Gastronomia Storie di cibo

Legumi: una grande famiglia

Cresce il successo dei legumi sulle tavole degli italiani: tanto gusto, importante apporto proteico, costi limitati e reazione alla siccità…

Teresa E. Baccini Ottobre 2023
Legumi: una grande famiglia

“Certo, al giorno d’oggi, a nessuno verrebbe in mente di rinunciare ad un diritto ereditario per un piatto di lenticchie come si narra nella Bibbia abbia fatto Esaù, il figlio di Isacco, tornando stanco dai campi. Ma l’episodio la dice lunga sull’importanza del legume nella dieta di una popolazione che viveva al limite del deserto del Neghev. E la dice lunga anche sulla capacità di adattamento della lenticchia a condizioni proibitive di coltivazione”

La famiglia delle Fabacee, vale a dire quella delle leguminose, è sterminata e diffusa in tutto il mondo. I fagioli sono solo il ramo più noto di questa famiglia universale che si stima formato da oltre 13.000 specie. Oltre ai fagioli anche lenticchie, piselli, fave, ceci, fagiolini, lupini, cicerchie, soia e persino arachidi e carrube ne fanno parte. Ma solo poche decine sono oggi coltivate e regolarmente utilizzate dagli agricoltori così da rivestire un ruolo alimentare rilevante.
Perché i legumi sono così diffusi? Per ragioni agronomiche, certo, ma non meno influenti e decisive sono quelle sociali e alimentari.
Possiedono, è vero, una grandissima capacità di adattamento, tale da riuscire a crescere tanto nei climi temperati dell’emisfero nord quanto in quelli tropicali o aridi del mondo.
Fin dagli esordi della loro diffusione – le prime tracce di coltivazione conosciute risalgano a 10.000 anni fa in Thailandia e identificano un paio di tipologie distinte di fave e piselli – pare che gli agricoltori avessero intuito la loro capacità di arricchire i terreni e quindi di facilitare le successive coltivazioni. Di fatto è la capacità di alcuni batteri che vivono in simbiosi con le loro radici di fissare l’azoto nel terreno a renderli così utili, tanto che nella pratica agricola era uso comune l’avvicendamento nella coltivazione con i cereali, essendo considerate per esperienza colture miglioratrici.

Le ragioni di un rinnovato successo
Ma la maggiore ragione del loro successo, nei tempi passati, è stata probabilmente la capacità di fornire un rilevante apporto proteico a costi limitati, in grado di supplire alla mancanza delle proteine più costose di carne e pesce in situazioni socio-economiche difficili o addirittura carestiose.
Caduti via via in disuso di fronte allo sviluppo e al benessere acquisito nelle società moderne più avanzate, proprio qui stanno vivendo un grande ritorno per ragioni tutt’affatto diverse e principalmente salutistiche: soddisfano le recenti tendenze di consumo vegetariane dei paesi industrializzati con il loro elevato contenuto proteico, forniscono un opportuno apporto di fibra in un’alimentazione troppo orientata a cibi raffinati e manipolati e infine, grazie alla recente diffusione di tecnologie del freddo come la surgelazione da fresco, offrono una maggiore facilità d’impiego rispetto ai legumi secchi tradizionalmente impiegati. E in questo revival anche l’industria alimentare sta facendo la sua parte, basti pensare al successo dei prodotti plant based abbondantemente basati sui legumi.
E tuttavia le ragioni della loro utilità restano valide, anzi lo sono più che in passato, per quelle zone del mondo come l’Africa subsahariana dove le carestie si susseguono inesorabili.
Così, dal 2019 i legumi hanno anche una loro giornata mondiale – che si celebra il 10 di febbraio – istituita dalla FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, proprio con l’intento di far riconoscere l’importanza dei legumi come alimento globale e di aumentare la consapevolezza sui loro benefici nutrizionali anche per l’alimentazione infantile e la sostenibilità della loro produzione in zone proibitive per l’agricoltura.
L’Italia ha sposato la missione non solo valorizzando le produzioni locali identitarie, per quanto limitate – due le Igp per le lenticchie (Altamura e Castelluccio di Norcia), due le Dop (Bianco di Rotonda e Cannellino di Atina) e quattro le Igp (Cuneo, Lamon, Sarconi, Sorana) per il fagiolo, ma innumerevoli i presidi attivati da Slow Food anche per fave, piselli, ceci, cicerchie (vedi il bell’Atlante Gastronomico dell’orto di Slow Food editore) – ma alcune regioni, come l’Emilia Romagna, hanno creato proprio campagne di comunicazione ad hoc per indurre anche i più piccoli a provare questo cibo in modo divertente.

Così poveri, ma così ricchi!
Il motivo di questa recente entusiasmo promozionale dei legumi non è diverso da quello che ne ha sempre favorito la diffusione nei secoli passati anche nel ricco, si fa per dire ormai, occidente: contengono, quale più, quale meno, una certa quantità proteine a buon mercato. Anzi, una gran quantità di proteine (compresi quasi tutti gli aminoacidi essenziali, i mattoncini per costruirle), insieme a ferro, calcio, fosforo, potassio, magnesio, zinco e a vitamine del gruppo B, preziosi per preservare le funzioni nervose o immunitarie. Anche se non completamente biodisponibili – i lunghi procedimenti di ammollo e le lunghe cotture servono appunto a inattivare alcune componenti che ne rendono difficoltosa la digeribilità o l’assunzione delle componenti minerali – sono sempre in quantità apprezzabili. Insomma un cibo prezioso e salutare, perfettamente in linea con le raccomandazioni dei nutrizionisti.
Ammollo e cotture, se da un lato servono a neutralizzare i fitati, composti antinutrizionali che legano il fosforo, non migliorano gli sgradevoli e noti gonfiori intestinali, ma per limitare questo effetto può aiutare l’abbinamento con spezie antifermentative come semi di cumino, finocchio, anice, ma anche timo, origano, salvia e rosmarino, questi ultimi del resto non a caso ingredienti tipici delle più classiche zuppe di legumi.
I legumi più ricchi di ferro? Lenticchie, fagioli, ceci, soia. Si può migliorare l’assorbimento del ferro assumendoli insieme ad aglio, cipolla o un apporto di vitamina C come quello dato dal succo di limone. Esattamente come si condisce una tradizionale insalata di ceci e tonno, no?
Ricchi di amidi – sono perciò una bella fonte di energia – i legumi possono sostituire nell’alimentazione anche l’apporto calorico di cereali e patate, in particolare per le persone che tendono ad eccedere nel consumo di farinacei raffinati, apportando nel contempo un incremento della quantità di fibra introdotta, della quale la parte solubile (come le pectine) sembra ridurre l’assorbimento di glucosio e colesterolo nel sangue.
In fondo, la gastronomia tradizionale legata ai legumi indica già il modo migliore di ricavare salute, oltre che piacere, dal loro consumo.

Fagioli e fave simboli beneauguranti
Benché nei secoli i legumi, il fagiolo in particolare, siano sempre stati legati alla vulgata di cibo per i poveri – e in effetti, come detto, lo sono stati per generazioni – l’umile legume porta in sé da sempre un significato più profondamente allusivo e simbolico legato alla sua forte capacità generativa, all’abbondanza della sua produzione e al fatto che i legumi sono i primi semi a germogliare in primavera.
Il valore simbolico e beneaugurante del fagiolo è testimoniato da tradizioni come la Galette des rois, un dolce tipico francese e del Belgio francofono che si prepara per l’Epifania per celebrare l’arrivo dei Re Magi; si compone di una crosta di pasta sfoglia riempita di crema frangipane – a base di mandorle – aromatizzata al liquore nella quale viene nascosto un piccolo oggetto che scatena la ricerca: chi lo trova è nominato re o regina del giorno di festa. In origine era qualcosa di commestibile, un fagiolo o una fava, per l’appunto o anche una mandorla intera che, con il passare del tempo, ha finito per essere sostituito da oggettini preziosi, per lo più in ceramica, perciò resistenti al calore del forno, che ha dato seguito anche a una forma di collezionismo.
Una tradizione simile ha riscontri negli antichi Saturnalia romani, che cadevano attorno al 21 dicembre in corrispondenza del solstizio d’inverno, il giorno più corto dell’anno; dedicati al dio Saturno, protettore delle campagne e dei raccolti, questi festeggiamenti con grandi banchetti augurali per l’agricoltura accomunavano padroni e schiavi che in quella occasione potevano prendersi qualche libertà e potevano essere dichiarati princeps per un giorno qualora avessero trovato, appunto, un fagiolo o meglio una fava, all’interno di una torta che veniva sempre servita durante la festa.

Legumi nelle cucine del mondo
Nelle tradizioni alimentari del mondo, l’uso dei legumi è strettamente intrecciato con lo sviluppo delle diverse specie differenziatesi a seconda delle differenti condizioni geografiche di ogni paese.
A parte la soia, originaria dell’Asia, che rappresenta il legume di maggiore importanza ormai coltivata in tutto il mondo, la maggior parte degli altri legumi si sono caratterizzati territorialmente e hanno strettamente influenzato la gastronomia.
Dai fagioli bianchi di Spagna, grandi e carnosi accompagnati al chorizo, ai rossi e dolciastri azuki giapponesi, utilizzati anche per il ripieno dei dolci dorayaki, dai fagioli neri messicani ricchi di antociani antiossidanti, protagonisti delle zuppe messicana o cubana e della feijoada brasiliana, ai rossi kidney beans texani, onnipresenti stufati di tante pellicole western, i fagioli rubano la scena ai fratelli.
Ma nella gastronomia italiana sono nate una serie di ricette con tanti altri legumi che, se da un lato ne fanno forse la più dotata del binomio cereali/legumi, spesso raccomandato dal punto di vista dietetico per la combinazione di vegetali complementari nell’equilibrio proteico, dall’altro evidenziano bene la specificità dell’adattamento dei legumi ai rispettivi territori che si tratti dei fagioli importati in Europa dopo la scoperta dell’America o della rara cicerchia originaria del Medio Oriente. Dunque non solo pasta e fagioli ma anche risi e bisi (riso e piselli), ciceri e tria (pasta e ceci), macco di fave, zuppe di cicerchie, stufati di lenticchie o minestre come la mesciua, con fagioli dell’occhio, ceci e lenticchie mescolate. Ricette che hanno attraversato i secoli e testimoniano un ricco patrimonio di biodiversità che non finisce di stupirci.
È recente la notizia di una minuscola varietà di cicerchia, il moco, vecchia di quattromila anni, recuperata nella valle Bormida in provincia di Savona – e oggi Presidio Slow Food – che ha la rara particolarità di crescere anche in scarsità di acqua. Quando si dice la biodiversità.

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