Bûrson, la Romagna da scoprire

La sua zona di produzione, le campagne ravennati

Mario Busso Marzo 2018
Bûrson, la Romagna da scoprire

Era la fine di novembre di quattro anni fa, quando ho avuto l’opportunità di partecipare alla decima edizione di ‘A che punto siamo’, ideata e organizzata dall’enologo Sergio Ragazzini in collaborazione con l’amico giornalista Francesco Turri, per verificare lo stato dell’arte del vino Bursôn.

Al suo cospetto, grandi protagonisti che, a bottiglia coperta, raccontavano storie di vini importanti come l’Amarone, l’Aglianico, il Barbaresco; vini che a fine serata hanno rivolto il loro inchino a un Bursôn EtIchetta Nera veramente sorprendente. Da un lato sono rimasto sorpreso perché il vino aveva catturato non solo il mio interesse, ma anche la valutazione dei circa 150 commensali presenti.

Ricordo, aiutato dagli appunti della serata, un’esplosione di profumi che anticipavano il colore scuro e quasi impenetrabile, accarezzato da riflessi intonati alla porpora. Poche rotazioni nel bicchiere mi dimostrarono con immediatezza la sua consistente struttura evidenziata anche dalla lenta discesa di lacrime fitte e dense verso il fondo del bicchiere. La ciliegia nera, avvertita al naso, tornava polposa, matura e ben definita confondendosi con la mora in unione a un accenno di fiori appassiti e di muschio. Ricordo l’ingresso di bocca delicato, la progressione, la pienezza e l’armonia che anticipavano il tannino rotondo ma ancora vigoroso. Il tenore alcolico avvertito non creava disarmonia, ma ben si amalgamava con la spalla acida e una nota fresca finale lungamente persistente. Certo era un protagonista di eccellenza, il risultato finale di una mano sapiente ovviamente scelto ad hoc, tuttavia ho avuto modo negli anni a venire di ritrovare, in vario modo espresse, queste caratteristiche nei Bursôn che ho degustato.

BURSÔN, VIGOROSO AUTOCTONO ROMAGNOLO

Del Bursôn, fino a due decenni fa, avevano perso memoria gli stessi viticultori dell’area di produzione, ossia le campagne ravennati fra Bagnacavallo, Lugo, Russi, Godo, Fusignano e Cotignola.
Scampato alla fine del 1800 al flagello della filossera, nel 1920 il Bursôn – dialettalmente uva Bursona – venne ritrovato per caso, nel suo podere di Bagnacavallo, da Aldo Longanesi, che lo ribattezzò col proprio nome. Dopo anni di oblio, oggi gli ettari di “uva Longanesi” sono poco più di 200. Nel 1999, il Consorzio creato a Bagnacavallo ha cominciato a garantirne la tutela e sono arrivati anche i riconoscimenti internazionali. Infatti l’impegno e l’entusiasmo hanno permesso ai produttori di migliorare le tecniche di vinificazione; grazie al perfezionamento dell’appassimento delle uve, i risultati mostrano bottiglie di elevata qualità, in grado di misurarsi, come ho detto sopra, con gli altri grandi vini rossi d’Italia. Il Bursôn può dunque essere volano ed elemento centrale di un territorio da valorizzare e su cui puntare per costruire un pezzo di economia del futuro. Ci crede la comunità di Bagnacavallo che dà il benvenuto a chi arriva in città con un cartello che riporta la scritta “Bagnacavallo, zona di produzione del Bursôn”, quasi per incuriosire il visitatore e invogliarlo a scoprire con il vino le profonde radici storiche di questa parte di Romagna un tempo utilizzata per fornire vino e grano alle Legioni romane. Conoscevo già la storia del Bursôn ed ero rimasto affascinato dalle vicende che hanno portato al suo salvataggio dall’estinzione, ma in questi anni trascorsi dalla mia prima visita ho avuto modo di toccare con mano anche la realtà del territorio, ho conosciuto alcuni interpreti e ho apprezzato la convinzione di una scelta di qualità e non di quantità che tutti i produttori dovrebbero condividere. Visitare i luoghi del Bursôn da un lato aiuta a capire meglio il vino e dall’altro è stimolo per altre scoperte.

IL CENTRO È BAGNOCAVALLO

Il vino oggi è assurto a volano per diffondere la cultura dei luoghi, ma a loro volta i luoghi provocano un effetto di ritorno e stimolano un grado di preferenza verso quei vini di cui si conoscono le origini. Claude Levy Strauss, maestro di antropologia sociale, amava dire “… a buon pensare… buon mangiare”, alludendo alla migliore predisposizione della mente a esprimere un giudizio positivo, quando il consumatore ha in memoria i luoghi da cui trae origine un prodotto e, nel caso specifico, il vino che è nel bicchiere. Come sempre il suo insegnamento è stato stimolo per invogliarmi alla scoperta di Bagnacavallo, che ritengo essere una delle mete turistiche più interessanti del Ravvenate. Gli scorci delle sue viuzze, l’imponenza dei suoi palazzi nobiliari e degli edifici religiosi, mi spiegano perché questa cittadina sia stata spesso il set privilegiato di molti registi italiani. C’è poi la curiosità del suo nome che si ammanta di leggende! Una di queste racconta che la sorgente termale avrebbe risanato l’amato destriero dell’imperatore Tiberio, come confermerebbe anche il motto che compare sullo stemma del Comune: Ingredior rhoebus, cyllaros egredior (entro malato, esco sano). Una versione meno epica racconta della presenza di un guado in prossimità del primo agglomerato urbano, per attraversare il quale era necessario bagnare le cavalcature.

LE REGOLE DI PRODUZIONE

Le declinazioni che il Disciplinare prevede per questo vino sono il Ravenna Rosso Igt Bursôn Etichetta Blu e il Ravenna Rosso Igt Bursôn Etichetta Nera. L’Etichetta Blu è ottenuto al 100 % da uve Longanesi che, dopo la raccolta, vengono lavorate in due modi diversi: il 60% sono vinificate tradizionalmente con macerazione sulle bucce, mentre il restante 40% è sottoposto a macerazione carbonica.

Il vino nel bicchiere gioca sulla freschezza spiccata e sulle tonalità vivaci. Il bouquet è accompagnato da un’esplosione di profumi che spaziano dalla rosa canina alla viola e si armonizzano con frutti rossi e sentori di sottobosco. In bocca c’è ampiezza; l’immediata sensazione di freschezza è seguita da un tannino vivace e deciso che ricorda molto la rusticità del vitigno. La compagnia a tavola è sui primi piatti, ma va assolutamente provato su quattro tipicità della cucina ravennate, le folaghe ai ferri, il risotto con la carne di anatra selvatica, la zuppa di rane e l’anguilla alla griglia. Personalmente lo consiglio anche sulla Spoja lorda, la tradizionale pasta all’uovo romagnola, di forma quadrata, il cui ripieno è costituito da ricotta, uova, parmigiano e sale. Il nome Spoja lorda (sfoglia sporca) deriva dal fatto che il ripieno utilizzato è giusto un accenno, quanto basta per lordare la sfoglia.

Anche per il Ravenna Rosso Igt Bursôn Etichetta Nera le uve sono al 100% Longanesi. La vinificazione prevede l’appassimento del 50% delle uve per 20/40 giorni e un affinamento di due anni in botti di rovere. C’è chi lo descrive come una sorta di elegante “amarone”, perché, come ho accennato all’inizio, si tratta di un vino di grande fascino, dal colore rubino intenso e profondo. Nel bicchiere c’è ricchezza di note mature, di prugne in confettura, di cacao, di liquirizia, di erbe montane profumate; il corpo ha struttura importante, ma sempre composta ed elegante, con tannini scolpiti e ammorbiditi dall’affinamento nei legni di rovere. Il Bursôn Etichetta Nera si abbina a piatti di cacciagione oppure ai primi come i passatelli o i maltagliati al ragù di cinghiale, con lo stinco al forno. Personalmente l’ho apprezzato con la brasusla ‘d castrè sia fatta alla brace che cotta in umido con lo scalogno. Altro consiglio è l’abbinamento con gli arrosti, le braciole o gli spiedini di Mora Romagnola.

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