigneto e la produzione del vino in funzione del mercato per farne soltanto un fattore della dieta alimentare della popolazione locale. Poi sarebbero arrivati il secondo conflitto mondiale e la guerra civile ad aggravare definitivamente la situazione. Il cambio di marcia è avvenuto tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, quando sono entrati in scena alcuni personaggi illuminati, molti piemontesi, primo fra tutti il Sen. Paolo Desana da Casale Monferrato. Con lungimiranza e ostinazione hanno lottato e ottenuto la legge 930 del 1963 sulle Denominazioni di origine dei vini.

Colline in Langa, a Diano d’Alba

COLLINE TRA LANGA E ROERO

Ottenuta la Doc di Barolo e Barbaresco nel 1966, per il Nebbiolo d’Alba non si è dovuto aspettare molto. Quattro anni e il progetto si è concretizzato: il Roero alla sinistra del Tanaro e alcuni paesi alla destra di cerniera o di contorno al Barolo e Barbaresco hanno dato vita alla zona d’origine del Nebbiolo d’Alba. Il 9 settembre 1970 la Gazzetta Ufficiale pubblicava il decreto di riconoscimento del Nebbiolo d’Alba Doc, approvato il 25 maggio dello stesso anno. Da allora sono intervenute alcune periodiche modificazioni per adeguare il disciplinare alle norme generali e alle esigenze di produzione e mercato. L’ultima risale al 7 marzo 2014.

La zona di origine è formata da 32 paesi dell’Albese: dieci per l’intero territorio (Canale, Castellinaldo, Corneliano d’Alba, Monticello d’Alba, Piobesi d’Alba, Priocca, S. Vittoria d’Alba, Vezza d’Alba, Sinio e Govone); ventidue invece per una parte di territorio (Alba, Bra, Baldissero d’Alba, Castagnito, Diano d’Alba, Grinzane Cavour, Guarene, La Morra, Magliano Alfieri, Monchiero, Monforte d’Alba, Montà, Montaldo Roero, Montelupo Albese, Monteu Roero, Novello, Pocapaglia, Roddi, Roddino, S. Stefano Roero, Sommariva Perno e Verduno). La collina è il denominatore comune, una collina ben configurata zona per zona: alla destra del fiume, le colline sono allungate, spesso molto ripide e racchiudono vallate strette. Alla sinistra, c’è sempre la collina allungata, ma spesso è sormontata da un ulteriore cocuzzolo che rende l’ambiente ancora più impervio. Anche l’origine geologica è differente seppure i due versanti del fiume appartengano entrambi all’Era Terziaria. La sinistra, più giovane, è emersa dal Mare Padano in un periodo più recente, il Pliocene. I territori alla destra sono più antichi e risalgono al Miocene. Tutto ciò si riflette sui terreni e sui vini. In Langa il suolo è più sodo e compatto e i vini hanno caratteri di spiccata robustezza.

Nel Roero i terreni sono più sciolti e i vini più delicati ed eleganti. Volendo approfondire di più l’analisi, nel Roero possiamo ancora fare una divisione, prendendo con elemento di ripartizione la strada che da Alba va verso Torino. Alla sua sinistra c’è il Roero più ortodosso, dove la porzione di arenaria è più consistente: qui si notano paesi come Vezza d’Alba, Piobesi d’Alba, Corneliano, Monteu Roero, Canale, Santo Stefano Roero, Santa Vittoria d’Alba e altri ancora. Poi c’è il territorio alla destra della strada, fatto da Guarene, Castagnito, Castellinaldo, Magliano Alfieri, Priocca e Govone. Qui la componente sabbiosa è meno decisa e il terreno ha più assonanze con la destra Tanaro. I vini ne sono la conseguenza: nel Roero più classico l’armonia prevale sulla potenza, nel Roero di Castellinaldo e dintorni l’eleganza sposa la struttura, alla destra del fiume prevale la potenza su tutto.

IL NEBBIOLO E LE REGOLE

Il Disciplinare prevede quattro tipologie: Nebbiolo d’Alba, Nebbiolo d’Alba Superiore, Nebbiolo d’Alba Spumante e Nebbiolo d’Alba Spumante Rosé. In tutte è previsto anche l’uso della menzione “Vigna” rispettando le regole più restrittive che i vini piemontesi Doc e Docg si sono dati per usare tale specificazione. La base ampelografica è legata al 100% al Nebbiolo. Le regole in vigneto prevedono terre argillose, calcaree, silicee e loro combinazioni e un’altitudine non superiore ai 650 metri s.l.m. L’esposizione esclude il versante nord da -22,5° a +22,5° sessagesimali. I nuovi impianti debbono avere almeno 3.300 ceppi per ettaro. La resa massima di uva a ettaro è fissata in 9.000 kg per Nebbiolo d’Alba e Nebbiolo d’Alba Superiore e in 11.000 per Nebbiolo d’Alba Spumante e Nebbiolo d’Alba Spumante Rosé. Le regole di cantina prevedono che le operazioni di vinificazione possano essere effettuate nella zona d’origine delle uve e nella parte restante della provincia di Cuneo e in quelle di Asti e Torino. In tutte le tipologie la resa uva/vino non deve superare il 70%. Esiste un periodo di invecchiamento obbligatorio e decorre dal 1° novembre dell’anno di raccolta delle uve: per il Nebbiolo d’Alba dura 12 mesi, per il Superiore 18 mesi (di cui 6 in legno) e per i due Spumanti 6 mesi. Questi possono essere prodotti con il metodo Martinotti o con il Classico. Al consumo, la gradazione alcolica minima è fissata in 12%Vol per il Nebbiolo d’Alba e in 12,5%Vol per la tipologia Superiore. I due Spumanti debbono avere almeno 11% Vol. Con la menzione “Vigna” le gradazioni minime salgono di 0,5%Vol. L’ultima indicazione riguarda l’indicazione dell’annata di produzione: è obbligatoria per il Nebbiolo d’Alba e il “Superiore”, facoltativa per i due Spumanti.

ROSSO NEL CALICE E FRAGRANTE

Il Nebbiolo d’Alba colpisce fin dal colore, quel rosso che da giovane ricorda le fragole mature e con il tempo che passa si tinge di granato e di mattone come se si specchiasse nel sole al tramonto. Ma il naso si emoziona ancora di più: i sentori fruttati ricordano fragola di bosco e lampone, i sentori floreali richiamano il geranio e il giaggiolo. Il tempo conduce ai sentori eterei, a un frutto più maturo di confetture, pesca e albicocca passite. Poi le spezie annotano dapprima cannella e pepe verde e sfumano nella vaniglia e qualche volta nell’ammiccante tartufo bianco. A tavola cerca i piatti che valgono, da quelli di entrata di carni e sapori decisi alle paste ripiene con condimenti gustosi, dalle carni al forno o in casseruola ai formaggi di bella stagionatura.

LO SPUMANTE È TORNATO

Sembrano fatte apposta le due tipologie di spumante – una bianca e l’altra rosé – a rispondere con favore alla voglia di bollicine che molti produttori di Nebbiolo hanno rivelato negli ultimi anni. Qualcuno l’ha capito e ha cominciato a utilizzare una delle due tipologie per qualificare una parte della propria produzione. Qualcun altro arriverà. È vero: la soluzione “Nebbiolo d’Alba Spumante” non può essere percorsa da chi produce Barolo e Barbaresco, ma è giusto che una volta tanto questo vino e i suoi produttori abbiano una freccia in più da tirare. La riscoperta dello spumante a base Nebbiolo è come un ritorno al passato. Nulla di nostalgico. Solo il riconoscimento che sulle colline albesi i produttori di fine Ottocento avevano visto giusto e capito quanto di straordinario sapesse regalare il vino di Nebbiolo avviato alla spumantizzazione.

UN OCCHIO ALL’ECONOMIA

Prima di concludere dedichiamo un po’ di spazio ai temi economici. Dal punto di vista viticolo il potenziale produttivo del Nebbiolo d’Alba naviga con il vento in poppa: gli 807 ettari vitati del 2016 sopravanzano l’anno precedente di 59 ettari, rimarcando ciò che di positivo sta succedendo a tutti i vini a base Nebbiolo. Anche la produzione 2016 è in tendenza favorevole: nel 2016, le bottiglie sono state 4.459469, circa 150.000 in più del 2015 (4.306.667), frutto di un’annata (il 2016) un po’ più fertile della precedente. Poco importa se poi, lungo il mercato, una parte di queste bottiglie confluisce nel grande alveo del Langhe Nebbiolo. Si sa, quello è un vino “di ricaduta”, che attinge da tutte le denominazioni superiori a base Nebbiolo. Ciò che importa è che questo vino tiene in alto il nome del Nebbiolo, che per chi vive la viticoltura di queste colline è il vitigno più bello del mondo.

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