Il Buttafuoco, il fascino antico di una tradizione

“Al buta ‘me al feüg”, in italiano significa “brucia come il fuoco”: è il Buttafuoco, il vino della tradizione dell’Oltrepò Pavese. Un vino che arriva dal passato di cui ha saputo mantenerne il fascino pur restando rigorosamente al passo con i tempi…

Paolo Valente Ottobre 2022
Il Buttafuoco, il fascino antico di una tradizione

Un vino fatto come una volta partendo da vigneti promiscui.
Perché un tempo non esisteva il concetto di viticoltura specializzata; nel campo si piantavano varietà differenti, un po’ qua, un po’ là, senza un ordine preciso: Croatina, Barbera, Uva rara e Ughetta di Canneto, quelle tipiche della zona.
E quando si vendemmiava si raccoglieva tutto insieme.

Lo stesso avviene anche oggi. Forse solo un po’ meno casualmente rispetto a una volta.
I vigneti per il Buttafuoco sono sempre in complantazione, ma le varietà sono disposte più ordinatamente, per filari o per zone, cercando di abbinare al meglio le caratteristiche del suolo o dell’esposizione con quelle del vitigno in modo da compensare, almeno in parte, la vendemmia contemporanea.
Per la raccolta, di solito, si attende la maturazione della Croatina, normalmente presente in percentuali maggiori; questo determina la circostanza che la Barbera sia già a piena maturazione e l’Ughetta in leggero appassimento. Un magico equilibrio che, in fase di vinificazione, riesce a produrre sfumature e caratteristiche che lo rendono un vino unico.

Il Buttafuoco, come lo conosciamo oggi, nasce alla fine del secolo scorso dalla volontà di alcuni produttori di trovare un prodotto che fosse al passo con i tempi attingendo dal patrimonio enologico locale. In Oltrepò in effetti mancava un vino rosso da invecchiamento che potesse competere con i vini strutturati prodotti da altre regioni. E il Buttafuoco era sotto gli occhi di tutti. Pronto e disponibile, con una bella tradizione e una bella storia che inizia, almeno documentalmente, nel 1860 quando in alcuni atti notarili viene citato come nome di un vigneto.
Il vino era prodotto con le uve che, dopo la piaga della fillossera, meglio si erano adattate al territorio e quindi venivano coltivate maggiormente. Il concetto di vino monovarietale era ancora pressoché sconosciuto. I vini erano identificati con il nome della vigna, indipendentemente dai vitigni. Un concetto di “terroir” ante litteram.
Su questa spinta, nel 1996 nasceva il “Club del Buttafuoco Storico” che oggi prende nome di “Consorzio Club del Buttafuoco Storico”, consorzio di imprese, da non confondere con il Consorzio di Tutela Vini dell’Oltrepò Pavese a cui è demandata per legge la tutela della denominazione.

Il Disciplinare che riflette la composizione dei vigneti
La denominazione “Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese” o “Buttafuoco” è stata istituita nell’agosto 2010, diretta derivazione di quella che era una tipologia nella vasta denominazione “Oltrepò Pavese”.
La base ampelografica prevede l’utilizzo di Barbera (dal 25 al 65%) di Croatina (dal 25 al 65%) e di Uva rara e Ughetta di Canneto (congiuntamente o disgiuntamente fino a un massimo del 45%). Le percentuali indicate riflettono la composizione dei vigneti, molto differente tra produttore e produttore, in quanto conseguenza di una tradizione contadina e popolare che lasciava più al caso che alla scelta la composizione varietale del vigneto.
La zona di produzione comprende, in tutto o in parte, i comuni di Stradella, Broni, Canneto Pavese, Montescano, Castana, Cigognola, Pietra de’ Giorgi. Sostanzialmente la zona può essere ricondotta alle pendici collinari di un tratto delle valli dei torrenti Scuropasso e Versa a sud della via Emilia; sono esclusi i fondivalle e i tratti pianeggianti. La resa per ettaro è fissata in 105 quintali (resa in vino massima del 70%) per entrambe le tipologie ammesse, ferma e frizzante. Come da tradizione è ammessa la vinificazione congiunta delle uve. Il vino può essere messo in commercio dal 30 aprile dell’anno successivo alla vendemmia.
Oggi la produzione della Denominazione di Origine si attesta intorno alle 600 mila bottiglie complessive di cui circa 80 mila della tipologia frizzante e 100 mila di Buttafuoco Storico.

Dai terreni e dai vitigni nasce un vino pieno e potente
L’area interessata dalla Denominazione è caratterizzata da terreni alluvionali, nella fascia pedecollinare e da alternanze eterogenee di conglomerati, arenarie, siltiti e argille nonché di alternanze a dominante arenacea. Volendo cercare dei tratti comuni di semplificazione, le zone più a nord, dunque verso la via Emilia, sono caratterizzate dalla presenza di ghiaie che conferiscono acidità ai vini, la zona più a sud vede una prevalenza di argille con terreni freschi e meno profondi che conferiscono ai vini immediatezza, ricchezza di frutto e di rotondità; dalla zona centrale, ricca di arenarie, provengono vini di buona alcolicità e tannicità.
Il disciplinare della Doc lascia al produttore ampio spazio di interpretazione e risulta quindi difficile definire caratteristiche comuni ai vini.
Tralasciando i vini giovani e i frizzanti che meno corrispondono a quello che è stato fin dall’origine un rosso di corpo e importante, potremmo definire il Buttafuoco come un vino dal colore rubino che rimane stabile nel tempo grazie alla croatina, dai sentori di frutta scura matura che con il passare del tempo matura in confettura e sottospirito, con accenni di spezie nere e di tostatura determinata anche dalla tipologia di legno utilizzato in maturazione. Al sorso è pieno e potente, complesso e persistente, con una longevità di oltre 15 anni.

Le caratteristiche dei vitigni coinvolti
Croatina: diffusa soprattutto in Piemonte e Lombardia, dove è coltivata fin dal Medioevo, si ritiene sia originaria della zona di Rovescala, in Oltrepò Pavese; qui ancora oggi è massicciamente coltivata e conosciuta il nome di Bonarda come l’omonimo vino. Piacevoli sentori di frutta e fiori rossi ne caratterizzano il profumo; il buon tenore alcolico unito a una relativamente bassa acidità e al gusto pieno e morbido sono le peculiarità gustative che determinano ottimi risultati sia nella vinificazione in purezza che in assemblaggio con altre varietà locali.
Barbera: altro vitigno dalle origini antichissime, la Barbera è uno dei vitigni più coltivati in Italia. Oltrepò Pavese, Emilia-Romagna, Sardegna e Piemonte -dove riesce ad esprimersi al meglio- sono le regioni di principale diffusione. Conferisce al suo vino un colore rubino intenso con riflessi porpora; lavorato in purezza, presenta fragranti profumi di rosa, di frutta rossa e di sottobosco con una buona dose di spezie. All’assaggio sono evidenti la freschezza, il gusto asciutto e la buona alcolicità.
Uva rara: varietà di minore diffusione che, pur essendo un vitigno distinto, in alcuni areali assume il nome di Bonarda o Croatina. Grazie al suo contenuto zuccherino e alla bassa acidità, in passato, veniva utilizzata anche come uva da tavola. Oggi viene principalmente vinificata in associazione ad altre varietà e produce vini dal colore scarico, dai sentori floreali e con un retrogusto piacevolmente amarognolo.
Ughetta di Canneto: altrimenti conosciuta con il nome di Vespolina, nel 18° secolo era molto diffusa in Oltrepò Pavese sebbene la sua origine debba considerarsi piemontese. È coltivata soprattutto nel nord Piemonte, dove entra nella composizione di alcune denominazioni e in Oltrepò Pavese. I sentori speziati ne caratterizzano l’olfatto.
Ognuno dei quattro vitigni apporta una sua particolarità che fondendosi, mischiandosi, interagendo e integrandosi con le altre crea un rapporto sinergico unico nel vino. Semplificando: la Croatina conferisce potenza, la Barbera freschezza, l’Uva rara morbidezza e l’Ughetta di Canneto i sentori speziati.

Il Consorzio Club del Buttafuoco Storico
Il “Consorzio Club del Buttafuoco Storico” è un’associazione volontaria nata nel febbraio del 1996 che, come si legge anche nel testo del Disciplinare della DOC, ha meritoriamente contribuito a evitare la scomparsa di un vino storico.
Creato per volontà di 11 vignaioli con lo scopo di valorizzare la storia e il territorio di questo vino, non è mai stato un progetto commerciale, ma una sorta di esperimento filosofico e sociale, che è riuscito, nell’Italia delle divisioni e dei campanilismi, ad unire produttori, associazioni del territorio e comuni per promuovere insieme il Buttafuoco.
Il Consorzio Club del Buttafuoco Storico conta attualmente 18 produttori associati che gestiscono 22 ettari suddivisi in 20 vigne poste nella parte più storica della denominazione ovvero su quello che viene definito “lo Sperone di Stradella” il crinale spartiacque fra il torrente Versa e il torrente Scuropasso.
I produttori aderenti al Consorzio Club del Buttafuoco Storico si sono dati un regolamento molto più stringente rispetto al disciplinare della DOC. Innanzitutto, l’area di produzione ristretta rispetto a quella della Doc, poi le rese per ettaro decisamente inferiori (3 Kg massimi per ceppo), ma soprattutto il periodo di maturazione del vino in legno (fatto non usuale nell’Oltrepò di una trentina di anni fa): minimo 12 mesi in legno e 6 mesi in bottiglia prima della commercializzazione che non può comunque avvenire prima dei 36 mesi. Un sistema di controllo, indipendente, verifica le qualità del prodotto durante tutte le fasi di maturazione.

La leggenda del Buttafuoco
Tutti i produttori, per il loro Buttafuoco Storico, utilizzano una speciale bottiglia con il logo del Club, logo che raggruppa gli elementi peculiari questo vino. Un ovale, al cui interno è riprodotto un veliero, sormonta due nastri. L’ovale rimanda alla forma del ciüf, la tipica botte oltrepadana, ovale e non rotonda, per sfruttare al meglio il poco spazio delle cantine; il veliero ricorda, oggettivamente con un po’ di fantasia, la nave austriaca Buttafuoco; i due nastri simboleggiano i torrenti Scuropasso e Versa che delimitano la zona di produzione.
La leggenda narra che durante la Seconda Guerra di Indipendenza combattuta tra i franco-piemontesi e l’impero Austro-Ungarico, nei pressi di Stradella fossero di stanza alcuni uomini della marina militare austriaca per traghettare da una parte all’altra del grande fiume truppe e armamenti. Non è chiaro, qui il mistero si infittisce, se in un momento di ribellione o di riposo, quei soldati entrarono in una cantina, bevvero e si ubriacarono di un vino che portava il nome Buttafuoco e che gli austriaci tradussero in “Feuerspeier”.
Ai primi del Novecento una nave cannoniera fu ribattezzata con questo nome e quando, alla fine della Grande Guerra, venne ceduta alla Regia Marina, le fu riassegnato il nome italiano di Buttafuoco a degna chiusura di una storia iniziata settant’anni prima.

Il Buttafuoco Storico è un vino da vigna, le uve devono provenire da un unico appezzamento, vendemmiate e vinificate congiuntamente e l’indicazione del vigneto è riportata, in bella mostra, in etichetta. Una fascetta con il numero della bottiglia riporta anche la classificazione qualitativa dell’annata (da 3 a 6 fuochi) elaborata da una commissione di enotecnici che valuta ogni millesimo nella sua globalità attribuendo un punteggio medio di tutte le produzioni.

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