Se come sosteneva Ludwig Feuerbach (filosofo tedesco,1804/1872) “siamo quel che mangiamo”, il popolo giapponese, con oltre 85 anni di aspettativa media di vita, mangia proprio bene!
Il Giappone (Nippon, nella loro lingua) è un arcipelago che si estende per circa 3.500 chilometri nell’Oceano Pacifico, quasi parallelo alle coste cinesi, coreane e russe. Composto da migliaia di isole, il 97% della superficie totale (377.000 kmq) appartiene alle quattro principali: Honshū, Hokkaidō, Kyūshū e Shikoku. Con una popolazione di oltre 127 milioni di abitanti, il paese è una delle prime economie mondiali. Abitato già in epoche antichissime, l’arcipelago, secondo la tradizione leggendaria, si costituì in Impero attorno al VI/VII secolo a.C. Il buddismo venne introdotto nel VI secolo della nostra era e segnò in maniera importante le tradizioni giapponesi. Durante il medioevo fiorì la cultura dei samurai e degli shogun che, di fatto, detenevano il potere. Furono i portoghesi, nel XVI secolo, i primi occidentali a conoscere queste popolazioni che fino a quel momento erano vissute abbastanza isolate. Fondamentale la guerra civile, 1866/1868, che portò alla restaurazione Meiji: gli shogun cedettero il potere all’imperatore e questi aprì le porte del paese al resto del mondo. Dopo la pesante sconfitta della Seconda Guerra mondiale, il popolo giapponese seppe ripartire con prontezza e in maniera efficiente: per almeno quattro decenni il Pil del paese crebbe senza cedimenti alla media annua di oltre il 10%! L’arcipelago nipponico si sviluppa sopra una linea di faglia che costituisce la principale caratteristica tettonica dell’Oceano Pacifico: dunque, è un paese devastato da terremoti, tsunami, eruzioni vulcaniche. Sono oltre un centinaio i vulcani attivi, tra i quali il celebre Fujiyama, o Fujisan, è il più alto (circa 3.800 m).
UNA CUCINA RAFFINATA E COMPLESSA
Con le premesse di cui sopra, è comprensibile quanto le caratteristiche della cultura giapponese siano peculiari, raffinate e complesse. E poiché la cucina tradizionale di un popolo ne rappresenta la sintesi storico-geografica, si capisce quanto quella giapponese sia altrettanto unica, sofisticata, multiforme. Alla base della cucina giapponese è il riso, come per la maggior parte dei paesi asiatici. Oryza sativa è il nome scientifico del riso, coltivato nei due ceppi principali, japonica a chicco tondeggiante, e indica, a chicco lungo e sottile. Il riso fu domesticato dai cinesi intorno al VI millennio prima della nostra era e si diffuse rapidamente in tutta l’Asia, Giappone compreso. Nella loro alimentazione e cucina i Giapponesi usano prevalentemente riso del ceppo japonica o comunque riso a chicco tondo, di grana media, bianco e molto raffinato.
Qualche millennio più tardi furono le proteine della soia (Glycine max) a integrare la dieta dei primi insediamenti neolitici e permettere lo sviluppo di una civiltà importante; ovvio poi rimarcare il fatto che le popolazioni di un arcipelago solevano aggiungere alla loro alimentazione vegetale tutto quanto riuscivano a ricavare dal generoso mare che le circondava. Assodato quanto sopra, il sushi, ovvero riso e pesce, si può considerare il piatto simbolico e più rappresentativo del Giappone. Ma, attenzione: ridurre la cucina giapponese al sushi è un po’ come sostenere che la cucina italiana sia soltanto maccheroni e pizza… Nori sushi e nigiri sushi sono le due differenti maniere con cui questa specialità viene preparata; la prima è quella più conosciuta: rotelle di riso contenenti porzioni di pesce crudo, avvolte nell’alga nori; il nigiri sushi, invece, si presenta come polpettine di riso sopra le quali è adagiato il pesce. Bisogna precisare che il riso per il sushi è sempre trattato con aceto di riso fermentato. L’altro piatto assai noto è il sashimi: semplice pesce crudo, in genere tonno, maguro, (il taglio più pregiato è la ventresca che viene chiamata otoro), insaporito da particolari salse.
WASABI, DASHI E ALTRO ANCORA
Tra queste, insieme a quelle rinomate di soia, occorre ricordare il wasabi: è ricavata dalla radice di una brassicacea – famiglia che comprende senape, cavolfiori, verze, ecc. – Eutrema japonicum, spesso chiamata Wasabia japonica, coltivata a climi freddi e in acque purissime; viene poi trattata e raffinata usando come grattugia la pelle di squalo: non è semplice trovare in Italia il wasabi originale, parecchio costoso. Il brodo di pesce, dashi, le numerosissime alghe, i poco conosciuti noodles o spaghetti (ramen, soba, udon) di grano, grano saraceno, riso e soia; le innumerevoli zuppe e la carne (ad esempio, il tonkatsu: cotoletta di maiale con cavolo e il costosissimo manzo di Kobe dalle carni marezzate) sono alcune specialità giapponesi non abbastanza note. La tempura, verdura e pesce fritto in pastella, è un piatto di contaminazione portoghese. I giapponesi usano bere sakè (riso fermentato con lieviti koji) e tè, ma apprezzano il vino e, curiosità, sono grandi intenditori e ottimi produttori di whisky di malto. Parlando di cucina giapponese non si deve dimenticare la raffinata arte della coltelleria che permette di usare in tavola le bacchette, hashi. Altrettanto fondamentale è l’arte di “impiattare” secondo precisi dettami che armonizzano volumi e colori dei piatti.
UNA PROVA SUL CAMPO
Il giovane Masanori Tezuka, nel suo ristorante Miyabi, aperto da circa un anno a Torino – due passi dalla chiesa della Gran Madre – mi ha guidato nella conoscenza della tradizione cucinaria giapponese e aiutato a scegliere alcuni vini piemontesi con cui accompagnare al meglio i suoi piatti. Masanori, da quasi otto anni in Italia, è un maniaco nella scelta delle materie prime: pesce, verdure (che spesso coltiva da sé), alghe e riso sono sempre di prima qualità e, quando possibile, importati dal Giappone. Abbiamo cominciato con un piatto a base di germogli di bambù biologico che ho accompagnato con un Cortese di Gavi Docg biodinamico, senza solfiti aggiunti, che ho gustato anche con una magnifica ombrina marinata con alghe kombu, erba shungiku e limone giapponese yuzu. Un altro Cortese, questo soltanto bio, ha accompagnato con grande dignità una gelatina di sesamo insaporita con wasabi. Per gli spaghetti di grano saraceno, con gamberi e piccoli asparagi, ho scelto un Timorasso di un paio d’anni di gran corpo e lunga persistenza aromatica. Per tenere compagnia a un nigiri sushi, ho scelto due ottimi Riesling: uno di La Morra e l’altro di un grande produttore di Serralunga; i nostri bianchi, quando sono figli di grandi produttori, reggono il confronto con zone di grande lignaggio. Gustare capesante di Hokkaido, salmone scozzese con relative uova, gambero rosso di Mazzara del Vallo con uova di pesce volante, ombrina e fettine di tonno affumicato e fermentato, bevendo un grande Riesling di Langa è un bel modo di onorare sé stessi, chi ha preparato i piatti e chi ha spremuto da par suo le uve. Ho concluso bevendo Freisa di Chieri, sia frizzante sia ferma, con un semplice petto di pollo reso sublime da una salsa di riso fermentato: credo che anche un giovane Nebbiolo, magari roerino, non avrebbe fatto brutta figura.