Tecnicamente, è una “denominazione di territorio”, in quanto l’area d’origine prevale rispetto ai vitigni che ne sono corollario e ne caratterizzano i vini regolamentati dal Disciplinare di produzione
Risale al 1994 il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata “Monferrato”. Se n’era parlato a lungo in un dialogo costante tra questa realtà e quella adiacente delle Langhe Albesi. C’era un progetto globale per l’intero Piemonte che era stato lasciato in eredità da un personaggio di alto profilo come Renato Ratti, un progetto che andava concretizzato.
Tre erano le ipotesi di denominazione ipotizzate: “Langhe” per il territorio vitato dell’Albese in destra e sinistra Tanaro, “Monferrato” per il mondo collinare che univa le province di Asti e Alessandria e Piemonte, un riferimento di origine dai contorni più ampi, per lo meno tutta la realtà subalpina a sud del fiume Po.
Il dialogo tra Monferrato e Langhe mirava a razionalizzare il legame tra le tre denominazioni di origine individuando i vitigni che avevano più spazio e storia nei singoli territori. Si volevano evitare sovrapposizioni o duplicazioni capaci di risultare negative o creare confusione.
Nell’analisi orientata al territorio tra le province di Asti e Alessandria si capì che il Monferrato non era uno solo. E non solo per storia e radicamento tradizionale, ma anche per la presenza di caratteri ambientali e varietali assai specifici. Due erano e sono i denominatori comuni di questo grande territorio: da un lato, la collina, seppure dalle forme molto differenti tra loro, dall’altro il legame di tradizione con la coltivazione della vite e la produzione del vino. Ed è stato questo legame a guidare i ragionamenti che nel 1994 hanno portato alla Doc Monferrato.
Il dualismo con la Barbera del Monferrato
Analizzando globalmente questo importante progetto balza agli occhi una contraddizione. Quella del 1994 non era la prima volta che il riferimento “Monferrato” entrava nella denominazione di un vino. Il primo caso si era verificato addirittura nel 1970, quando era stata riconosciuta una prima Doc con questo nome legata in prevalenza al vitigno Barbera, la Barbera del Monferrato.
A un osservatore esterno ancora adesso è difficile capire come mai lo stesso giorno (il 9 gennaio 1970) siano state riconosciute alla Doc la Barbera d’Asti e la Barbera del Monferrato con il medesimo vitigno e in un territorio in gran parte sovrapponibile.
Forse a determinare questo doppione sono intervenute motivazioni localistiche o di campanile, ma nella realtà hanno creato un complicato accavallamento di situazioni che ha creato confusione e non ha determinato particolari vantaggi per i produttori e le loro strategie.
La grande occasione per risolvere il dualismo tra Barbera d’Asti e Barbera del Monferrato poteva essere proprio il riconoscimento della Doc Monferrato, il 22 novembre 1994. Forse sarebbe stato opportuno estrapolare la Doc Barbera del Monferrato e farla confluire nella Doc Monferrato, attribuendole sia la funzione di denominazione di primo livello nei territori dove non operava la Barbera d’Asti e sia quella di denominazione di ricaduta laddove fosse operativa la Barbera d’Asti.
È vero che c’erano dei diritti acquisiti difficili da alienare, ma in una strategia di territorio qualcosa si sarebbe potuto tentare. Tale correzione in effetti non si è verificata e così si sono avute due conseguenze: da un lato, si è creata la Doc territoriale “Monferrato” senza il vitigno più rappresentativo (il Barbera), dall’altro, si è perpetuato il dualismo tra Barbera d’Asti e Barbera del Monferrato, una Doc quest’ultima che ha continuato a coinvolgere in modo non del tutto convincente sia i produttori che il mercato.
Non solo. Con un successivo intervento, il 27 giugno 2008 è stata riconosciuta nell’ambito della Barbera del Monferrato la tipologia Superiore come vino Docg, ingarbugliando ulteriormente la matassa e creando proprio nella Barbera del Monferrato che nel tempo sembrava essersi caratterizzata con uno stile giovane e fragrante una tipologia con un periodo di maturazione obbligatoria, strutturata e corposa, in discontinuità con l’impostazione generale di questo vino.
La realtà territoriale viticola di queste due province si è quindi trovata (e si trova tuttora) con tre vini a denominazione, che a loro volta hanno tre differenti zone di origine delle uve: l’area di produzione più piccola appartiene alla Barbera d’Asti, oggi Docg, che dispone di 167 comuni (116 in provincia di Asti e 51 in quella di Alessandria). Più estesa è la zona di origine della Barbera del Monferrato con 216 paesi totali (117 in provincia di Asti e 99 in quella di Alessandria). La zona più ampia è quella della Doc Monferrato, che globalmente conta su 229 comuni, 118 dei quali localizzati in provincia di Asti e 111 in quella di Alessandria.
Quando prevalgono i caratteri ambientali
Facendo riferimento ai terreni, alla loro origine, alla loro composizione e alle altitudini sul livello del mare, il Monferrato si può segmentare – anche se in modo non così schematico – in tre parti: Alto, Medio e Basso Monferrato.
Cominciamo dalla fascia collinare più a sud, dove troviamo l’Alto Monferrato, quello che presenta in genere le altitudini più decise, soprattutto nell’area meridionale della provincia alessandrina. Qui, le colline si fanno elevate fino a sfiorare l’Appennino Ligure e plasmano tra loro valli strette e profonde. Tutto ruota attorno alle due città di Acqui Terme e Ovada, dove è facile trovare chiare reminiscenze celtico-liguri e poi romane e dove sono evidenti le interferenze con gli usi e i costumi della Liguria. Man mano che si va verso sud e le altitudini salgono, l’andamento del suolo si fa impervio e le coltivazioni si diradano, lasciando spazio ai boschi e più in alto alle radure erbose e alle cime di pietra. L’origine del suolo qui è prevalentemente miocenica e i terreni occupati dalle coltivazioni sono costituite da quelle “terre bianche”, in prevalenza calcaree, sostenute da scheletro roccioso che spesso manifesta la sua durezza. Su queste terre bianche la vite riscopre l’habitat preferito e regala vini rossi di buona sapidità e due spumanti Docg, l’Asti e l’Alta Langa, che rivelano la loro capacità di resistere al tempo.
In contemporanea ci sono anche terreni più fertili e profondi, le “terre rosse”. La maggiore frazione di argilla li rende propensi a produrre vini bianchi di una certa esuberanza e corposità. Sulle colline dell’Alto Monferrato trovano spazio i vitigni che hanno meno bisogno di sole e calore (Moscato, Dolcetto, Cortese, Brachetto e Chardonnay), senza trascurare il Barbera capace di ritagliarsi spazi adeguati e mettere al mondo vini di intrigante qualità.
Man mano che si sale verso settentrione in questa parte del Piemonte, la zona vitata si assottiglia per via della fascia pianeggiante che caratterizza la parte centrale della provincia alessandrina e la unisce da un lato ai Colli Tortonesi e dall’altro alla Pianura Padana.
Questo è il cosiddetto Medio Monferrato, in prevalenza legato alla provincia di Asti, dove le colline si fanno più morbide e le valli più ampie. Oltre alla città di Asti, ricordiamo come centri principali Canelli e Nizza Monferrato, la prima indicata come la culla dello spumante italiano grazie alla vinificazione del Moscato, la seconda percepita come la patria dei vini Barbera, oggi ancora di più grazie a quella Docg che di Nizza porta anche il nome. Nel Medio Monferrato è facile che l’origine dei suoli sia spesso contesa tra Miocene e Pliocene. Nel Canellese e Nicese ad esempio prevalgono le terre bianche, mentre nel resto della zona ricordiamo le cosiddette “sabbie astiane”, terreni più sciolti che regalano alle uve e ai vini eleganza e delicatezza. Questo tipo di suolo è rintracciabile nella parte centrale del Medio Monferrato, tanto alla destra del Tanaro (Vinchio, Rocca d’Arazzo, Rocchetta Tanaro), quanto alla sua sinistra (Portacomaro, Refrancore). In questo Monferrato prevalgono i vini rossi, soprattutto da Barbera, Freisa, Ruché e Grignolino, con la nota particolare che, dove i suoli si fanno più solidi, i vini risultano più corposi e capaci di resistere al tempo.
Salendo ancora di più la regione piemontese, tra Nord Astigiano e colline Casalesi alessandrine, troviamo il Basso Monferrato, dove le altitudini collinari sono di solito minori. Fanno eccezione le colline dell’estremo Nord Astigiano, che raggiungono quote rilevanti: 490 metri di Cocconato. 410 di Pino d’Asti, 420 di Schierano, frazione di Passerano Marmorito e addirittura 549 di Albugnano. In questi paesi sono privilegiate le coltivazioni di Freisa, Nebbiolo, Barbera e Malvasia. Sul versante casalese le altitudini sono più contenute ed è il corso del Po a limitare la coltura viticola nella sua espansione settentrionale. Tornano qui le “terre bianche” di origine miocenica, con le zone più piatte ricche di suoli più grassi fatti apposta per le coltivazioni annuali, foraggere o cerealicole. Nell’area più vicina alla città di Casale Monferrato tornano a primeggiare i vitigni a frutto nero, soprattutto Barbera e Grignolino, con la presenza significativa anche del Cortese a frutto bianco.
Doc Monferrato, tra regole e opportunità
Sono passati quasi 30 anni dal riconoscimento della Doc Monferrato e l’impianto normativo è rimasto molto vicino all’originale. Della zona di origine abbiamo già detto, ma possiamo ancora approfondire. Lo spunto ci viene dalle tipologie regolamentate dal disciplinare: due vini bianchi (Monferrato bianco e Monferrato Casalese Cortese), un rosato (Monferrato Chiaretto o Ciaret) e quattro rossi (Monferrato rosso, Monferrato Dolcetto, Monferrato Freisa e Monferrato Nebbiolo).
Le tipologie che costituiscono l’ossatura della Doc Monferrato (Bianco, Rosso, Chiaretto, Dolcetto, Freisa e Nebbiolo) hanno la zona più ampia, cioè i 229 comuni, dei quali 118 in provincia di Asti e 111 in quella di Alessandria. Quanto al Monferrato Casalese Cortese, la zona di origine è più piccola, ovvero quel “Monferrato Casalese” formato da 39 paesi attorno a Casale Monferrato.
Interessante è il discorso relativo alla base ampelografica: alle tipologie più ampie (Bianco e Rosso) appartiene una combinazione varietale più ampia visto che si possono ottenere “da uno o più vitigni a bacca di colore analogo, non aromatici, idonei alla coltivazione per nella regione Piemonte iscritti nel Registro Nazionale delle varietà da vino”.
Più circoscritta è la base varietale del Chiaretto: le uve “Barbera e/o Bonarda e/o Cabernet Franc e/o Cabernet Sauvignon e/o Dolcetto e/o Freisa e/o Grignolino e/o Pinot nero e/o Nebbiolo, da solei o congiuntamente per almeno l’85%”. Il restante 15% può essere dato da altre varietà non aromatiche idonee alla coltivazione in Piemonte.
Le tipologie con indicazione di vitigno seguono due soluzioni: per Dolcetto, Freisa e Cortese la singola varietà deve intervenire almeno all’85%, lasciando spazio, fino al 15%, ad altri vitigni a bacca di colore analogo non aromatici, idonei alla coltivazione in Piemonte. Nel Monferrato Nebbiolo la percentuale del vitigno di riferimento dev’essere almeno del 90% con la possibilità di coinvolgere altre varietà al massimo per il 10%.
Per Monferrato Rosso, Dolcetto e Freisa è prevista anche la tipologia Novello, mentre il Monferrato Nebbiolo ha anche la tipologia Superiore.
Articolata è la resa massima a ettaro: 7.700 litri per i tre Monferrato senza indicazione varietale, 7.000 litri per il Monferrato Casalese Cortese, 6.650 per il Monferrato Freisa e 6.300 litri per il Monferrato Dolcetto. Caso a parte è il Monferrato Nebbiolo: la resa a ettaro non può superare i 6.300 litri, con la tipologia Superiore che non deve oltrepassare i 5.600 litri.
Un approfondimento merita l’obbligo di maturazione in cantina: di solito si tratta di vini giovani e fragranti, che non hanno invecchiamento obbligatorio. Fa eccezione il Monferrato Nebbiolo, che deve maturare in cantina per 12 mesi mentre per la tipologia Superiore il periodo è di 18 mesi (di cui 6 in legno), con la nota che la decorrenza è dal 1° novembre dopo la vendemmia.
Detto che tutti i vini della Doc Monferrato devono indicare in etichetta l’annata di produzione delle uve, sviluppiamo ancora due riflessioni prima di esaminare i dati economici.
La Doc Monferrato non prevede abbinamento con vitigni internazionali, che sono stati lasciati alla Doc Piemonte. Un comportamento differente rispetto all’equivalente Doc Langhe che ne presenta parecchi.
Nel caso del Monferrato Nebbiolo non è stato creato collegamento con le due denominazioni di livello superiore che fanno riferimento al Nebbiolo, cioè Albugnano Doc e Terre Alfieri Docg Nebbiolo nelle sue tre tipologie. È probabile che la ragione stia nel fatto che – nel definire le strategie del Monferrato Nebbiolo – si sia voluto a creare un vino di primo livello, senza un nesso strategico di riclassificazione con le denominazioni preesistenti. Vedremo nei prossimi anni se la scelta sarà stata opportuna.
Qualche dato economico e qualche riflessione
Sulla base dell’impostazione della struttura produttiva piemontese, alla Doc Monferrato possono concorrere i vigneti iscritti direttamente allo schedario di tale denominazione e, in scelta vendemmiale o di cantina, quelli iscritti allo schedario di altre denominazioni le cui zone di origine ricadano nell’area delimitata “Monferrato”, purché le condizioni produttive siano coerenti.
Le due tabelle che pubblichiamo (realizzate grazie al Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato) riepilogano i principali dati economici della denominazione.
La Tab. 1 evidenzia i dati di rivendicazione (superficie e produzione) della vendemmia 2021. La Tab. 2, invece, fa il punto sugli imbottigliamenti delle varie tipologie della Doc Monferrato negli anni solari 2020 e 2021.
Il patrimonio viticolo rivendicato nel 2021 è stato di circa 980 ettari (nel 2017 era di 986 ettari). Le tipologie più performanti restano il Monferrato rosso (284 ettari) e il Monferrato Dolcetto (237 ettari). Ottima la prestazione del Monferrato Nebbiolo che, insieme al Superiore, sfiora i 150 ettari, con buone prospettive future.
Per quanto concerne gli imbottigliamenti, tra l’anno solare 2020 e il 2021 si segnala una leggera flessione. Tuttavia il dato emblematico è il livello ancora basso del volume totale degli imbottigliamenti: 4.008.000 bottiglie nel 2021 e 4.213.000 nel 2020. È un dato “incompiuto” se confrontato con i volumi che mettono in campo le due denominazioni di territorio Langhe e Piemonte, che nel 2021 hanno rispettivamente imbottigliato 21.823.000 e 36.759.000 pezzi.
Ciò può voler dire che sulla Doc Monferrato c’è ancora da lavorare.