Costa d’Amalfi, la vite tra mare e monti

Una sottile sintonia di filari resistenti al calore e alla salsedine

Teresa E. Baccini e Giancarlo Montaldo Giugno 2017
Costa d’Amalfi, la vite tra mare e monti

Siamo in Campania, nella provincia di Salerno, nella parte più a sud della penisola sorrentina.

Qui, tra mare e monti, c’è una terra da vino dai contorni e contenuti speciali. È la Costa d’Amalfi, che al vino a denominazione di origine è arrivata il 10 agosto 1995 quando un decreto del Ministero dell’Agricoltura ha riconosciuto la Doc ai vini di questa zona.

Oltre la coltivazione della vite e la produzione del vino, questa è una terra affascinante, eroica a suo modo per quel passaggio rapido dal livello del mare alle coste rocciose e impervie dei Monti Lattari, un’intelaiatura profonda – formatasi nel Mesozoico – di rocce carboniche sovrastate dai depositi piroclastici originati dalle frequenti eruzioni vulcaniche del passato.

Quello dei Monti Lattari è un nome di origine chiara. La derivazione sarebbe dal latte in abbondanza prodotto dagli animali – selvatici e domestici – di questa zona e trova conferma negli scritti di due autori del sesto secolo dopo Cristo: Cassiodoro e Procopio di Cesarea. Il primo, “riferendosi al latte che già secoli prima era stato elogiato da Galeno, lo cita come remedia Lactarii montis.” Il vulcano più noto, il Vesuvio, è lì a due passi: 50-60 chilometri in linea d’aria. Per questo, le eruzioni del passato hanno avuto un’influenza decisa sui caratteri dei terreni di oggi. E non solo quella del 79 dopo Cristo che distrusse Pompei ed Ercolano, ma ad esempio quella avvenuta più recentemente, nel 1944: i più anziani ricordano con apprensione quel cielo divenuto scuro e la caduta sul terreno di 20-30 centimetri di cenere e lapilli.

MEMORIE STORICHE

Risalgono all’anno 860 d.C. i primi riferimenti storici relativi alla coltivazione della vite in questa zona. In particolare si rintracciano citazioni nei documenti storici della città di Amalfi. Le note “peciam de vinea in regina maioren”, “pecia de terra cum vinea in locus beteri”, “mostram vineam seu terris campis silvis arboribus fructiferis et infructiferis in Oecara” sanciscono la presenza del vigneto insieme ad altre colture agricole. Nei secoli successivi, la presenza della viticoltura si consolida in maniera costante e crescente fino al 1600-1700, quando vite e agrumi prendono il sopravvento sulle coltivazioni, una situazione che si protrae fino all’Unità d’Italia. La letteratura, a partire dal Decamerone, ricorda i lauti banchetti che si svolgevano a Villa Rufolo, nello splendido scenario di Ravello. Ma ovunque fossero presenti dimore nobili, da Amalfi ad Atrani e a Scala, era ricercato e raccoglieva grande favore il “Vino Latino”, prodotto sulle colline che dai Monti Lattari scendevano verso il mare. Di grande importanza è stata anche la commercializzazione dei vini ottenuti in questa zona nei tempi della Repubblica Amalfitana e trasportati a mezzo nave in diverse parti d’Italia.

La storia più recente racconta, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, un lento regresso in tutta la Costiera delle attività legate al vino. Il richiamo della città, la concorrenza con un turismo che cominciava a mietere successi erano più forti di una tradizione millenaria. Il passaggio tra il vecchio e il nuovo secolo ha portato un nuovo rinascimento anche ai vini della Costa d’Amalfi e così ciò che sembrava essersi assopito per sempre poco per volta ha ripreso vigore, riportando all’onore del mondo le viti centenarie e il corredo di aromi e di sapori che questa piccole vigne sanno regalare al calice attento.

UN TERRITORITORIO AFFASCINANTE

Bella da vedere e da ammirare, la Costa d’Amalfi è formata sostanzialmente dai costoni rocciosi dei Monti Lattari, nei quali le azioni erosive del tempo e dell’acqua hanno formato canaloni e valli più o meno profonde, che segnano il territorio e creano un paesaggio unico e suggestivo. Frequenti sono gli spazi dove l’habitat naturale prevale in modo indiscusso: a primavera si possono cogliere a occhio nudo le macchie gialle delle ginestre, alternate a mirto, ginepro e corbezzolo. Le zone maggiormente dominate dal verde sono occupate dai lecci, pianta tipica della zona. Fondamentale, poi, è stata l’azione strategica dell’uomo, che ha ricamato il territorio, creando un’infinità di piccoli terrazzamenti, che hanno trasformato il suo lavoro in vera e propria capitalizzazione fondiaria. Non solo perché consente all’uomo di oggi di percorrere il territorio e avere i suoi insediamenti, ma soprattutto perché permette ai produttori vitivinicoli (pochi e selezionati dall’ambiente e dalla difficoltà delle coltivazioni) di continuare a regalare al mondo una gamma di vini di unicità assoluta.

Popolano i terrazzamenti della Costa d’Amalfi soprattutto tre tipi di colture: innanzitutto, l’ulivo e il limone, poi le vite. Soprattutto le parti più basse di queste alture sono occupate dai limoni, in spazi di dimensione differente, piccole coltivazioni che accompagnano spesso le aree più antropizzate. La zona di produzione dei vini Costa d’Amalfi Doc è formata dall’intero territorio di 13 comuni della provincia di Salerno, ovvero Vietri, Cetara, Maiori, Minori, Ravello, Scala, Atrani, Tramonti, Furore, Praiano, Positano, Amalfi e Conca dei Marini. La particolarità del territorio, le tradizioni storiche di coltivazione di vari vitigni, le condizioni ambientali specifiche hanno orientato il legislatore e i produttori a individuare in questo territorio tre distinte Sottozone: Tramonti, Ravello e Furore, località di straordinaria bellezza paesaggistica e dai nomi molto evocativi. Appartengono alla Sottozona Tramonti i paesi di Tramonti e Maiori; Furore si sviluppa nei comuni di Furore, Praiano, Conca dei Marini e Amalfi. Ravello, infine, si estende su quattro paesi, ovvero Ravello, Scala, Minori e Atrani. Gli unici comuni che non appartengono ad alcuna Sottozona e debbono accontentarsi della Doc di base sono Vietri, Cetara e Positano. La situazione climatica, ovviamente, è influenzata dalla vicinanza del mare. Possiamo parlare di un clima temperato, che – con il crescere dell’altitudine – tende a caratterizzarsi anche per una componente fredda, soprattutto durante l’inverno. Non sono rare le immagini che ritraggono le parti più alte dei Monti Lattari imbiancate dalla neve, che frequentemente arriva anche alle quote più basse di Furore, Ravello e Tramonti. La vicinanza del mare contiene le escursioni termiche, mentre i rilievi montuosi garantiscono le precipitazioni in autunno e, soprattutto, in inverno. Tra i venti prevalgono quelli da sud est (libeccio), anche se sono frequenti le giornate di calma assoluta. La bellezza del paesaggio, con quegli scenari mozzafiato che disegnano le acque del mare accovacciate nelle insenature, crea una forte dicotomia nel lavoro degli abitanti della zona: il turismo e le attività collaterali – soprattutto da aprile a ottobre – creano una forte concorrenza verso gli altri settori produttivi, compreso quello vitivinicolo.

Una sana competizione che non sempre è condivisa e spesso si trasforma in impoverimento del settore più debole. Una contraddizione in una terra, come quella campana, in atavica carenza di occupazione. La stessa considerazione può valere per il mercato: se i produttori dei vini Costa d’Amalfi Doc volessero potrebbero vendere tutta la loro produzione nelle strutture turistiche della zona, con indubbi vantaggi operativi e di breve periodo. I più lungimiranti, però, hanno capito che bisogna riservare un po’ di prodotto anche per gli altri mercati, magari più difficili e scomodi, ma che sanno regalare ai vini e ai loro autori un proficuo contributo d’immagine.

SU PER LE ANTICHE STRADE

Via dalla pazza folla della Costiera invasa dai turisti, su per le antiche strade, un tempo mulattiere sterrate oggi stretti nastri d’asfalto che, tornante dopo tornante, risalgono verso i grumi di case aggrappate alla roccia, ecco che la terra cambia profumo. Dove i vigneti sopra i muri a secco contendono la poca terra agli agrumeti – sempre meno, ché il prezioso Sfusato di Amalfi costa troppo a produrlo per venderlo ai prezzi di mercato – il mare luccica da lontano e sa di limone, di erbe selvatiche e di terra scaldata dal sole. Tracce aromatiche che si rivelano immancabilmente nel bicchiere, soprattutto nei bianchi, sorprendentemente freschi e citrini per la latitudine a cui nascono, sia quelli dove la prevalenza è di Falanghina e Biancolella, sia quelli dove s’insinua la nota selvaggia di rari vitigni locali come Pepella, Ripoli, Fenile, Ginestra. Perfino nei blend più intensi di Aglianico e Piedirosso spunta una nota balsamica e pepata di nepitella. Qui pare sempre che a prevalere sia la terra, faticosa e calcarea sotto lo strato di zolla piroclastica lasciata dagli “sbruffi” del Vesuvio, oggi apparentemente placido appena al di là del profilo verde dei monti Lattari che ghermiscono il mare con dita di fiordi a picco. Solo l’alleanza tra uomini e asini ha potuto immaginare vigneti così impervi, talvolta così lontani dalla costa, contesi al bosco sempre pronto a riprenderseli, dove le viti allevate a pergola sono ancora su piede franco e sgorgano a volte dai muri a secco. Centenarie grigie e rugose, incredibilmente contorte, spesso fra loro intrecciate a sostenersi a vicenda. Uno spettacolo indimenticabile. C’è una simbiosi antica tra ambienti diversi e vitigni autoctoni – tutti raccolti nel vigneto sperimentale della Regione Campania a Furore – una sinergia condizionata dalla geografia dei luoghi: una sottile sintonia di filari sfacciatamente resistenti al calore e alla salsedine a Furore o Ravello, indifferenti al freddo delle montagne a Tramonti.

Mantenere o ripristinare i vigneti ha visto i viticoltori farsi presidio e custodi del paesaggio: disboscare, scassare a mano, reimpiantare a pergola dalle propaggini, vita da vite.
“Se faccio questo nella mia terra, non è perché economicamente vantaggioso, ma per preservare sistemi e varietà di una viticoltura arcaica che ci distinguono” dice Andrea Ferraioli, insieme alla moglie anima dell’azienda Marisa Cuomo a Furore, la prima a fulminare la critica enologica con il Fiorduva, fascinoso vino identitario fatto di Ginesta, Fenile e Ripoli. È un fiume di parole per raccontare della viticoltura disastrata degli anni ‘80, quando gli agricoltori fuggivano sulla costa per lavorare nel turismo. “La nostra forza è che abbiamo tanti vitigni diversi” rincara Luigino Reale, viticoltore e cuoco a Tramonti, paese di 13 borgate e 15 chiese tra i boschi dei Monti Lattari “e adesso il turismo enogastronomico è la nostra risorsa maggiore”. E intanto osa un Tintore in purezza, profondo, intenso e ricco. Osano un rosso di Aglianico e Piedirosso, rosso violetto e fresco ciliegia, per il debutto di Tenuta del Trignano, anche Claudia Bonasi e Antonio Dura, un ingegnere prestato alla viticoltura che ha dovuto battersi per ripristinare i muri a secco, dimostrando che c’erano anche prima. “È assente nella normativa paesaggistica l’agricoltura in Costa d’Amalfi, rinata dal 2000 in poi e condizionata dalla normativa contro la speculazione edilizia. E invece ha una funzione essenziale di protezione del territorio” sospira mentre risale i vigneti per ripidi gradini, tra lampascioni in fiore, mente selvatiche e borragini spontanee. In realtà, il rosso in Costiera lo bevono solo gli stranieri, gli italiani bevono bianco. Ma è misurandosi “fuori” che questi vini vogliono raccogliere prestigio. Negli ultimi trent’anni tanto è cambiato nella viticoltura della Costa di Amalfi e tanto promette ancora di cambiare. Intanto l’eccellenza passa già di qua.

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