È una tendenza che negli ultimi anni è addirittura esplosa. ‘Andar per cantine’ non è più un passatempo per frequentatori abituali di collaudate amicizie enoiche.
Buontemponi che periodicamente si presentavano in cantina e ci perdevano la giornata. Adesso per cantine ci vanno tutti. E vanno dappertutto.
Sono ormai 14 milioni i turisti che ogni anno si muovono in Italia per il turismo del vino e creano un valore di oltre 2,5 miliardi di euro. Un giro d’affari in continua crescita che ha motivato il precedente governo a inserire nella Legge di Bilancio 2018, nell’impossibilità di svolgere per intero l’iter parlamentare, un comma apposito (il 502) che definisce il termine “enoturismo”, istituendone di fatto la categoria nel quadro normativo italiano come forma di turismo dotata di specifica identità: un emendamento alla Legge di Bilancio proposto e approvato ad hoc in fine legislatura per ovviare alla mancata conversione in legge del d.d.l. “Disciplina dell’attività di enoturismo” che avrebbe dovuto integrare un vuoto del Testo Unico e che, tra l’altro, avrebbe istituito l’Osservatorio del Turismo del Vino nazionale e regionale. Alle cantine veniva così riconosciuta la possibilità di fatturare degustazioni, visite in cantina, pacchetti enoturistici e vendemmie “esperienziali”, equiparando la disciplina fiscale di queste attività a quella delle attività agrituristiche per gli imprenditori agricoli (L. 413/91), mutuandone le semplificazioni, le agevolazioni e i benefici fiscali. È sufficiente una segnalazione di inizio attività al comune di competenza per esercitare attività di “promozione e conoscenza del vino”.
Accolta favorevolmente da molti attori della filiera, dal Movimento Turismo del vino alla FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), dall’Unione Italiana Vini all’Associazione Città del Vino, questa legge non fa che riconoscere un settore, quello del turismo del vino, che si è rivelato un motore di sviluppo per molte aree rurali, una risorsa per il territorio e le piccole comunità locali e che trascina, oltre al vino, tutto il comparto dei prodotti tipici, inserendo il turismo del vino nell’ampio capitolo del turismo enogastronomico, in crescita nell’anno scorso del 9%. Solo la manifestazione “Calici di stelle” promossa nel mese di agosto dal Movimento Turismo del vino si calcola abbia messo in movimento almeno un milione di persone. Secondo una recente indagine Coldiretti/Ixè, l’Italia si trova in una posizione di leadership mondiale per il turismo enogastronomico: quasi tre italiani su quattro, ovunque fossero in vacanza, tanto al mare quanto in montagna, durante l’estate 2018, hanno scelto di visitare cantine, frantoi, mercati contadini e aziende agrituristiche per acquistare i prodotti direttamente dai produttori e il 42% degli Italiani sono tornati dalle ferie con vini, formaggi, olio di oliva, conserve e salumi come ricordo delle vacanze. I dati esaminati da un’altra ricerca, quella di Isnart-Unioncamere “Italia destinazione turistica 2017”, attestano che gli interessi enogastronomici per i prodotti tipici e l’agroalimentare made in Italy muovono un turista su quattro nel nostro Paese: con il 26% di preferenze – che salgono al 29,9% tra i turisti stranieri – la motivazione del vino e del cibo ha sorpassato oramai anche l’attrattiva per il patrimonio artistico e monumentale, fermo al 24,2%. La stessa ricerca riferisce che i visitatori spinti dalla motivazione enogastronomica superano i 110 milioni – per il 57% stranieri – con una spesa che si attesta oltre i 12 miliardi di euro, cifra che vale da sola il 15,1% del valore totale riferito al turismo. Anche di qui viene l’urgenza del riconoscimento di legge summenzionato per il mondo del vino.
UN FENOMENO IN CHIAROSCURO
Secondo il “XIV Rapporto sul Turismo del Vino in Italia” stilato dall’Associazione Nazionale “Città del Vino”, che da molti anni monitora il fenomeno enoturistico in Italia, l’annata 2017 avrebbe dovuto essere rivoluzionaria per il mondo del turismo enologico italiano per le diverse novità legislative emerse che si potrebbero sfruttare integrandole: la pubblicazione del Testo Unico della Vite e del Vino, un riordino molto atteso della dispersiva legislazione vitivinicola, l’approvazione della Legge sui Piccoli Comuni (n.157/18), che stanziava 100 milioni di euro per lo sviluppo dei centri con meno di 5 mila abitanti e che tra i suoi scopi comprendeva l’incentivazione dello sviluppo turistico e infine, appunto, l’emendamento 502 e seguenti alla Legge di Bilancio sulla disciplina fiscale enoturistica. Tra l’altro, quest’ultima demanda a un successivo decreto ministeriale la definizione delle “linee guida e indirizzi in merito ai requisiti e agli standard minimi di qualità, con particolare riferimento alle produzioni vitivinicole del territorio, per l’esercizio dell’attività enoturistica” e l’eventuale sostegno per la preparazione all’attività di promozione della cultura del vino. Perché ovviamente fare il vino non significa necessariamente saperne parlare o essere attrezzati per illustrarlo.
Il Movimento del Turismo del Vino, nato il Italia nel 1993 e che raccoglie ormai più di 1000 cantine associate, da molti anni ha posto l’accento sul problema della qualità dell’accoglienza turistica. Eventi spettacolari come “Calici di Stelle” che portano il vino sulle più belle piazze dell’Italia vitivinicola o iniziative come “Cantine Aperte” nell’ultima domenica di maggio, dirette proprio a far conoscere il mondo del vino a visitatori interessati, hanno precorso i tempi di questa ondata di interesse e in buona parte ne sono artefici. Ma resta ancora molto da fare se gli operatori coinvolti dal rapporto delle Città del Vino segnalano che le attività sulle quali si dovrebbe investire per migliorare i servizi offerti agli enoturisti, oltre alla pubblicità (27,16%), sono, tra le altre, la formazione del personale aziendale in ricettività (23,46%), l’accoglienza dell’azienda (17,28%) e anche la formazione del personale in termini di conoscenza delle lingue (12,35%). Qualcuno si spinge ad auspicare la “creazione di una rete che inglobi altri operatori per offrire servizi integrati…”! Servizi molto concreti legati alla preparazione della aziende vitivinicole ad affrontare razionalmente questo che ormai si sta configurando come un settore a se stante dell’attività economica interna, un’attività complementare a quella produttiva che non si può più trascurare. Ma al di là della più o meno buona volontà delle singole imprese locali, si sta davvero costruendo un modello italiano al turismo del vino?
Il mondo del vino nazionale saprà uscire dall’abituale strategia individuale e aziendalistica di approccio ai problemi per costruire un modello collettivo che si faccia responsabile della salvaguardia del bene comune dal quale tutti traggono ricchezza, vale a dire il territorio stesso? Salvaguardia della bellezza paesaggistica, tutela e vivibilità dell’ambiente, qualità – verrebbe da dire onestà – della proposta enogastronomica, non sono tanto corollari di campagne di marketing turistico, quanto la sostanza stessa di un prodotto turistico che collettivamente si costruisce. Là dove non arriva la legge ci devono pensare i diretti interessati, i produttori stessi a difendere tutti insieme un bene da curare e ricreare continuamente. Ci piacerebbe non avere l’impressione che stiamo arrancando come al solito dietro ai problemi che ognuno poi risolve come può a casa sua.