Gastronomia Storie di cibo

La sempre difficile corsa del salmone

“Proprio nei mesi autunnali, tra settembre e novembre, ogni anno i salmoni selvaggi ripetono la migrazione dal mare ai corsi d’acqua dolce dove sono nati. O almeno ci provano, ostacolati da dighe, salti e altri manufatti umani disseminati sul loro percorso”.

Teresa E. Baccini Ottobre 2022
La sempre difficile corsa del salmone

Dotati di una particolare capacità di rilevare i campi magnetici terrestri, i salmoni sono in grado di risalire con precisione al luogo della loro nascita, nei fiumi dove hanno trascorso la giovinezza prima di raggiungere l’oceano – e qui rimangono dai due ai quattro anni per diventare adulti – raggiungendo talvolta, sempre più raramente per la verità, dimensioni notevoli, anche oltre il metro di lunghezza e oltre i 30 chilogrammi di peso.

Secondo gli esperti gode di migliore salute lo stock ittico dei salmoni del Pacifico (tra Canada e Alaska conta cinque specie: salmone rosso, salmone reale, salmone argentato, salmone keta e salmone rosa), spesso pescato in mare aperto, mentre il salmone atlantico selvaggio si considera ormai sull’orlo dell’estinzione.
Infatti quelli che troviamo sulle nostre tavole, che si aggirano tra i 70-80 centimetri di lunghezza e tra i 3,5 e 5,5 chilogrammi, sono di salmoni di allevamento (Norvegia, Scozia) – le evidenti striature biancastre lo testimoniano – i Salmo salar dell’unica specie atlantica che vengono portati a completamento della crescita in circa 3 anni, in gabbie circolari di circa 130 metri di diametro, piazzate in mare aperto e sono più grassi dei salmoni selvatici che rappresentano solo il 30 % di quello che arriva sulle nostre tavole.
I salmoni d’allevamento, per dare un’idea, sono individui più sedentari che nuotano in circolo dentro le gabbie, ma sostanzialmente fanno poca strada e per questo sono un po’più grassi, il che va a vantaggio della morbidezza delle carni, ma non del contenuto in colesterolo.

Il salmone piace agli Italiani
Crescono i consumi del salmone in Italia, secondo i dati diffusi lo scorso giugno dal Norwegian Seafood Council nell’annuale seminario sul salmone norvegese che si svolge a Milano.
Le abitudini dei consumatori cambiano e trascinano a quanto pare i consumi di salmone, prova ne sia il diffondersi di preparazioni esotiche come il sushi giapponese o il poke bowl hawaiano.
Nella ricerca commissionata dall’istituzione norvegeseal GFK Consumer Panel Italy “Changes in buying behavior ad opportunities for Salmon in Italy” la tendenza esaminata nel 2021 (e confermata dalla prima parte del 2022), parla di una frequenza di acquisto del salmone aumentata del +4,3%, con un aumento medio della spesa per acquirente pari a +5,9%. La penetrazione del salmone rispetto ai prodotti ittici è pari al 73,1%.
Il salmone, a quanto pare, è stato il prodotto ittico più ordinato da asporto nel 2020, in piena pandemia ed è sicuramente il sushi la cucina etnica preferita dagli Italiani, tanto che tra il marzo 2020 e l’aprile 2021 ha registrato un aumento delle vendite del 68%.
L’ affumicato, neanche a dirlo, è in testa alle tipologie consumate con il 59,7% del mercato del salmone, seguito dal salmone fresco con il 30,1% e da quello congelato con il 15,2%.
Sempre secondi i dati della ricerca, a spingere la tendenza alla crescita dei consumi di salmone è il “fuori casa”, trascinato dalla richiesta di piatti di pesce che ormai si attesta sul 46% del totale, all’interno della quale il consumo di sushi ricopre una quota del 38%.
E i dati del Norwegian Export Statistics registrano nell’ultimo decennio (2011-2021) addirittura un incremento delle esportazioni dirette di salmone norvegese in Italia del 188%!

Il mito del salmone che fa bene
Che cosa spinge i consumi di questo formidabile viaggiatore amante delle acque fredde nord oceaniche che i Norvegesi hanno costretto in immensi recinti di acquacoltura, per soddisfare la crescente domanda?
Sicuramente il mito dei suoi Omega 3 è abbondantemente responsabile di questa crescente preferenza alimentare, che passa per un comportamento salutistico sommando i requisiti del consumo di pesce a quelli di un pesce ricco di elementi di benessere.
Da notare che, secondo un’altra indagine condotta dal Norwegian Seafood Council in 27 mercati del mondo, 7 consumatori su 10 danno ormai molta importanza all’origine del prodotto, facendone uno dei criteri discriminanti nelle scelte di acquisto dei prodotti ittici.
Tant’è che lo stesso istituto che promuove il pesce norvegese nel mondo (il salmone come il baccalà), sia allevato, come nel caso del salmone che pescato, come nel caso del merluzzo, ci tiene a sottolineare che i salmoni norvegesi sono allevati in maniera sostenibile, precisando che l’acquacoltura norvegese garantisce allevamenti “rigorosamente tenuti sotto controllo” tramite un programma di controlli e analisi che verificano “gli aspetti ambientali, lo stato di salute e la qualità dei pesci”.
Insomma rassicurano rispetto a tutte le principali perplessità espresse negli ultimi anni riguardo all’allevamento intensivo dei salmoni dei quali la Norvegia detiene il primato.
Secondo la FAO infatti, la Norvegia rappresenta oltre la metà del mercato globale del salmone atlantico ed esporta in più di 100 paesi in tutto il mondo.

Garantire i consumatori per il salmone è indispensabile
Garantire i consumatori è diventata un’arma di marketing per chi produce il pesce, come per chi lo lavora o lo vende, tanto che, ad esempio, una catena di locali del poke che conta oltre 100 punti vendita sul territorio nazionale si premura di far sapere che il suo salmone vanta la certificazione di catena di custodia a marchio Asc (Aquaculture Stewardship Council), un ente certificatore che promuove le migliori pratiche nel settore per ridurre al minimo l’impronta ambientale e sociale dell’acquacoltura e concede un’etichetta che consente ai consumatori di identificare sul mercato prodotti certificati da allevamento responsabile.
Sia detto per inciso: secondo la FAO, l’Organizzazione per il cibo e l’agricoltura delle Nazioni Unite, l’acquacoltura fornisce ormai più della metà del pesce mondiale destinato al consumo umano e la quota delle specie d’allevamento nella produzione ittica mondiale ha superato quella delle specie selvatiche per la prima volta nel 2020.
Ma nessuno si nasconde più che il rapido aumento della domanda di pesce d’allevamento presenta dei problemi. Le polemiche sull’acquacoltura a livello intensivo sono sempre più frequenti.

I problemi dell’acquacoltura
Infatti, un’acquacoltura mal gestita può avere molti impatti negativi, dall’inquinamento delle acque – secondo Slow Food le scorie prodotte in un anno da un allevamento di 200.000 salmoni sono pari ai liquami di una città di circa 60.000 abitanti – alla presenza di antibiotici, per non dire di quelli ambientali e sociali, se è vero che la richiesta di mangime necessario all’allevamento del salmone – per ottenere un chilogrammo di salmone ne servono 5 di altri pesci – sembra essere all’origine anche dell’esaurimento degli stock ittici dei paesi africani utilizzati allo scopo.
D’altro canto sembra che introdurre nell’allevamento dei salmoni altri alimenti meno sfruttanti come micro-alghe e insetti rischi di abbassare la quota di Omega 3 del salmone, derivante soprattutto da un’alimentazione di origine animale (in natura i gamberetti). Si calcola che nei salmoni attualmente allevati la quota di Omega 3 si sia più che dimezzata a causa dell’alimentazione.

Fortunatamente è stato almeno scoperto un vaccino contro le malattie dei salmoni, cosìcché è stato possibile eliminare quasi del tutto gli antibiotici, perché i salmoni vengono vaccinati. Non a caso il Norwegian Seafood Council ci ha tenuto a precisare che il salmone norvegese d’allevamento è prodotto senza alcun trattamento antibiotico.
E, tra l’altro, la mancanza nella dieta dei salmoni in allevamento dei gamberetti che conferiscono il caratteristico colore rosa alle sue carni viene oggi sostituito dall’aggiunta ai mangimi dell’astaxantina, un carotenoide che si ricava da una micro alga d’acqua dolce, lo stesso che figura in molti integratori umani per le sue proprietà antiossidanti. Se fa bene a noi farà bene anche ai salmoni, supponiamo.

Il salmone visto dal nutrizionista

Il pesce surgelato ha le stesse proprietà nutrizionali di quello fresco. È fonte di proteine, omega-3 e ricco di vitamine liposolubili e sali minerali. Anche il pesce affumicato e quello conservato in scatola mantengono invariato il contenuto di proteine e omega-3, ma eccedono nel contenuto di sale, quindi andrebbero consumati in minor quantità.
Il salmone ha il 12% di grassi, la stessa quantità della ricotta, quindi è sbagliato considerarlo un alimento grasso.
Per mantenere al meglio gli omega-3 presenti, consumare il prodotto crudo o cotto a basse temperature (< 100°C).

Qual è la porzione di salmone corretta da mangiare?
Porzione media raccomandata per la popolazione italiana
Salmone fresco: 150g
Salmone affumicato: 50g
Salmone in scatola: 50g

Con quale frequenza si dovrebbe mangiare il salmone?
Il pesce fresco o surgelato andrebbe consumato 2-3 volte a settimana, mentre il pesce in scatola o affumicato andrebbe consumato meno di 1 volta a settimana.
Donne in gravidanza: evitare il salmone affumicato e quello crudo, consumare salmone cotto o in scatola.

A cura di Ilaria Goria, biologa nutrizionista

(Si ringrazia la Pescheria del Molo di Alba (CN) per la gentile collaborazione).

redmango.agency