Quest’anno il 15 dicembre andrà in scena la 112° edizione: stiamo parlando della Fiera Nazionale del Bue Grasso di Carrù, appuntamento sempre molto atteso dagli allevatori, dai carrucesi e dai tantissimi visitatori che arrivano anche da fuori regione e dall’estero per assistere a questa ultracentenaria manifestazione con protagonisti gli animali di razza bovina piemontese.
Carrù, a cavallo fra Langa e pianura cuneese, è stata sede di mercati del bestiame fin dalla seconda metà del XV secolo, ma è dal 1910 che si celebra la Fiera del Bue Grasso, il secondo giovedì antecedente il Natale. È un rito che si ripete ogni anno all’arrivo dei primi freddi e si regge su tre capisaldi: il grande mercato che invade le strade di Carrù, con i suonatori, i cori improvvisati, l’animazione tipica della fiera di paese; la mostra mercato presso il Foro Boario dove gli allevatori portano gli animali per esibirli e dove la giuria premia i capi migliori; il rito del bollito misto alla piemontese, inevitabile corollario gastronomico della giornata.
Partiamo dal protagonista, il bue.
È stato per secoli l’umile e docile forza motrice nei campi e sulle strade che ogni azienda allevava per avviarlo alla macellazione solo quando le forze dell’animale andavano ad affievolirsi con l’età. Si può dire che un’intera civiltà contadina abbia fatto affidamento su questo animale, almeno fino al secondo dopoguerra, quando la meccanizzazione ha preso il sopravvento. Venuta meno la prima valenza economica dell’animale, si è vieppiù valorizzata quella gastronomica, legata alla qualità della carne. Ma sarebbe riduttivo ricondurre questa forma di allevamento soltanto a qualcosa di monetizzabile. È sufficiente partecipare una sola volta alla fiera di Carrù e scambiare qualche parola con gli allevatori per scoprire quanta passione ci sia dietro questa zootecnia d’antan, quanto orgoglio per una bestia ben allevata che si esibisce in piazza come frutto del proprio lavoro, della propria competenza e dei propri sacrifici. Insomma, più che questione di portafoglio, una questione di cuore.
L’obiettivo di tutti gli allevatori è conquistare una delle ambitissime gualdrappe dipinte a mano con cui vengono rivestiti i capi vincitori. E poi ancora coppe, medaglie, diplomi: gioia effimera perché in agguato ci sono i macellai pronti ad accaparrarsi gli animali migliori. Che, bisogna dirlo, valgono il viaggio per essere ammirati da vicino in tutta la loro imponenza. L’anno scorso il premio speciale per il “Bue più pesante” è andato ad Androne un esemplare di cinque anni dei fratelli Delsoglio, allevatori di Fossano: ben 1.551 chilogrammi.
Le categorie di buoi ammessi alla rassegna zootecnica sono tre, in base al loro aspetto morfologico e muscolare: Nostrano, Migliorato, Della coscia (o Fassone). Poi ci sono le altre tipologie di animali che, si potrebbe dire, rappresentano la corte del re della fiera: il manzo (un castrato che non ha ancora raggiunto i quattro anni di età e non può essere chiamato bue), il vitello castrato (età inferiore a 24 mesi), vitellone della coscia (non castrato di età inferiore a 24 mesi), vitella della coscia (idem, ma femmina), manza (o Scottona) (femmina fra i 24 e i 48 mesi che non ha ancora partorito), vacca grassa (femmina con più parti), toro (non castrato di età superiore ai 24 mesi).
In tema di bollito misto alla piemontese
Ma a Carrù tengono a sottolineare che, quale che sia la tipologia dell’animale, questo non va ad alterare la qualità della carne di razza bovina piemontese. “Rispetto ad altre carni si distingue per il basso contenuto di colesterolo e grasso, con una elevata quota di acidi grassi insaturi, il cosiddetto colesterolo buono, che la avvicina come profilo nutrizionale al pesce azzurro, considerato il più salutare dei prodotti di origine animale” ci spiega Luca Varetto, referente scientifico di Coalvi, il Consorzio di Tutela della Razza Piemontese.
Con questo salvacondotto salutistico possiamo dedicarci senza sensi di colpa al rito del Gran bollito misto alla Piemontese. La scelta è fra uno degli storici ristoranti di Carrù come il Moderno o l’Osteria del Borgo dove si fa la coda fin dal mattino. Siccome la concorrenza per accaparrarsi un posto è forte, c’è sempre la scappatoia del palafiera in piazza Divisione Alpina Cuneese dove, a cura della Pro Loco, viene servito il Bollito no stop. I pentoloni si accendono in piena notte, perché si sa che i pezzi del bollito esigono una cottura lunga e non bisogna avere fretta. Oltretutto ne nasce un meraviglioso brodo, con cui, arrivando presto al mattino, si può anche fare colazione.
A tavola dovrebbe valere sempre la regola del sette. Sette tagli di carne: tenerone, scaramella, muscolo di coscia, stinco, spalla, fiocco di punta, cappello del prete. Sette sono anche i diversi ornamenti: la testina di vitello completa di musetto, la lingua, lo zampino, la coda, la gallina, il cotechino e la rolata. Il tutto completato da, provate a dire, sette bagnetti: quello verde e quello rosso, al rafano, la cognà e altri ancora. Poi, ogni cuoco avrà la propria versione e in questo sta anche il divertimento e la voglia di tornare per una successiva edizione. Quel che è certo è che il bollito misto ha attraversato la storia della cucina piemontese da Giovanni Vialardi a Giovanni Goria fino a Matteo Baronetto. E Carrù è il posto giusto per gustarlo in una giornata di festa.