Una premessa necessaria. Sono passati quasi cento anni da quando Rudolf Steiner, nella sua sesta lezione dedicata alla salute della terra, disse: “Non si potranno mai capire le piante, gli animali o i parassiti presi ognuno per sé. Dobbiamo considerare tutto l’universo per spiegare il mondo vivente delle piante. Non possiamo solo guardare le piante, gli animali e gli uomini. La vita proviene da tutto l’universo, non solo da quello che la terra ci offre. La natura è un tutt’uno e le forze fluiscono da tutte le parti. Cosa fa lo scienziato oggi? Prende un preparato, lo scinde e lo studia. Lo tiene ben isolato dall’ambiente esterno e lo scruta nel microscopio. È esattamente il contrario di quello che bisogna fare per capire il macrocosmo”.
È il concetto da cui prenderà forma il movimento dell’agricoltura biologica nel 1924, nello stesso anno della fondazione dell’Institute of Plant Industry di Indoore (India) e dell’agricoltura organica sotto la guida degli agronomi Albert e Gabrielle Howard.
In questi quasi cento anni si è sperimentata una relazione armonica fra uomo e natura attraverso l’impegno iniziale di pochi autentici “pionieri” che hanno contribuito in maniera determinante ad affermare i principi della cura della terra e della sua fertilità naturale.
I pochi “pionieri” di allora, considerati una sorta di élite produttiva rivolta ad un’altrettanto elitaria fascia di consumatori, nell’ultimo decennio si sono moltiplicati, dimostrando come l’agricoltura biologica sia e possa diventare l’agricoltura del futuro.
Una crescita a due cifre
A confermarlo sono le cifre statistiche: fredde, come per tutte le rilevazioni numeriche di un trend ispezionato, ma chiare e definite per chi abbia voglia di confrontarcisi.
E le cifre parlano chiaro: nel 2018 la spesa per i prodotti alimentari biologici vale il 3,0% dell’intero comparto agroalimentare nazionale e nel primo semestre del 2019 registra un ulteriore incremento del +1,5% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. Nel decennio 2009/2018 il mercato interno è passato da 1,6 a 4,1 miliardi di euro mentre l’export è cresciuto da 1 a 2,3 miliardi di euro e, soprattutto, la crescita di mercato del bio è continuata anche durante le crisi economiche in cui il settore agroalimentare ha registrato risultati negativi.
Nel 2018 la superficie coltivata in Italia ad agricoltura biologica ha quasi raggiunto i 2 milioni di ettari, con un numero di operatori che sfiora le 80.000 unità concentrati su tutto il territorio e, in particolare, in Sicilia (385.356 ha), Puglia (263.653 ha), Calabria (200.904 ha) ed Emilia-Romagna (155.331). Complessivamente l’estensione dei terreni coltivati a bio raggiunge il 15,5% dell’intera superficie agricola nazionale, mentre le aziende biologiche rappresentano il 6,1% del totale delle aziende agricole attive. Sono numeri importanti, che fanno dell’Italia il leader europeo del comparto biologico.
Se agli inizi il mercato aveva caratteristiche di prossimità e legava strettamente luogo di produzione e consumatori, oggi è la Grande Distribuzione il canale distributivo di riferimento (47%), tanto da avere assorbito nell’ultimo decennio le produzioni alimentari biologiche con una crescita del 217%. Seguono i negozi specializzati (21%), ristoranti e bar (15%) e gli altri canali quali farmacie, parafarmacie, piccoli esercizi, mercati e fiere (17%).
I segmenti di rilievo sono la frutta (che rappresenta il 23,2% delle vendite bio nell’ambito del food italiano), gli ortaggi (19,2%) e i cereali (17,1%); nel 2019 si è registrata una crescita del bio per vini e spumanti (+38,6% rispetto all’anno precedente), uova (+14,3%), carni fresche (+12,7%) e salumi (+4,8%).
Nell’era del virus
Anche i primi mesi del 2020 mostrano dati di crescita: a marzo le vendite di biologico nella GDO registrano un significativo +9,6%, nei discount +23,7% e nei piccoli supermercati di quartiere +26,2%, secondo i dati diffusi da Assobio e Nielsen, per i quali la crescita è stata ancora maggiore nei negozi specializzati (+28,8%). In crescita anche il consumo di vino biologico, che nel primo trimestre 2020 ha venduto 1 milione e 559 mila litri, con un aumento del 19%.
Sono dati riferiti all’iniziale periodo dell’isolamento sociale causato dal Covid-19 e si affiancano al boom degli acquisti on line attraverso piattaforme che attestano come gli italiani colleghino la salute con la corretta alimentazione.
Dati che sembrano confermare la “galoppata irrefrenabile” del biologico made in Italy.
Ma la condizione di emergenza che abbiamo vissuto negli ultimi mesi e la crisi economica che ha generato, obbliga a interrogarsi sul futuro e una ricerca di Firab (Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica), sviluppata tra 400 produttori biologici italiani alla data del 29 aprile, segnala nuvole nere all’orizzonte: in termini di liquidità, per oltre due aziende su tre la tenuta economica è prevista al massimo in tre mesi. La causa? Le difficoltà nel raggiungere i canali di distribuzione che prevedono maggiore mobilità delle persone e la serrata del settore alberghiero-ristorazione-bar coi quali collaborano un terzo dei rispondenti. Per il 24% del campione ha avuto un impatto notevole anche la sospensione di mercatini e fiere, canali essenziali per le piccole realtà famigliari, mentre l’export risulta fermo.
Insomma, consumatori in crescita, ma distribuzione ostacolata.
La crescita del comparto bio potrebbe subire uno stop oppure dimostrare che la domanda non si ferma neppure davanti a un virus. Ma noi siamo pronti a scommettere che anche il 2020 sarà un anno positivo per tutto il mondo bio.