Dolcetto d’Alba, tra biodiversità, tradizione e prospettive

La lunga storia del Dolcetto d’Alba, vino di grandi consumi negli anni Ottanta e Novanta e ora alla ricerca di una nuova identità e senza rinunce…

Giancarlo Montaldo Ottobre 2023
Dolcetto d’Alba, tra biodiversità, tradizione e prospettive

Il legame tra le colline di Langa e il vitigno Dolcetto va indietro nei secoli. Per molto tempo il vitigno e il suo vino hanno intrecciato un dialogo forte e gratificante con la gente di questo territorio. Poi, qualcosa è cambiato nel mercato, nel consumo, nel mondo produttivo e nelle sue aspettative. Senza dimenticare ciò che è mutato nel clima, nei tempi e nel ciclo colturale.

Forse i fasti degli anni Ottanta e Novanta del Novecento non torneranno più. Allora il vigneto di Dolcetto iscritto all’Albo del Dolcetto d’Alba sfiorava addirittura i due mila ettari di superficie vitata e la produzione effettiva di questo vino stava a cavallo dei dieci milioni di bottiglie.
La tabella che riportiamo in queste pagine e che prende in considerazione i valori produttivi (la superficie vitata e la produzione effettiva si sono praticamente dimezzate) tra il 2007 e il 2022 disegna una realtà ben diversa rispetto a quel periodo. Inoltre, da alcuni anni c’è un dato che allora non c’era, ovvero il volume degli imbottigliamenti effettivi anno per anno delle dinamiche di questa denominazione, che rappresenta valori nel complesso ancora più ridotti. Il che potrebbe far pensare che anche allora non tutta la produzione rivendicata venisse davvero imbottigliata con questa denominazione di origine.
Viene da chiedersi come si sia potuta verificare un’involuzione di questo genere e di questa entità.
In realtà, le ragioni ci sono e ne parleremo più avanti. Adesso, vorremmo esaminare e sottolineare il valore del vitigno Dolcetto e del vino Dolcetto d’Alba, un valore che va oltre i limiti sostanziali della tradizione e dell’origine territoriale, per abbracciare i connotati della biodiversità, del proficuo dialogo che questo vitigno ha intrecciato con le colline di Langa (sia Alta che Bassa), del rapporto quasi ancestrale che vitigno e vino hanno stabilito con le donne e gli uomini di queste colline.

Alcuni appunti sul vitigno
Le foglie rossicce che in autunno inoltrato caratterizzano le colline poste alla destra del fiume Tanaro sono il segno tangibile della presenza del vitigno Dolcetto nel territorio genericamente definito “Albese” e che fa riferimento alla città di Alba e a più di trenta paesi che le fanno da corona. Sono quasi tutti legati alla provincia di Cuneo, con la sola eccezione del comune di Coazzolo, già in provincia di Asti, ma che per vicinanza e assonanza con le dinamiche di tradizione, mercato e produzione con la Langa albese è rimasto legato anche per questo vitigno al territorio che fa capo alla città di Alba.
In questo mondo vitivinicolo così ben caratterizzato, il vitigno Dolcetto – nonostante le recenti titubanze – è una spiccata espressione di biodiversità che merita attenzione e rispetto già per le note che riferiscono delle sue origini parentali e di luogo. Certezze assolute non ne abbiamo, ma questa speciale pianta sembra derivare dall’incrocio verificatosi chissà quanti secoli fa tra due vitigni che oggi non esistono più, il Moissan e il Dolcetto bianco.
Molto più sicuro sembra essere il luogo del loro “sposalizio”, indicato proprio tra le colline delle Langhe. Qualcuno dice con più precisione nelle terre del Dogliani che poi sono strettamente connesse con quelle del Dolcetto d’Alba. In un caso come nell’altro, almeno il luogo di origine ha qualcosa di sicuro e farlo ricadere su una generica collina delle Langhe può ribadire ancora di più il valore di questo vitigno come fattore di biodiversità in questo territorio.
Ma c’è un’altra considerazione che è opportuno sottolineare e riguarda il comportamento del Dolcetto nella sua scelta dei luoghi dove stabilirsi. In questo, è un vitigno selettivo, che non ama i mezzi termini ed esprime con chiarezza la preferenza per i posti dove si trova a suo agio.
Non è come il Barbera che dove lo metti sta e cerca di adattare i suoi bisogni ai caratteri ambientali dei vari luoghi. Il Dolcetto no. Predilige le terre bianche, ricche di calcare, le zone in altitudine dove gli sbalzi termici sono evidenti tra il giorno e la notte e tra la bella e la brutta stagione. Ama in particolare i terreni marnosi, asciutti e ben esposti e cerca di evitare quelli argillosi e troppo freschi, dove va facilmente incontro a colatura degli acini.
È vero che è tardivo nel germogliamento e per questo di solito non si imbatte nelle gelate tardive, ma tutto il tempo che perde nelle sue prime fasi di ciclo vitale poi lo recupera fino a invaiare per primo e anche a maturare i suoi grappoli altrettanto presto.
Che sia un buon accumulatore di zuccheri è un fatto assodato. Lo dimostra già il suo nome “Dolcetto” che gli deriva proprio dalla dolcezza che accompagna l’assaggio dei suoi acini., C’è chi dice che poi questo nome diventi una contraddizione a livello di vino, ma a furia di sentirlo dire cominciamo a pensare che per molti questa sia diventata una scusa per non prendersi fino in fondo le proprie responsabilità di non aver saputo – almeno in questi anni – dare il giusto rilievo economico e di immagine a un vino che meriterebbe tanto di più.
E, poi, c’è il legame profondo con la gente di Langa, che da tanto tempo ha eletto il Dolcetto d’Alba (o anche il Diano d’Alba e il Dogliani) a vino del suo privilegio. Senza mezzi termini e senza incertezze, al punto che – come scherzosamente amava scrivere un grande dell’enologia albese come Renato Ratti – “se si facesse l’analisi del sangue di qualche Langhetto risulterebbe per metà composto di … Dolcetto”. Ma il legame con il Dolcetto inizia a livello di vitigno: lo sottolineano gli usi collaterali che la gente di Langa faceva nel passato dell’uva Dolcetto. Il caso più eclatante era l’uso dei suoi grappoli come frutti da tavola, in mancanza di una coltivazione specializzata di uva da mensa. O, ancora, l’uso dell’uva Dolcetto come ingrediente ottimale – come amava ricordare Luciano De Giacomi, Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini di Alba – per confezionare la “cognà”, la sontuosa marmellata di uva addizionata di altri frutti complementari come le mele cotogne, le pere Martin o quelle Madernassa, noci, nocciole, fichi e altro ancora. Una marmellata che, oltre a essere strepitosa spalmata sul pane, magari abbrustolito, accompagna con eleganza grandi piatti di formaggi, anche stagionati, e il bollito misto.

Le regole del Dolcetto d’Alba
La denominazione di origine controllata al Dolcetto d’Alba è stata riconosciuta con il DPR del 6 luglio 1974, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 23 ottobre 1974. Da allora il suo disciplinare di produzione è stato più volte modificato, per adeguare le regole produttive di questo vino (che è rimasto Doc) alle esigenze del mondo produttivo e alle aspettative del mercato e del consumo.
Sono due le tipologie riconosciute: Dolcetto d’Alba e Dolcetto d’Alba Superiore. In ogni caso, il vitigno di riferimento è sempre e solo il Dolcetto.
Un’attenzione particolare merita la descrizione della zona di origine di questo vino: siamo in Langa e sempre alla destra del fiume Tanaro. In tutto, i comuni interessati sono 37, dei quali 36 in provincia di Cuneo e uno (Coazzolo) in quella di Asti. Sono 26 i paesi il cui territorio è incluso totalmente nella zona d’origine: Alba, Albaretto della Torre, Arguello, Barolo, Benevello, Borgomale, Bosia, Camo, Castiglione Falletto, Castiglione Tinella, Castino, Cossano Belbo, Grinzane Cavour, Lequio Berria, Mango, Monforte d’Alba, Montelupo Albese, Neviglie, Rocchetta Belbo, Rodello, S. Stefano Belbo, Serralunga d’Alba, Sinio, Treiso, Trezzo Tinella (Cuneo) e Coazzolo (Asti). Sono 11 invece i paesi che appartengono alla zona del Dolcetto d’Alba per una parte del loro territorio: Barbaresco, Cherasco, Narzole, Neive, Novello, La Morra, Roddi, Verduno, Roddino, Torre Bormida e Cortemilia, tutti in provincia di Cuneo.
Bello e intrigante da visitare è il territorio di questa zona di origine, un susseguirsi ininterrotto di colline allungate, spesso assai scoscese, capaci di raggiungere, man mano che si va verso sud, altitudini anche ragguardevoli, vicine a quei 650 metri sul livello del mare indicati nel Disciplinare come limite per la coltivazione di questo vitigno per produrre tale denominazione.
Sono coinvolte in questa zona altre aree di produzione di vini a denominazione di origine come la Langa del Barolo, quella del Barbaresco e, parzialmente, quelle del Moscato d’Asti e della Barbera d’Alba. Ci sono paesi dove la produzione di Dolcetto d’Alba è particolarmente apprezzata come Mango e Treiso, Monforte d’Alba e Roddino, Montelupo Albese e Albaretto della Torre. Addirittura Cortemilia, dove si produce il Dolcetto d’Alba “dei Terrazzamenti”, degno di annotazione non solo per l’opera meritoria svolta nel trasformare la collina impervia in terreno di coltivazione, ma anche per la scrupolosa attività di salvaguardia ambientale e paesaggistica.


Le regole per la viticoltura consigliano di prediligere le migliori esposizioni delle aree collinari fino a 650 metri sul livello del mare. La densità di impianto per i nuovi vigneti non deve essere inferiore a 3.300 ceppi per ettaro. La produzione massima a ettaro non può superare i 9.000 chilogrammi di uva, equivalenti a 6.300 litri e 8.400 bottiglie di vino. È possibile riportare in etichetta il riferimento “Vigna” accompagnato dal relativo toponimo o nome tradizionale.
In cantina, la resa uva-vino è fissata nel massimo del 70%. Non è previsto periodo di maturazione obbligatoria, a parte la tipologia “Superiore”, che deve rimanere in cantina almeno 12 mesi dal 1° novembre dell’anno di raccolta delle uve.
Per quanto concerne le caratteristiche al consumo, la gradazione alcolica deve superare gli 11,5% Vol per la tipologia Dolcetto d’Alba (12% Vol in presenza della menzione Vigna) e i 12,5 % Vol per la tipologia Superiore (inclusa la menzione Vigna). L’acidità totale non può essere inferiore a 4,5 per mille. Nella designazione dei vini Dolcetto d’Alba e Dolcetto d’Alba Superiore è obbligatoria l’indicazione dell’annata di produzione delle uve.

Un vino convincente anche nei caratteri
Anche come vino il Dolcetto d’Alba annota parecchi dati positivi: a cominciare dalla grande ricchezza cromatica per passare alla componente olfattiva che ha in sé molte note floreali e fruttate, ma non rinuncia alle componenti speziate. Nella sua composizione spiccano anche il notevole patrimonio fenolico e la struttura tannica di gran bel rilievo. Non va poi dimenticato l’intrigante finale ammandorlato, che si rivela un vero e proprio stimolo alla beva. Globalmente, è poi l’equilibrio il carattere fondamentale, un eccezionale “legante” organolettico.
La resistenza al tempo non è il carattere più richiesto al Dolcetto d’Alba, ma sapere che anche questo vino può reggere alle insidie degli anni permette di classificarlo tra quelli che hanno una dimensione internazionale.
Nella tradizione di Langa, il Dolcetto d’Alba è apprezzato anche come “vino della quotidianità”. E non solo per la sua predisposizione all’abbinamento con tanti piatti della cucina tradizionale e non, dai piatti di entrata fino anche ai formaggi e a quel dolce di cioccolato, amaricante, chiamato Bonét.
Lo scriveva già Renato Ratti nella sua “Guida ai Vini del Piemonte” – Edizioni EDA, Torino, 1977:
“È il grande vino di tutti i giorni, di tutti i pasti, da tutto pasto. L’eccezionalità consiste nel fatto di essere (come in effetti è) allo stesso tempo adatto alla mensa nobilissima e di alta classe come a quella più umile”.
Come dargli torto? Si tratta solo di capirlo.

Ragionamenti sulle attuali difficoltà
Come abbiamo scritto in premessa, negli ultimi 15-20 anni si è verificata una sorta di “involuzione” a carico del Dolcetto d’Alba. Anche se questa situazione ha riguardato tutte le denominazioni piemontesi a base di Dolcetto, le emorragie di superficie e produzione che hanno interessato il Dolcetto d’Alba sono state più dolorose, perché questo vino è da sempre il “faro” dell’intero ambito produttivo.
Tra le numerose ragioni di questa “involuzione” segnaliamo le più evidenti.
Una ragione concreta è la collocazione spaziale di questo vitigno. Prima della Doc (1974), il Dolcetto era presente un po’ in tutte le Langhe, ma privilegiava soprattutto le aree collinari più elevate. Non per nulla, ancora adesso, nella scelta di Dolcetto d’Alba di particolare appeal, si fa riferimento a paesi in altitudine come Mango, Treiso, Monforte d’Alba, Roddino, Montelupo Albese e Albaretto della Torre e altri ancora. Il riconoscimento della Doc ha di fatto portato appiattimento, mettendo l’intera zona di origine sullo stesso piano produttivo.
Che ci volesse maggiore attenzione alla collocazione spaziale del Dolcetto è una nostra convinzione di anni. Ne avevamo già scritto in un articolo su Barolo & Co del dicembre 2019 dal titolo emblematico “E se il Dolcetto salisse sulle colline più alte?”, nel quale avevamo sottolineato la necessità di tenere di più in considerazione le esigenze del vitigno (terre bianche, posizionate in altitudine dove le escursioni termiche sono più decise, dove si salvaguarda di più il supporto acido rispetto all’accumulo di zuccheri e si privilegiano i caratteri floreali e fruttati del vino).
Ovviamente non è possibile obbligare chi oggi coltiva a quote altimetricamente basse (es. sotto i 400 metri) una o più vigne di Dolcetto a rinunciare a tale coltura. Ma si potrebbero pensare degli incentivi per favorire l’insediamento dei vigneti di Dolcetto soprattutto in altitudine.
Si potrebbe valutare l’inserimento nel disciplinare del Dolcetto d’Alba di un’indicazione aggiuntiva tipo “Vino di alta collina” da riportare in etichetta per i vini ottenuti ad altitudini superiori ai 400 metri. O in alternativa delimitare e riconoscere per le aree in altitudine una Sottozona sullo stile di ciò che nella Barbera d’Alba è stato fatto con il Castellinaldo. Sappiamo al riguardo che i produttori di Montelupo Albese hanno ipotizzato l’uso del nome “Montelupo” per denominare tale Sottozona.

Ma c’è una seconda ragione e sta nello stile esagerato di molti vini Dolcetto – e non solo Dolcetto d’Alba – degli ultimi anni. Strutture esuberanti, gradazioni alcoliche elevate e non sempre bilanciate da adeguati valori acidi, in un atteggiamento produttivo ispirato spesso all’autogratificazione del produttore, hanno attribuito a questo vino spessori sovrabbondanti, fino a metterne in secondo piano i caratteri originali di finezza ed eleganza che da sempre ne decretano il successo.
È vero che il Dolcetto d’Alba non è solo gioventù e facilità di beva, ma l’averne stravolto lo stile ha finito per confondere le idee al mercato e al consumo, a scapito logicamente delle fortune del vino. Sarebbe bastata una maggiore attenzione nell’assecondare la grande armonia olfattiva e sapida, forse il carattere più distintivo del Dolcetto d’Alba, per evitare di mettere in pericolo l’identità che questo vino ha costruito in decenni di presenza sulle tavole del consumatore.

E, poi, c’è la presenza ingombrante della Doc Langhe, che ha nel suo carnet due tipologie (Langhe Dolcetto e Langhe Rosso) scelte spesso dai produttori al posto del Dolcetto d’Alba. Nel nostro recente articolo dedicato alla Doc Langhe e pubblicato su Barolo & Co di giugno 2023 abbiamo evidenziato come una buona fetta del vino che non utilizza la denominazione Dolcetto d’Alba vada a ingrossare i volumi della Doc “Langhe”: nel 2022 sono state infatti 371.600 le bottiglie che hanno utilizzato la tipologia Langhe Rosso e 117.800 quelle che hanno privilegiato il Langhe Dolcetto.
Ma la competizione della Doc Langhe ha origini ancora più remote: molti sono infatti gli ettari vitati a Dolcetto nei quali negli ultimi 15-20 anni è stato estirpato il Dolcetto per sostituirlo con il Nebbiolo. Questione di mode o anche solo di maggiore facilità di mercato.
Nonostante queste “ragioni” il vitigno Dolcetto e il suo vino rappresentano un grande valore di biodiversità, che meriterebbe maggior attenzione da parte di ogni produttore. Rinunciarvi è un po’ come accantonare una parte delle proprie radici.

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