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Cartizze, il Grand Cru del Conegliano Valdobbiadene

La zona del prestigioso Cartizze è un fazzoletto di terra di appena 108 ettari suddivisi in appezzamenti molto frammentati e di proprietà di sole 143 famiglie.

Alessandra Piubello Novembre 2022
Cartizze, il Grand Cru del Conegliano Valdobbiadene

Una collina incantata, i lunghi filari dei vigneti si perdono a vista d’occhio abbracciando le colline. Un tripudio di colori in un paesaggio pennellato con grazia naturale, vivo, una tavolozza timbrica in continuo cambiamento con le stagioni. La luce domina, tersa, diretta, illuminando questo giardino vinicolo. Terre dal colore verde, giallo, marrone delle argille, bianco e grigio delle arenarie, e movimentato dall’alternarsi di piccole valli e colline. Il segreto del Cartizze è forse racchiuso anche nel colore di queste terre, nelle conchiglie fossili emerse dai fondali marini al tempo dei tempi e in questo vario e infinito rincorrersi di colline dove circolano brezze che accarezzano le viti.
Un’areale unico, compreso tra San Pietro di Barbozza, Santo Stefano e Saccol: la sua vista fa stare meravigliati, dai filari a decorare le colline, tra frassini, roveri e olivi, all’ineguagliabile e continuo saliscendi delle vigne, scoscese e inerpicate. Una collina bella da un punto di vista scenografico, ma soprattutto magica da un punto di vista enologico.

Un po’ di storia
Il primo documento pervenuto con l’indicazione del toponimo “Caurige” è del 1362 e forse è da qui che deriva il nome Cartizze, da carro o strada per il transito dei carriaggi. L’ipotesi però più diffusa è quella che derivi dall’espressione locale “gardiz o gardizze”, che indica i graticci usati per l’appassimento delle uve (non facciamoci fuorviare però, il Cartizze non è un vino da appassimento). Ne esiste un’altra, sostenuta dal valdobbiadenese Bruno Brunoro, studioso di storia locale, che fa derivare il nome da “cardus”, il cardo, fiore spinoso un tempo molto diffuso sugli sterrati e sui terreni poveri e marnosi come quelli che caratterizzano la collina di Cartizze.
Il “pentagono d’oro”, così chiamato per la forma che ricorda quella di un pentagono, ritrova le tracce della sua storicità, postume al Trecento, in una compravendita del 1408. In un atto notarile del 1542, viene citato come Gardizze. Nel 1595 lo si ritrova su una carta topografica come Cartice. Nel 1709, nell’estimo della proprietà della famiglia Pola appare come Gardizze. All’epoca del catasto napoleonico e precisamente nel 1811, si inizia a chiamarlo Cartizze. Appellativo che viene confermato anche dal catasto austriaco nel 1847 e dall’inchiesta Jacini nel 1888. In tutti i documenti successivi sarà sempre citato come Cartizze.

Tra geografia e caratteristiche
Il Cartizze è un fazzoletto di terra di appena 108 ettari suddivisi tra 143 famiglie, con proprietà estremamente parcellizzate, con superfici medie di 0.3 ettari. Le aziende più storiche sono Tanoré, Zanetton, Bisol, Ruggeri, per fare alcuni nomi. I vignaioli sono i custodi degli appezzamenti, racchiusi in un chilometro quadrato, e del mantenimento della loro biodiversità. Le operazioni sono tutte manuali e il rapporto vite-uomo è quasi fraterno. La sapienza e l’esperienza di questi vignaioli sono state trasmesse di generazione in generazione. Le vigne si alzano dai 200 fino ai 350 metri sul livello del mare, raggiungendo in altura delle pendenze dell’80-90%. Un ruscello, il Carticiis, lambisce la parte pianeggiante dell’areale.
Il Cartizze è riconosciuto come apice qualitativo della Docg perché qui microclima e terreno generano un’oasi naturale per la coltivazione, favorendo la crescita di viti sane e regalando allo spumante delle caratteristiche uniche e di particolare pregio.
Il microclima è specchio della morfologia collinare e dell’esposizione a sud, con alte temperature massime che fanno maturare bene le uve, mitigate però da brezze provenienti dalle montagne che scorrono da est verso ovest, mantenendo i valori termici entro valori ottimi per la fisiologia della vite. Dalle vette delle Prealpi scende una corrente d’aria fresca durante la notte, creando ampie escursioni termiche tra notte e giorno. Queste variazioni di temperatura sviluppano caratteristiche aromatiche nelle uve.
Le precipitazioni sono superiori alle media (circa 800 mm da aprile a settembre), ma la pendenza dei versanti e la natura permeabile del suolo favoriscono il drenaggio delle acque, eliminando i ristagni idrici e l’umidità in superficie, causa di propagazione di malattie fungine e al contempo consente una costante riserva di acqua. Non c’è nessuna necessità di irrigare in quest’oasi viticola.
Il terreno, originatosi dal sollevamento di fondali marini, è composto da argille, arenarie marnose e molasse del Miocene, tutte molto permeabili. Infatti il suolo è sciolto e permette un ottimo approfondimento delle radici. Va sottolineato che questi suoli sono integri, non essendo stati oggetto di manovre da macchine per movimento terra.
Quest’area si differenzia soprattutto per la buona dotazione in calcare (in alcuni siti si riscontrano casi di suoli anche fortemente calcarei), che è sempre sinonimo di vini eleganti, fini e profumati.
Il censimento sulle vigne, realizzato due anni fa dal Consorzio Valdobbiadene Conegliano Docg, ha attestato che circa il 70% delle viti sono state piantate prima del 1980. I vigneti non vengono mai espiantati completamente, ma mantenuti produttivi con la sostituzione delle piante deperite. Il patrimonio di vigne vecchie offre un notevole risultato qualitativo, viste le ridotte rese, la stabilità qualitativa negli anni, la maggior facilità a superare momenti climaticamente sfavorevoli e il corretto rapporto tra vegetazione e carico produttivo.
L’impianto iniziale era un doppio capovolto che con la consuetudine prende forme, per sfruttare lo spazio, personalizzate e poco classificabili.
Il Cartizze è presente da sempre, fin dal primo disciplinare del 1969, come Superiore di Cartizze, a sottolineare l’eccezionale vocazionalità del luogo.

Caratteristiche organolettiche, regole produttive e numeri
Il Superiore di Cartizze viene prodotto con Glera all’85% ed eventualmente il restante in Verdiso, ma la prevalenza è di Glera in purezza, con biotipo Balbi, dal grappolo lungo e spargolo. Storicamente è un vino da dessert, tipologia dry dunque, tradizionalmente prodotto con metodo Charmat. Ultimamente alcune aziende lo propongono in tipologia extra dry o brut per cogliere appieno le tipiche sfumature territoriali aromatiche floreali e fruttate, meno presenti nella versione dry.
I vini del Cartizze risultano ricchi in note olfattive legate ai sentori floreali (fiori bianchi, glicine, rosa) e fruttati (pera, pesca, albicocca, agrumi e in certe annate ai frutti tropicali). Al gusto si esprime con finezza e delicatezza, sapidità ed armonia.
La vinificazione deve avvenire solo all’interno del comune di Valdobbiadene, secondo le norme previste dal disciplinare. La resa massima di uva per ettaro in coltura specializzata non deve essere superiore ai 12.000 chilogrammi e il titolo alcolometrico volumico naturale minimo delle uve destinate alla vinificazione deve essere di 9,50 Vol.
Il consumo del Cartizze avviene per il 95% in Italia e sta diventando una moda tra i giovani. La richiesta è superiore all’offerta, tanto che il prezzo delle uve è salito a 5 euro al chilo, rispetto ai circa 2 euro del resto dell’areale. Il valore del vigneto è fra i più alti in Italia e va da 1,1 a 1,5 milioni di euro ogni diecimila metri quadrati. D’altronde non ci sono praticamente possibilità d’acquisto nel pentagono d’oro: 108 ettari sono e tali resteranno.
Le bottiglie prodotte nel 2021 sono state 1.624.625, con una crescita del +20,2% a volume e a valore del 32,7% nel 2021 sul 2020, e un aumento del prezzo medio del +10,5%.

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