Dogliani, investimento per il futuro

Dogliani non è solo una delle tante denominazioni piemontesi legate al vitigno Dolcetto. È la sua interpretazione più avanzata e coraggiosa, che ha saputo segmentare la produzione in due filoni e ha capito che poteva convivere con altri vini Doc e Docg con i quali condivideva il territorio…

Giancarlo Montaldo Settembre 2021
Dogliani, investimento per il futuro

Oggi Dogliani è un “laboratorio a cielo aperto”, che potrebbe regalare presto nuove soddisfazioni.

L’atto di coraggio che poco più di una decina di anni fa i produttori del Dolcetto di Dogliani e quelli delle Langhe Monregalesi hanno compiuto unificando le loro denominazioni di origine è servito prima di tutto a ridurre il numero dei vini Dolcetto a Doc e Docg. Se abbia dato un contributo di valorizzazione e sviluppo ai due territori lo si vedrà nei prossimi anni. Una cosa è certa: oggi in questa zona è in atto un vero e proprio ribaltamento delle certezze e degli orientamenti, che non tarderà a portare i suoi benefici.

Frequentando la zona, si ha la sensazione che la fiducia assoluta che un tempo premiava il Dolcetto e il suo vino oggi sia un po’ più meditata. Nei progetti globali si stanno poco per volta affermando altre varietà e altre denominazioni di origine che un domani potrebbero determinare uno sviluppo più equilibrato e remunerativo.
Ma cominciamo a definire l’oggetto, nel caso specifico il territorio del Dogliani Docg. La zona di origine è il risultato della fusione delle due denominazioni precedenti. Globalmente ci sono 21 comuni tra Dogliani e Mondovì, in provincia di Cuneo: quattrodici per l’intera superficie (Bastia Mondovì, Belvedere Langhe, Briaglia, Castellino Tanaro, Cigliè, Clavesana, Dogliani, Farigliano, Igliano, Marsaglia, Monchiero, Niella Tanaro, Piozzo, Rocca Cigliè) e sette per una parte (Carrù, Mondovì, Murazzano, Roddino, S. Michele Mondovì, Somano e Vicoforte).

Tra i paesi non coinvolti per intero nella zona di origine del Dogliani il caso particolare è quello di Roddino, che condivide anche la produzione del Dolcetto d’Alba (quasi 19 ettari nel 2018). In tal caso, si tratta di una “segmentazione” riferita a parti differenti di tale paese e deriva dalla propensione che ciascuna di esse ha verso l’una o l’altra denominazione.

La superficie vitata e la produzione effettiva
Un altro significativo elemento è costituito dai dati della superficie vitata e produzione effettiva del 2010, l’ultimo anno in cui le denominazioni Dogliani e Langhe Monregalesi hanno camminato separate.
Secondo la pubblicazione “Albo dei vigneti 2010” edita dalla Camera di Commercio di Cuneo, quell’anno il Dolcetto delle Langhe Monregalesi disponeva di 71,31 ettari vitati, dai quali aveva prodotto poco più di 278.000 bottiglie. Lo stesso anno, il Dolcetto di Dogliani contava su 1.005,61 ettari (dei quali 84,32 destinati alla tipologia Superiore Docg). La produzione effettiva era stata di 5.339.271 bottiglie (413.094 riferite alla tipologia Superiore). Globalmente, quindi, le due denominazioni avevano a disposizione 1.076,92 ettari vitati e 5.617.271 bottiglie di produzione effettiva.

L’esame della Tab. 1 chiarisce come la fusione tra le due denominazioni non abbia portato benefici in fatto di superficie vitata e produzione effettiva, perché nel 2011 i due dati cominciano a segnare una regressione rispetto ai valori del 2010.

A proposito della superficie vitata va precisato che il dato del 2010 si riferiva alle vigne iscritte al 31 dicembre nell’Albo dei vigneti e perciò poteva includere anche superfici per le quali in vendemmia non era stata fatta la relativa rivendicazione. A partire dal 2011, invece, il dato include solo le superfici vitate rivendicate in occasione della vendemmia. A partire dal 2011, quindi, la superficie vitata rivendicata è un buon indicatore rispetto alla fiducia che i produttori hanno, annata dopo annata, per la denominazione Dogliani.
Al riguardo, il tragitto tra le vendemmie 2011 e 2020 evidenzia in modo chiaro la propensione di una parte dei produttori a rinunciare a tale denominazione: infatti, la superficie vitata rivendicata passa dai 1.045 ettari del 2011 ai 788 del 2020, con una perdita di 257 ettari.
Più alterno è il dato relativo alla produzione effettiva. Non sempre alla riduzione della superficie rivendicata è corrisposta una contrazione della produzione. Ed è una contraddizione solo apparente, poiché il dato è influenzato anche da altri fattori come la differente fertilità delle annate o le scelte aziendali di rivendicare la stessa superficie verso due denominazioni (es. Dogliani Docg e Langhe Dolcetto Doc). Comunque, nei dieci anni esaminati anche la produzione effettiva segnala una tendenza alla riduzione, passando da 4.953.330 bottiglie del 2011 a 3.025.841 del 2020.

Il rapporto con la Doc Langhe e le altre denominazioni
Molti degli ettari vitati che hanno abbandonato la Docg Dogliani sono migrati verso la Doc Langhe, in due tipologie: Dolcetto e Rosso. Varie sono le ragioni di questa scelta: il crescente interesse che la Doc Langhe ha suscitato verso il consumatore, sia italiano che estero e il fatto che le due tipologie della Doc Langhe hanno livelli di produzione superiori alla Docg Dogliani, cioè 10.000 chilogrammi a ettaro rispetto agli 8.000 chili del Dogliani e ai 7.000 della tipologia Superiore.

Il rapporto con la Doc Langhe, però era iniziato come riclassificazione del vino già riconosciuto Dogliani Docg, una soluzione questa che ha comportato per i produttori una perdita di resa per ettaro (almeno 2.000 chili di uva equivalenti a 1.400 litri di vino) che la scelta in vendemmia di questa Doc avrebbe consentito.
Ma c’erano anche delle implicazioni qualitative e tipologiche: un vino Dolcetto classificato nella Doc Langhe si presuppone che sia giovane, fragrante e non troppo impegnativo per ampiezza e struttura di caratteri. La Docg Dogliani ha altre aspettative in fatto di tipologia: dev’essere un vino di struttura, di personalità sicura e di buona propensione alla longevità.

A livello statistico, è la Tab. 2, quella relativa ai quantitativi di Dogliani Docg annualmente messi in bottiglia, a ribadire lo stretto rapporto che esiste tra questa denominazione e la Doc Langhe. Infatti, confrontando i valori di questa tabella con i dati riportati nella colonna “Produzione effettiva” in Tab. 1, ci si rende conto che nemmeno tutto il Dogliani Docg prodotto ogni anno finisce in bottiglia come tale e che, quindi, anche una parte di questo vino viene ancora riclassificato – probabilmente alla Doc Langhe – nei mesi successivi alla produzione. 

Esaminando per esempio l’annata 2020 e mettendo a confronto i dati relativi alla superficie rivendicata, alla produzione effettiva e ai volumi imbottigliati, si capisce come la quota di Dogliani Docg che va effettivamente in bottiglia sia inferiore rispetto al potenziale: infatti, i 788 ettari rivendicati nel 2020 avrebbero potuto produrre 5.883.733 bottiglie (con la resa di 8.000 chili a ettaro). Nella realtà, la produzione effettiva ha superato di poco i 3 milioni di bottiglie, mentre nell’anno solare 2020 il Dogliani Docg imbottigliato ha dato vita a 1.795.452 bottiglie, fissando il rapporto tra il Dogliani imbottigliato e quello potenziale attorno al 30%.

È probabile che gran parte del vino che non è confluito nei dati economici della Docg Dogliani sia finito nella Doc Langhe, ma non si può escludere che una quota di prodotto sia diventata vino rosso senza altra specificazione per la quota di mercato di uva o vino sfuso che va ancora direttamente al consumatore finale.

Il vigneto nella zona del Dogliani
Per capire a fondo le tendenze che si stanno delineando nella zona del Dogliani Docg, abbiamo provato – grazie ai dati 2018 forniti dall’Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte – a individuare le varietà di vite che – indipendentemente dalle denominazioni di origine – sono presenti nei 21 paesi dell’area.
Va precisato che tali dati includono gli ettari vitati dei vari comuni per tutto il loro territorio, anche se ve ne sono sette che appartengono a tale zona solo per una parte. L’errore di valutazione viene però ridotto dal fatto che si tratta in genere di comuni con scarsa presenza viticola. L’unico paese che potrebbe modificare la situazione è Roddino che globalmente dispone di circa 93 ettari. Tutti gli altri sono hanno aree vitate più limitate: Carrù (25 ettari), Mondovì (24), Murazzano (3), S. Michele Mondovì (3,22), Somano (2,25) e Vicoforte (14).

La superficie globale coltivata a vigneto nei 21 paesi è di 1.295 ettari: alcuni di loro sono dominanti e sono Dogliani (556), Farigliano (217), Clavesana (164), Roddino (93), Bastia Mondovì (45) e Piozzo (39). I restanti segnano valori di gran lunga inferiori.
Ma le indicazioni più interessanti sono riferite ai vitigni coltivati. Prevale comunque il Dolcetto con 1.005 ettari, ma ci sono presenze significative di varietà bianche e nere legate alla Doc Langhe e alla Docg Alta Langa Metodo Classico: Chardonnay (32 ettari), Nebbiolo (100 ettari), Pinot nero (29 ettari), Riesling renano (12 ettari), Favorita (8 ettari), oltre ai 59 ettari di vitigno Barbera, che si divide tra Langhe Barbera, Piemonte Barbera e Barbera d’Alba. Non vanno trascurate anche altre varietà come Nascetta, Merlot, Sauvignon e Viogner, che crescono a buoni ritmi di anno in anno.

Volendo sintetizzare la tendenza di fondo, possiamo dire che dagli anni Settanta del Novecento l’originaria agricoltura mista si è in alcune aree maggiormente specializzata in viticoltura, con la predominanza del vitigno Dolcetto. Se escludiamo pochissime zone nei paesi di Dogliani, Farigliano e Clavesana, nel resto della zona mai si è manifestata la monocoltura viticola presente in altre aree tra Langa e Roero. Inoltre, negli ultimi 6-7 anni, la coltivazione della vite in questo territorio sta prendendo le forme della “viticoltura mista varietale”, secondo un modello di sviluppo che si prospetta interessante soprattutto in una visione futura.
Utilizzando ancora i dati regionali del 2018, abbiamo analizzato anche le denominazioni di origine presenti in questo territorio e sono scaturite altre informazioni significative: la denominazione di riferimento resta il Dogliani Docg con i suoi 846 ettari dell’epoca, ma appare indicativo il dato della Doc Langhe (più di 270 ettari), con il Langhe Nebbiolo a fare da capofila e ottimi riscontri anche per altre tipologie legate a vitigni autoctoni e internazionali. Assai contenuto è il legame con la Doc Piemonte (quasi 17 ettari), in particolare per il Barbera (13 ettari). Una denominazione che recentemente sta suscitando interesse è l’Alta Langa Docg Metodo Classico, legato a Chardonnay e Pinot nero che qui hanno già una presenza significativa e sono destinati a crescere ulteriormente.

Il Dogliani e le Alte Langhe
La predilezione per lo spumante Alta Langa è portavoce anche di un’altra propensione vocazionale, ovvero il forte legame che le terre del Dogliani sentono da tempo con le Alte Langhe albesi, cebane e monregalesi, il territorio collinare che si snoda in direzione sud ad altitudini che sfiorano i 900 metri slm.
Non è da oggi che le colline del Dogliani Docg si sentono “portavoce” delle istanze di questo più ampio territorio di alta collina legato a colture come nocciolo, prati, pascoli e l’allevamento, ma che in futuro potrebbe giocare un ruolo interessante in uno sviluppo viticolo alternativo alle zone dei grandi rossi e dei bianchi di pienezza e struttura.

In questa luce si potrebbe leggere l’ipotesi che vorrebbe trasformare l’attuale Bottega del Vino di Dogliani nell’Enoteca del Dogliani Docg e delle Alta Langhe, un organismo che aiuterebbe a valorizzare non solo i vini, ma tutta l’agricoltura di qualità che va dalla Nocciola Piemonte al Murazzano, dalle erbe aromatiche al miele, dallo zafferano a un’ospitalità di relax che può trovare in spazi riposanti e incontaminati un riferimento di grande attrazione.
In questa ottica si colloca tutto il fermento che sta caratterizzando il mondo del Dogliani e delle colline di Alta Langa, soprattutto finalizzato a recuperare i boschi e gli incolti, magari anche per riprendere alla coltivazione più o meno specializzata gli spazi che un tempo erano vigneto o frutteto o qualsiasi altra coltura e che l’esodo delle persone ha trasformato in incolti e inselvatichito, dove regnano gli animali selvatici che mettono a repentaglio le coltivazioni fino a creare anche pericoli per le popolazioni. In un mondo così, occorre trovare il modo di aiutare il viticoltore a raccogliere le sue uve e il cinghiale o qualsiasi altro selvatico a vivere.
Oggi, si fa un gran parlare di sostenibilità ambientale e questo è un connotato che le terre del Dogliani e delle Langhe più alte posseggono già. Ma è indispensabile che a quella ambientale si coniughi anche la sostenibilità economica, che permetta alle nuove generazioni di produttori e agricoltori di vivere e lavorare in sintonia con l’ambiente e il paesaggio, ma anche di vedersi garantite le essenziali condizioni di vita civile e sociale che vanno dalla scuola alla socialità, dalla sicurezza alla presenza dei servizi basilari, dalla giusta remunerazione economica al riconoscimento dell’impegno profuso.

Tre vini a base di Dolcetto per tre identità
Nel processo di evoluzione che sta diversificando la base varietale del territorio del Dogliani, il matrimonio tra Dogliani Docg e Doc Langhe comporta la produzione e commercializzazione di tre vini a base di Dolcetto che debbono trovare una loro identità, da un lato per non subire fenomeni di cannibalismo, dall’altro per selezionare a favore di ogni vino alcuni specifici target di consumatori, garantendo ai produttori mercati nuovi e un solido valore aggiunto.
Sappiamo che oggi il “pianeta Dolcetto” vive una fase di fragilità. Ma tra tutte le denominazioni il Dogliani Docg è quella che tiene meglio le posizioni e che dispone per le sue tipologie un rapporto qualità-prezzo di grande efficacia.

Se un tempo il suo consumo era prettamente locale o interregionale, oggi gli spazi di mercato raggiungono il mondo intero, soprattutto grazie alla molteplicità di produttori che affrontano la commercializzazione con atteggiamenti diversificati, ma sempre autorevoli.
Sulla base di questi ragionamenti diventa ancora più impellente creare una precisa identità ai vini che qui possono nascere dal vitigno Dolcetto.

La base è rappresentata dal Langhe Doc Dolcetto, un vino ispirato alla gioventù e alla fragranza, finalizzato a un mercato di ampiezza anche internazionale come prodotto di pronta beva e quotidianità. Fare leva sull’appeal che la Doc Langhe dispone sui vari mercati potrebbe aiutare. Senza dimenticare che questo vino potrebbe anche rispondere alle residue esigenze di un mercato del privato che ama acquistare il vino sfuso e metterselo in bottiglia, seguendo riti di forte richiamo tradizionale.

Strategico è evitare che il Langhe Doc Dolcetto eserciti una competizione con il Dogliani senza altra specificazione. Anche in questo caso, abbiamo a che fare con un vino giovane e fragrante, ma con una maggiore personalità e autorevolezza di caratteri. Il Dogliani tout court deve segnare continuità con quel Dolcetto di Dogliani di antica maniera che affascinava i consumatori e richiamava l’attenzione di molti appassionati dei vini di fragranza e grande bevibilità, pur nella pienezza dei caratteri. D’altronde, la resa nel vigneto e in cantina inferiore al Langhe Dolcetto (8.000 chilogrammi di uva e 5.600 litri di vino per ettaro) presuppone già di per sé un vigore più deciso, una struttura più ampia e un processo evolutivo di maggiore durata. La sua stessa gradazione alcolica (12% Vol), sintomo della caratura strutturale di un vino, lo differenzia dal Langhe Dolcetto, il cui livello alcolico minimo è inferiore (11% Vol.).

La terza alternativa è il Dogliani Docg “Superiore”, più ricca, per certi versi ambiziosa, forse anche più autorevole, soprattutto in riferimento al mercato internazionale sempre alla ricerca di vini capaci di resistere al tempo e unire la fragranza dell’origine alla complessità della struttura e all’ampiezza dei profumi. In questo caso, anche la vigna e la cantina si impegnano di più e così l’uomo che le asseconda. Il risultato è un vino più ricco, più dotato e con un tempo maggiore di maturazione e affinamento. La produzione unitaria si fa più contenuta: 7.000 chilogrammi di uva e 4.760 litri di vino per ettaro. La gradazione alcolica del vino è più elevata (minimo 13% Vol) e vige un obbligo di invecchiamento di almeno 12 mesi a partire dal 15 ottobre dell’annata di vendemmia. Nato come vino di nicchia, destinato a palati esigenti e preparati, potrebbe nel tempo divenire – e in molti casi lo è già adesso – la soluzione efficace per fare presa su mercati mondiali alla ricerca di un vino di grande personalità dettata dall’ampiezza dei profumi, dalla pienezza dei sapori e dalla lunga capacità di reggere alle insidie del tempo.

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