I dati sono in continua crescita e segnalano un successo che, in queste dimensioni, pochi avevano pronosticato. Il Langhe Nebbiolo sta entrando nel gotha dei vini piemontesi che contano. I valori sono inequivocabili: più di sette milioni di bottiglie realizzate nel 2019, un patrimonio viticolo in aumento costante, un deciso consolidamento di identità per un vino rosso da uve Nebbiolo che viene da lontano
Se volessimo essere sintetici, potremmo dire che il Langhe Nebbiolo è un vino che è sempre esistito. Magari sotto altre formule rispetto alla denominazione odierna, ma questa è la sostanza.
C’era chi nel passato lo chiamava “Nebbiolo” e basta, chi amabilmente lo denominava “Nebiolin”, soprattutto sulle erte colline alla Sinistra del Tanaro o chi altro lo classificava semplicemente come “vino rosso”, senza altri fronzoli.
Qualcuno tra i produttori lo onorava di appellativi di gran blasone: uno dei miei maestri, Arnaldo Rivera, presidente della Terre del Barolo, lo nobilitava come “il cadetto del Barolo”, quasi a dedicargli un titolo nobiliare perché non sfigurasse al cospetto dell’altro grande rosso.
L’avvento delle denominazioni di origine a favore dei vini albesi, in particolare Barbaresco, Barolo e Nebbiolo d’Alba, poco per volta avvalorò l’opportunità di avere al loro fianco un vino più semplice, da vendere e consumare in tempi più rapidi, capace di essere la destinazione per le uve di minore validità e anche di essere un utile stimolo qualitativo.
Furono, a fine anni Settanta, le nuove norme della Comunità Economica Europea a cambiare ulteriormente il quadro operativo. In particolare, arrivarono i “Vini da Tavola a Indicazione Geografica” a creare un’attenzione tutta particolare verso quei vini che fino allora erano rimasti praticamente nell’anonimato. Al massimo, si erano fregiati del riferimento relativo al vitigno, trascurando ogni indicazione di origine geografica e anche di annata di produzione.
Nel caso specifico, la situazione faceva riferimento al “Vino da Tavola Nebbiolo delle Langhe”, un binomio destinato a diventare un vero e proprio “fenomeno produttivo”, anche se inizialmente pochi produttori hanno intuito l’efficacia della nuova impostazione.
Il legame con Barbaresco e Barolo
Verso la fine degli anni Settanta, cominciando a ragionare sul passaggio dalla Doc alla Docg di Barbaresco e Barolo, l’opportunità di disporre di un vino “alternativo” si rivelò ancora più pressante. Parecchi, in effetti, erano i timori tra i produttori soprattutto in vista dell’inizio di operatività delle Commissioni di degustazione, incaricate di decretare l’idoneità o meno di ciascuno di questi vini. Detto oggi, sembra una banalità. In effetti, agli occhi dei produttori di allora, che non avevano mai provato questo meccanismo operativo, le certezze erano assai minori.
L’idea di disporre un vino che potesse funzionare quasi da valvola di salvaguardia per i Barbaresco e i Barolo che non avessero superato la verifica organolettica rafforzò ulteriormente, nelle dinamiche del settore, il ruolo di quel “Vino da Tavola Nebbiolo delle Langhe”.
I più lungimiranti intuirono pure che la sua validità non stava solo nel fornire un’alternativa a valle della valutazione ufficiale, ma metteva a disposizione altri margini di manovra: questo vino “alternativo” avrebbe anche potuto stimolare atti volontari, cioè le decisioni di questo o quel produttore a destinare più in fretta al mercato un prodotto che l’attesa della Docg non avrebbe saputo a migliorare.
Rispetto ai vini precedenti, questo “Vino da Tavola Nebbiolo delle Langhe” esprimeva due caratteri distintivi: innanzitutto, conteneva il riferimento all’origine – Langhe – con tutte le suggestioni che questo territorio portava con sé; inoltre, poteva annoverare in etichetta anche l’indicazione dell’annata.
Da Nebbiolo delle Langhe a Langhe Nebbiolo
Se, inizialmente, il riferimento alla zona “Langhe” e a una ipotetica denominazione ruotava tutto sulle esigenze e sulle opportunità legate al vitigno Nebbiolo, con l’arrivo degli anni Ottanta del Novecento e con l’operatività delle Docg per Barolo e Barbaresco, si cominciò a capire che sarebbe stato riduttivo vincolare questo nome alle sole dinamiche del Nebbiolo e, in particolare, alla sola gestione dei potenziali produttivi di Barolo e Barbaresco.
Se si doveva parlare di una possibile denominazione “Langhe”, questa avrebbe meritato un palcoscenico più ampio, con il coinvolgimento di tutti i vitigni presenti nei vigneti di riferimento, sia autoctoni che internazionali.
Per quanto riguardava la possibile tipologia dettata dal legame tra la zona Langhe e il Nebbiolo, evidentemente i riferimenti non erano solo più quelli legati al Barbaresco e al Barolo, ma si ampliavano alla cosiddetta “piattaforma ampelografica del Nebbiolo”, con il coinvolgimento anche del Nebbiolo d’Alba e del Roero che proprio nei primi anni Ottanta era in fase di progettazione.
Nello stesso tempo, cominciava a farsi strada anche l’eventualità che il Nebbiolo delle Langhe potesse derivare da altri vigneti, non necessariamente iscritti alle quattro denominazioni esistenti (Barbaresco, Barolo, Nebbiolo d’Alba e Roero); vigneti impiantati anche al di fuori dei paesi legati a queste Denominazioni, ma sempre nella zona “Langhe”, che nel frattempo era stata delimitata con decreto ministeriale e poi sarebbe stata meglio definita nel disciplinare della futura Doc Langhe.
Il definitivo passaggio dalla dizione “Nebbiolo delle Langhe” a “Langhe Nebbiolo” si ebbe nel 1994, con il riconoscimento della Denominazione “Langhe”, il 22 novembre di quell’anno.
Anticipare il riferimento all’origine rispetto a quello del vitigno non era solo una questione di forma, ma sanciva anche un convincimento di sostanza, ovvero che il riferimento dell’origine doveva primeggiare rispetto a quello del vitigno.
Se fino a quel momento lo scrivere Nebbiolo delle Langhe o Langhe Nebbiolo aveva ancora dato adito a discussioni, con l’arrivo della nuova Doc tutto si è placato: tale riconoscimento di fatto ha istituzionalizzato la dizione “Langhe Nebbiolo”, declinandola poi in modo analogo sugli altri riferimenti di vitigno.
Tra Doc Langhe e i vini di primo livello
Sostanzialmente, la tipologia Langhe Nebbiolo ha potuto contare su due tipi di vigneti: quelli che, nella zona di origine delimitata dal Disciplinare, sono stati via via impiantati per tale produzione; quelli legati invece alle denominazioni di livello superiore, ma che sono titolati a dare origine, anno per anno, anche a produzioni di Langhe Nebbiolo.
Ciò che conta in questo caso è il rapporto instaurato a livello normativo tra i vini Doc e Docg di livello superiore (Barbaresco, Barolo, Nebbiolo d’Alba e Roero) e la tipologia Nebbiolo della Doc Langhe.
Le possibilità sono due:
- prima di tutto, la scelta vendemmiale, secondo la quale il produttore, in occasione della vendemmia, decide quanta produzione di Nebbiolo di un determinato vigneto sia rivendicata con la denominazione di livello superiore e quanta invece come Langhe Nebbiolo. In questo caso, vale la resa per ettaro fissata per il vino Doc o Docg di livello superiore. Ecco un esempio: se da un vigneto iscritto alla Docg Barbaresco il conduttore volesse produrre il 50% di Barbaresco e il 50% di Langhe Nebbiolo, l’intera produzione dovrebbe attenersi alla resa per ettaro del Barbaresco, cioè 8.000 chilogrammi per ettaro, e non a quella del Langhe Nebbiolo (9.000 chili per ettaro).
- In secondo luogo, la scelta di cantina: in questo caso, la decisione si verifica alcuni mesi dopo la vinificazione o anche negli anni successivi. Anche in questo caso, evidentemente vale la resa del vino Doc o Docg rivendicato in epoca vendemmiale.
Oggi, il patrimonio viticolo del Langhe Nebbiolo è piuttosto consistente, come è rivelato dalla Tabella 1. Secondo i dati del 2019 è oramai in scia al Barbaresco: 734 ettari rispetto ai 775 del vino Docg. E pensare che negli anni Novanta i primi passi erano stati molto cauti: allora era visto come un vino di ricaduta o di scelta vendemmiale piuttosto che prodotto di prima decisione.
Oggi, invece, il Langhe Nebbiolo ha già di suo una base di produzione di tutto rispetto e, perciò, è visto come un vino con una propria fisionomia, una personalità ben precisa e un’attrattiva sul mercato di grande efficacia.
Viene da chiedersi che cosa abbia influito sul progresso del Langhe Nebbiolo come produzione autonoma e anche come identità e appeal sul mercato. Molti produttori fanno dipendere il grande successo che oggi riscuote il Langhe Nebbiolo al cambiamento climatico, in particolare all’aumento delle temperature attive che ha consentito di produrre vini di maggiore pienezza, più armonici e anche più coinvolgenti per un consumo in tempi relativamente brevi.
Il Langhe Nebbiolo non presenta più le spigolosità che manifestava negli anni Ottanta quando era ancora un Vino da Tavola a indicazione geografica o negli anni Novanta del Novecento quando questo clima di maggior apporto calorico muoveva solo i primi passi.
Ciò che inoltre ha contribuito all’incremento degli impianti vitati del Langhe Nebbiolo è stata anche l’attenta politica di gestione dei vigneti che negli ultimi anni ha caratterizzato il Barbaresco e il Barolo. Il grande interesse per queste due Docg ha comunque orientato i viticoltori che non rientravano tra gli autorizzati a decidere di realizzare lo stesso l’impianto di Nebbiolo. In attesa di un futuro recepimento nell’alveo del Barolo o del Barbaresco, sono numerosi gli impianti oggi “parcheggiati” nel patrimonio viticolo del Langhe Nebbiolo, vigneti che hanno contribuito a potenziare la produzione del vino e a sviluppare l’azione di forte coinvolgimento dei mercati.
Langhe Nebbiolo, vino di territorio
Oggi, il Langhe Nebbiolo non è più di pertinenza esclusiva delle storiche zone di coltivazione di questo vitigno – in particolare le aree del Barbaresco e del Barolo – ma sta espandendo le sue vigne a zone, forse più marginali, ma probabilmente altrettanto interessanti dal punto di vista ambientale.
Infatti, la zona di origine delle sue uve è piuttosto ampia e include l’intero territorio di 95 comuni della provincia di Cuneo: Alba, Albaretto Torre, Arguello, Baldissero d’Alba, Barbaresco, Barolo, Bastia Mondovì, Belvedere Langhe, Benevello, Bergolo, Bonvicino, Borgomale, Bosia, Bossolasco, Bra, Briaglia, Camo, Canale d’Alba, Carrù, Castagnito, Castellinaldo, Castellino Tanaro, Castiglione Falletto, Castiglione Tinella, Castino, Cerretto Langhe, Cherasco, Ciglié, Cissone, Clavesana, Corneliano d’Alba, Cortemilia, Cossano Belbo, Cravanzana, Diano d’Alba, Dogliani, Farigliano, Feisoglio, Gorzegno, Govone, Grinzane Cavour, Guarene, Igliano, La Morra, Lequio Berria, Levice, Magliano Alfieri, Mango, Marsaglia, Mombarcaro, Monchiero, Mondovì, Monforte d’Alba, Montà d’Alba, Montaldo Roero, Montelupo Albese, Monteu Roero, Monticello d’Alba, Murazzano, Narzole, Neive, Neviglie, Niella Belbo, Niella Tanaro, Novello, Perletto, Pezzolo Valle Uzzone, Piobesi d’Alba, Piozzo, Pocapaglia, Priocca, Prunetto, Roascio, Rocca Ciglié, Rocchetta Belbo, Roddi, Roddino, Rodello, S. Benedetto Belbo, S. Michele Mondovì, S. Vittoria d’Alba, S. Stefano Belbo, S. Stefano Roero, Serralunga d’Alba, Serravalle Langhe, Sinio, Somano, Sommariva Perno, Torre Bormida, Treiso, Trezzo Tinella, Verduno, Vezza d’Alba, Vicoforte.
In realtà, i comuni sarebbero solo 94 dopo che il piccolo paese di Camo è confluito in Santo Stefano Belbo, ma questi sono dettagli. Ciò che conta di più è capire cosa significhino questi paesi in termini vitivinicoli. Sono paesi che compongono le aree di numerose Docg e Doc di primo livello, a cominciare ovviamente da Barbaresco e Barolo, per passare a Nebbiolo d’Alba e Roero e poi confluire nelle ampie zone di Barbera d’Alba, dell’Alta Langa Metodo Classico e Dolcetto d’Alba e in quella mediamente estesa del Dogliani.
Per questo, il Langhe Nebbiolo si candida a diventare davvero il vino che unisce il territorio vitivinicolo di Langa e Roero più di ogni altra denominazione.
Tuttavia, una zona così ampia e anche così differente dal punto di vista ambientale per altitudine, correnti d’aria, esposizioni, tipi di terreno potrebbe nel tempo anche costituire un limite, soprattutto se l’insediamento del Nebbiolo, un vitigno notoriamente molto esigente, nelle aree di nuova coltivazione non tenesse troppo conto delle sue specifiche aspettative. Al momento quella che viene benevolmente chiamata la “nebbiolizzazione” del territorio di Langa e Roero non sembra aver portato particolari scompensi, ma è un fenomeno che va comunque tenuto sotto controllo e, in prospettiva futura, attentamente gestito.
E veniamo alla Tabella 2: riassume i dati relativi agli imbottigliamenti negli ultimi otto anni, tra il 2012 e il 2019. Come si può vedere, il numero delle bottiglie prodotte supera sempre i 4 milioni di bottiglie e, negli ultimi due anni (2018 e 2019) ha toccato livelli fino a poco tempo fa difficili da pronosticare (rispettivamente 6.279.217 e 7.188.205 bottiglie).
Questo importante volume di imbottigliamenti conferma il valore di questo vino sia dal punto di vista produttivo, sia dal punto di vista del valore aggiunto che sta portando, anno dopo anno con sempre maggiore rilevanza, ai produttori del territorio.
Una linea organolettica eterogenea
Lo sviluppo, ultimamente vorticoso, del “Langhe Nebbiolo” sta poco per volta evidenziando anche qualche aspetto contradditorio, che nel tempo potrebbe rivelarsi non del tutto positivo. La situazione più evidente sta nella tipologia del prodotto.
Nato come vino di secondo piano, spesso decisamente giovane, nel tempo ha poco per volta evidenziato anche qualche versione più strutturata.
Pertanto, oggi il Langhe Nebbiolo esprime sostanzialmente due caratteri di prodotto:
- innanzitutto, la tipologia giovane, di pronta beva e senza particolari pretese di resistenza al tempo;
- in secondo luogo, un’espressione più complessa, con caratteri di vino affinato e capace di concreta longevità.
Diverse sono le ragioni che stanno alla base di questa duplice veste organolettica: lo stile del singolo produttore, la sua storia e caratterizzazione aziendale, la zona di origine più specifica, le sollecitazioni del mercato e le aspettative del consumo. E nemmeno vanno trascurate le recenti evoluzioni climatiche, con temperature genericamente superiori alle medie del recente passato.
Il Consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, che ha la responsabilità della tutela e della gestione della Doc Langhe, ha preso atto della situazione e, attraverso un ampio confronto tra i produttori interessati alla denominazione, sta lavorando per giustificare questa dicotomia tipologica con una equivalente segmentazione normativa.
L’ipotesi più semplice e probabilmente anche più pratica sembra essere quella di istituire una tipologia “Superiore” per il Langhe Nebbiolo più strutturato e complesso. Si percorrerebbe così una strada più volte seguita da altre denominazioni, sia in Piemonte che in altre parti d’Italia, una soluzione pertanto di facile recettività anche da parte degli interlocutori di mercato.
Al momento, non sappiamo quali potrebbero essere i fattori produttivi sui quali si farà leva per creare in concreto una differenza normativa rispetto alla tipologia di base. Crediamo, però, che – in riferimento a ciò che è stato fatto in altre denominazioni – probabilmente si ricorrerà ai due parametri più utilizzati in questi casi, ovvero la gradazione alcolica effettiva (mezzo o un grado in più) e il periodo di maturazione (un anno di invecchiamento minimo obbligatorio, con la possibilità di prevederne anche una parte in legno). Difficilmente si farà leva sulla resa per ettaro, perché in questo caso si rischierebbe di avvicinare troppo il Langhe Nebbiolo ai concetti produttivi dei vini Docg di primo livello come Barbaresco e Barolo, con il pericolo di creare analogie eccessive tra vini che, sul mercato, dispongono di rendite di posizione piuttosto differenti.
Una cosa da non fare è proprio questa: dare vita e sostanza a un Langhe Nebbiolo – Superiore o non – troppo simile a Barbaresco e Barolo. Oltre a creare una problematica confusione nel consumatore, potrebbe anche sollecitare un orientamento preferenziale verso il Langhe Nebbiolo a scapito degli altri due vini, anche in virtù delle loro diverse condizioni economiche di acquisto.