Mercato Albinelli, il cuore gastronomico di Modena

“Modena ha due cuori: uno storico e amministrativo e uno gastronomico e popolare. Il primo batte in Piazza Grande con il Duomo, la Torre della Ghirlandina e il Palazzo Comunale. Il secondo è il Mercato Albinelli, un centinaio di metri più in là, animato fin dal primo mattino”

Dario Bragaglia Settembre 2020
Mercato Albinelli, il cuore gastronomico di Modena

Il mercato, progettato nei primi anni del ‘900 e inaugurato il 28 ottobre 1931, ha un’elegante cornice tardo Liberty che raccoglie sotto le tettoie una sessantina fra botteghe e banchi.
Ora, diciamo subito che a Modena, per gli appassionati di enogastronomia, c’è di che stare allegri. Proviamo a elencare, alcuni prodotti della tradizione agroalimentare, a partire dai celeberrimi tortellini. Ci sono il salame San Felice, la coppa di testa, la crescentina o tigella che dir si voglia, lo gnocco fritto, la sfogliata di Finale Emilia (Tibùia in dialetto o anche “torta degli Ebrei”), la patata di Montese, il tartufo delle valli Dolo e Dragone, la caciotta e il caprino dell’Appennino Modenese, gli amaretti, la mela campanina, il marrone di Zocca, il Nocino e il Sassolino, due liquori da fine pasto da abbinare al dolce più tipico della tradizione, il Belsone.
Mi fermo qui, ma ce ne sono altri, visto che Modena è la provincia italiana più ricca di prodotti a denominazione di origine (Dop) e indicazione geografica (Igp). Ma per scoprirli è inevitabile superare la bella cancellata e addentrarsi fra le colonne portanti che sorreggono le tettoie.

Un mercato davvero a chilometro zero
Il mercato dei generi alimentari a Modena aveva luogo in Piazza Grande, con i venditori esposti alle intemperie. Le demolizioni nell’area compresa fra l’ex Contrada Carceri (intitolata oggi al sindaco Albinelli) e via Mondatora nei primi decenni del Novecento, fu l’occasione per costruire un mercato per l’epoca molto innovativo in termini di igiene, con i banchi del pesce in marmo, l’acqua corrente per tutti e un pavimento facile da pulire.
Al centro del mercato, raffinato punto focale di tutta la struttura, c’è la fontana intitolata “Fanciulla con canestro di frutta”, opera dello scultore Giuseppe Graziosi.
Proprio di fianco alla fontana troviamo il banco “Daniele & Lorella” che è un trionfo di colori. Frutta e verdura, non solo locali ovviamente. Ma sono le produzioni a chilometro zero, o quasi, che ci incuriosiscono. Lorella ci segnala i meloni di Mirandola, le angurie “top gun” di San Matteo della Decima, le susine di Vignola, le pesche di Spilamberto. Se nel frattempo vi è venuto un languorino, in attesa di mettersi a tavola in uno degli spazi dedicati alla ristorazione, ci sono diverse possibilità per placare la fame. Allo stand “Je suis Marisa” si preparano i tortellini da passeggio serviti in un bicchierone (sono in brodo) o in piatto “usa e getta” se si tratta di tortelli di ricotta e spinaci. Marisa è la madre dell’attuale proprietaria che assieme alla sorella Paola gestiva una balera-trattoria a Settecani di Castelvetro: la specialità erano – ovviamente – i turtlèin in brodo. “Il brodo – mi raccontano – deve essere di cappone, quello più buono.” Volendo portarsi qualcosa a casa ci sono anche tagliatelle, lasagne, passatelli, coniglio arrosto, gnocco fritto e altro.
E veniamo ad un dilemma tutto modenese: tigelle o crescentine? Proviamo a risolvere il dubbio presso lo stand La Baita presidiato da Alberto Sirotti che ci illumina sulla confusione che si fa quando si usano i due termini. Appurato che si tratta della preparazione rustica più tipica dell’Appennino Modenese, “le tigelle non erano altro che gli strumenti, originalmente di terracotta, che venivano usati per preparare le crescentine.” Un caso di metonimia, di scambio del contenitore con il contenuto. Ma nessuna paura, vi capiranno sia che ordiniate una tigella sia che ordiniate una crescentina. Sono il piatto della convivialità modenese: viene riempito di pancetta, salame o, come fanno alla Baita, con la ricotta montanara. Se poi capitate sotto Natale, sarà il momento buono per acquistare le prugne brusche, le amarene di Modena o il classico sapore o savor, la marmellata brusca per farcire i dolci delle feste, come ad esempio i tortelli dolci, ma che si accompagna bene anche con lo gnocco fritto.

Venditori storici, quasi istituzioni
C’è tempo per conoscere due autentiche istituzioni del Mercato Albinelli: Anselmo Bonini che nel suo piccolo stand vende prosciutti dal 1950 (avete letto bene, sono 70 anni di servizio) e, proprio accanto, Silvano Oliva che, dal 1969, assieme alla moglie Maria Rosa, si è sempre occupato di pollame e capponi. Sono loro che hanno visto cambiare nel tempo questo tempio della convivialità modenese: da regno delle rezdore, le energiche massaie impegnate a fare la spesa, alla crisi dei prodotti freschi di fine secolo, quando si vendeva un po’ di tutto dalle capsule per il caffè ai casalinghi. Dal 2015 c’è stata la svolta, con l’impegno dei commercianti e dell’amministrazione comunale. Il mercato è tornato al centro della vita cittadina, non solo come punto vendita al mattino, ma con i ristoranti che aprono al pubblico la sera, le presentazioni di libri, i concerti e le animazioni. E così anche Massimo Bottura – l’Osteria Francescana si trova a pochi minuti a piedi – si fa vedere fra i banchi del mercato, magari per partecipare alle riprese di spot o serie televisive. “Master of None” e “Somebody feed Phil”, distribuite da Netflix, hanno fatto conoscere l’Albinelli in tutto il mondo.
Sul fronte caseario, allo stand Toma & Tomi incontriamo Loanna Giroldi che, oltre alla gloria locale, il parmigiano reggiano, propone una raffinata selezione di piccoli produttori italiani: si spazia dal formaggio di Fossa, alle produzioni degli alpeggi delle Dolomiti Bellunesi, dal Montebore al Murazzano che arrivano dal Piemonte, dal Monte Veronese di malga fino alla toma tipica dell’Appennino Modenese.
Quando arriva il momento della pausa pranzo, il consiglio è di fermarsi allo stand degli Artigiani del Gusto, “la stuzzicheria del Mercato Albinelli”. La degustazione di Parmigiano Reggiano dell’Appennino con 24/48/60 mesi di invecchiamento, magari accompagnato da aceto balsamico extra vecchio (30 anni dell’acetaia La Tradizione): da sola, vale il viaggio. A maggior ragione se abbinata a un Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, altra eccellenza del territorio modenese.
Prima di lasciare Modena, tornate in Piazza Grande: la salita sulla Torre della Ghirlandina è quasi un obbligo e la fatica sarà ripagata da una bella vista sul centro storico. Poi fate una sosta davanti alla Porta della Pescheria del Duomo sulla quale un maestro di probabile scuola borgognona ha scolpito il Ciclo dei mesi. Ogni mese è rappresentato da un contadino intento ai lavori tipici di quel periodo dell’anno: settembre è la stagione della vendemmia, a ottobre si travasa il vino, a marzo si pota la vite e così via a formare un bellissimo insieme di vita rurale di 900 anni fa.

Acetaie in città
Non è necessario uscire dalla città per scoprire i segreti dell’aceto balsamico tradizionale di Modena. Anzi, l’Acetaia Comunale si trova nel cuore stesso del centro storico, esattamente nel sottotetto del Palazzo Comunale. Vengono organizzate visite guidate a cura della Consorteria dell’aceto balsamico tradizionale di Spilamberto.
In via Rua Muro 86, a pochi passi dall’Osteria Francescana di Massimo Bottura, in un antico palazzo settecentesco, si trova l’Acetaia Montale Rangone attiva da oltre un secolo. Si entra in un mondo fatto di profumi, colori e gusti inimitabili, scoprendo i segreti dell’antica tecnica dei travasi, quelli della scelta delle botticelle più adatte all’invecchiamento di questo nettare che è un vanto della città.

Per info:
www.visitmodena.it (il portale ufficiale del territorio)
www.modenatur.it (Operatore turistico che organizza tour sul territorio)

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