Nel 2020, la Barbera d’Asti celebra un anniversario di quelli che contano nella vita di un vino. Il 9 gennaio scorso, infatti, questo vino così eclettico, ha raggiunto i suoi 50 anni di denominazione di origine. Il 1970 aveva regalato al Piemonte una fitta ragnatela di Doc, con i vini Barbera sugli scudi. Accanto alla Barbera d’Asti, avevano raggiunto l’agognato obiettivo la Barbera d’Alba e quella del Monferrato, mentre quella dei Colli Tortonesi avrebbe dovuto attendere il 1973.
Quelle Doc giunte nel 1970 hanno rivelato due situazioni molto importanti:
- la caparbietà e la lungimiranza con cui i produttori e gli organismi istituzionali piemontesi hanno voluto le regole sull’origine e la qualità dei vini;
- il fatto che le denominazioni di origine dedicate ai vini con base varietale Barbera hanno sviluppato la loro influenza su una zona ampia del territorio vitato piemontese, dal momento che allora questo vitigno rappresentava più del 50% del vigneto regionale.
La chiarezza di intenti di quel periodo ha protratto le sue influenze nel tempo, determinando – vitigno per vitigno e zona per zona – uno sviluppo lento, ma inarrestabile, che ha portato i vini e i loro produttori ai risultati odierni.
Uno sviluppo per tappe costanti
Ciò che stiamo per raccontare della Barbera d’Asti potremmo estenderlo anche ad altri vini con la stessa base ampelografica, ma stavolta ci concentriamo sul prodotto che caratterizza il grande anfiteatro di colline e di vigne che riempie il cuore territoriale del Piemonte e coinvolge 169 paesi tra le province di Asti e Alessandria.
Il percorso temporale di questi cinquant’anni non ha sempre visto la Barbera d’Asti in ottimo stato di salute. Diversi sono stati i momenti difficili, ma ognuno è stato affrontato e superato con dignità e grande voglia di ripartire.
Se qualcuno, quel 9 gennaio 1970, avesse pensato che l’avvento della Doc avrebbe cancellato tutti i problemi, nel giro di poco tempo si sarebbe reso conto di aver sbagliato.
Infatti, gli anni Settanta e Ottanta sono stati i più critici e, per certi versi, i più impegnativi di tutta la storia di questo vino. In quel periodo, il disagio era evidente e l’arrivo della Denominazione di origine ha solo creato illusioni, senza davvero risolvere i problemi principali che da tempo lo penalizzavano: dal livello qualitativo discontinuo del vino che appariva troppo scorbutico e poco gradevole alla discrasia sempre più forte tra produzione e mercato, con l’effetto di deprimere i prezzi e, quindi, penalizzare i bilanci di molte aziende.
Gli anni Ottanta si sono aperti con la consapevolezza da parte di tanti che bisognava intervenire con urgenza per tamponare le falle e progettare un futuro differente. Il primo intervento di un certo peso risale al 1982, quando una campagna promozionale patrocinata dalla Regione Piemonte celebrava l’ecletticità del vitigno e del vino, evidenziandone due stili differenti, ma complementari, ovvero la Barbera “Vivace” preferibilmente individuata nella Barbera del Monferrato e quella “Storica” più facilmente indicata in quella d’Asti.
Questo chiarimento strategico ha solo parzialmente risolto i problemi e meglio orientato le produzioni. Nel giro di poco tempo, infatti, un altro brutto incidente si è interposto sul cammino dell’intero settore vitivinicolo italiano: nel 1986, le assurde “vicende del metanolo” hanno lasciato sul terreno morti, disorientamento e un nuovo peggioramento dell’identità del vino piemontese, in particolare della Barbera.
Ma la reazione del settore non si è fatta attendere. Nel 1987 la Regione Piemonte e gli altri organismi istituzionali hanno fornito alle due Associazioni dei produttori di allora (Viticoltori Piemonte e Piemonte Asprovit) gli strumenti per dare vita e sviluppo alla campagna di promozione ancora oggi ricordata come “La Rosa dei Barbera”.
Quella campagna, insieme a molteplici iniziative di singoli produttori, hanno poco per volta ribaltato la situazione. Nulla di miracoloso o di stratosferico, ma già il fatto che la promozione portasse in giro per l’Italia i produttori e i vini che ben rappresentavano le singole denominazioni, in particolare la Barbera d’Asti, ha innescato un circuito virtuoso che poco per volta ha avviato il processo di miglioramento qualitativo e di valorizzazione economica della Barbera d’Asti.
Nell’ambito di tale campagna di promozione, nel 1989 al Castello di Costigliole d’Asti veniva organizzata la prima Asta della Barbera, che aveva nella Barbera d’Asti un interprete di assoluto privilegio.
Il rinascimento della Barbera d’Asti si è ulteriormente consolidato nei primi anni Duemila con due importanti passi normativi: nel 2000, il riconoscimento delle tre Sottozone Colli Astiani, Nizza e Tinella e, in secondo luogo, nel 2008, il passaggio del vino dalla Doc alla Docg.
La Denominazione di origine controllata e garantita è stata davvero la ciliegina sulla torta, che ha conferito al vino il “particolare pregio” non solo sulla carta, ma nel pieno della sua realtà.
Altre due tappe sarebbero seguite a confermare il prestigio e la qualità generale della Barbera d’Asti: la prima è identificabile nell’elevazione della Sottozona “Nizza” a vino a sé stante con l’attribuzione allo stesso della Docg, confermando la bontà delle scelte praticate in precedenza.
Altra tappa strategica è stata la maggiore personalizzazione legata alla Barbera d’Asti del Consorzio Vini del Monferrato e il trasferimento della sua sede nel castello di Costigliole d’Asti.
Per il Consorzio è stato come tornare nella “casa dei padri” e sancire l’appartenenza a quella essenziale sfera dell’origine, della qualità e della salvaguardia di paesaggio e ambiente.
Finalmente, la solida attualità
Gli ultimi dieci anni sono trascorsi positivi nel mondo della Barbera d’Asti, portando stabilità e rafforzando in molti protagonisti della filiera la consapevolezza di avere in mano un vino di grande prospettiva, anche in chiave internazionale.
Già l’analisi di alcuni dati economici aiuta a focalizzare lo stato di salute di questo vino.
Primo elemento è quello degli ettari iscritti per la produzione della Barbera d’Asti, un dato oggi meno indicativo rispetto al passato. In ogni caso, il dato è di circa 5.500 ettari.
Più significativo è il dato degli ettari rivendicati, anno dopo anno, per produrre Barbera d’Asti. I valori riferiti al periodo tra il 2000 e il 2019 è rilevabile dalla Tabella 1. Il dato medio è di 4.338 ettari.
Mancano all’appello circa 1.200 ettari, solitamente utilizzati per produrre altri vini a base Barbera, in primis il Piemonte Barbera.
Molto interessanti sono due altri valori, quello della produzione effettiva e quello del volume imbottigliato anno per anno.
Nel primo caso, la tabella 1 evidenzia una produzione annuale oscillante tra 211.113 e 244.094 ettolitri, con il dato medio del periodo di 223.378 ettolitri.
Il volume annuale degli imbottigliamenti è rilevato dalla Tabella 2, che tra il 2009 e il 2019 evidenzia un imbottigliamento medio di 21.027.704 bottiglie. L’andamento degli imbottigliamenti è altalenante e questo dipende anche dalla maggiore o minore fertilità dell’annata e dalla domanda di mercato, spesso in oscillazione tra questo vino e il Piemonte Barbera.
Per quanto concerne il numero delle aziende, i produttori che lavorano con la Barbera d’Asti sono circa 700, suddivisi tra le varie categorie della filiera. Deciso è stato l’incremento (almeno 150-200 unità) negli ultimi 10-15 anni. Questo è un dato promettente, perché nel mondo produttivo è un elemento di vivacità, che da un lato accentua la capacità di attrazione del vino verso i consumatori e dall’altro aumenta il numero di coloro che affrontano in modo attivo i mercati del mondo intero.
Oggi la Barbera d’Asti vive una fase positiva, che presenta molti fattori incoraggianti accanto a qualche indicatore ancora critico.
Produttori disposti a investire sul loro territorio
Cominciamo a esaminare gli elementi positivi.
Rispetto a 15-20 anni fa, oggi i produttori di questo vino siano molto più propensi a investire nel loro territorio. E non dipende solo dal riconoscimento Unesco, che pure ha portato utili messaggi. Vanno sottolineati l’ingresso di nuove generazioni, più preparate al dialogo con il mondo, il rafforzamento dei livelli di qualità delle uve e dei vini e l’incremento generalizzato della rendita di posizione. Tutto ciò ha poco per volta favorito l’inversione di quella tendenza che fino al 2015 vedeva l’Astigiano perdere 300-400 ettari vitati all’anno.
Inoltre, nella zona di origine della Barbera d’Asti, si sono messe in rilievo alcune aree più o meno grandi nelle quali la dinamicità dei produttori, il loro saper fare squadra, la presenza di progetti specifici e l’impegno di persone illuminate hanno portato a processi di sviluppo più accentuati, sia nel mondo Barbera sia in quelli di altri vitigni autoctoni. I casi più eclatanti sono quelli del Nizza, che ha dato luogo a un vino Docg a base Barbera dai rilievi internazionali, del Ruché di Castagnole Monferrato anch’esso Docg e, più recentemente, quello dell’Albugnano dove un piccolo gruppo di giovani produttori sta lavorando a vini di alta qualità chiamati “Albugnano 549”.
Il caso più palese resta quello del Nizza, vino Docg dal 2014. È fuori luogo chi pensa che la creazione del Nizza abbia rappresentato un impoverimento per la Barbera d’Asti perché una parte di produzione ha lasciato il grande alveo per confluire in una realtà più piccola e ben caratterizzata.
Il fenomeno Nizza è positivo per tutta la Barbera d’Asti e non solo perché costituisce un esempio per il resto del territorio, ma perché in effetti il Nizza resta sempre un vino a base di Barbera i cui elementi di origine risiedono all’interno della Barbera d’Asti. Il Nizza dimostra che da questo vitigno coltivato sulle colline dell’Astigiano e dell’Alessandrino si possono ottenere vini di grande personalità, piacevoli, longevi e capaci di ottenere la giusta remunerazione.
Se altrove tutto ciò non si è ancora verificato dipende solo dal fatto che in quei territori non si sono ancora manifestati i fattori di sviluppo che hanno accompagnato il progetto Nizza.
Tutti quegli operatori venuti da fuori…
Altro interessante fattore di sviluppo è stato l’inserimento nel mondo Barbera d’Asti di operatori esterni, che hanno portato nuova vivacità e ulteriore entusiasmo. Negli anni Novanta ci sono stati gli arrivi di imprenditori da settori esterni al vino, spesso motivati anche solo dal piacere di acquistare una cascina dove recuperare un modus vivendi più rilassante. In effetti, anche se alcuni investitori, dopo un primo periodo di euforia, hanno preferito tornare là da dove erano venuti, molti di questi arrivi si sono integrati nel territorio e, dopo aver recuperato case rurali in abbandono o evitato l’ingerbidimento di vigneti di lunga tradizione, sono diventati operatori vitivinicoli di valore.
Il flusso più favorevole, però, è quello degli ultimi 20 anni che ha visto numerosi produttori di grandi zone piemontesi, in particolare dell’Albese, avvicinarsi al mondo astigiano e investire in vigneti e proprietà di Barbera d’Asti. Questi operatori hanno intravvisto nella Barbera d’Asti un vino degno di investimento e vi hanno portato esperienza e capacità di affrontare i mercati, dopo decenni di lavoro con i vini a base Nebbiolo come Barolo e Barbaresco.
Protagoniste del nuovo rinascimento della Barbera d’Asti sono state tutte le categorie della filiera, a cominciare dalle cantine cooperative che oggi sono un punto di forza del territorio e del suo vino. Negli anni Ottanta e Novanta, il mondo cooperativo ha dovuto affrontare periodi di difficoltà, che hanno determinato una forte selezione qualitativa. Alcune strutture sono scomparse, altre hanno trovato positive soluzioni di reciproca sinergia. Oggi molte di loro sono riferimenti sicuri in un mercato che ogni anno consolida le sue posizioni.
Discorso analogo è quello che si può fare per le figure industriali e per il mondo dei piccoli produttori artigiani. È difficile scindere le due categorie: ambedue hanno lavorato e lavorano sul vigneto, sul vino, sull’immagine e sul mercato. Le prime hanno selezionato le loro firme, consolidando le posizioni più meritevoli. I secondi hanno via via rafforzato la loro identità, rinunciando a una parte della loro anima contadina per diventare un po’ più imprenditori.
Progettare il domani
Nonostante i buoni riscontri fin qui ottenuti, come in ogni campo, bisogna continuare a lavorare per dare ulteriore continuità ai progetti finora realizzati. Il dialogo in seno al Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato sta producendo buoni frutti anche in prospettiva. Così, sul tappeto oggi ci sono altre sfide che il mondo della Barbera d’Asti si appresta ad affrontare.
Pensiamo alla gestione del potenziale viticolo: oggi la Barbera d’Asti dispone di un patrimonio di vigneti dalle potenzialità non del tutto espresse. Già i riferimenti statistici sono indicativi: il settore può contare su 5.300-5.500 ettari iscritti, ma la rivendicazione media di ogni anno supera di poco i 4.000 ettari. Ma c’è di più: valutando il rapporto tra rivendicato e imbottigliato, si capisce come gli ettari effettivamente utilizzati oscillino tra 3.000 e 3.500.
La domanda sorta spontanea in seno agli organismi direttivi del Consorzio mira a capire se abbia un senso dare spazio a nuovi impianti quando il potenziale viticolo già ora è sovradimensionato. La risposta è stata altrettanto chiara: “Bisogna gestire la superficie e la quantità prodotta soprattutto per remunerare in modo adeguato l’attività dei viticoltori e incrementare la qualità globale della Barbera d’Asti.”
Assodato che le iniziative vanno intraprese in programmazione, il Consorzio ha deciso di lasciare libertà d’impianto ancora nel 2019 e nel 2020, mentre dal 2021 l’ingresso nella denominazione sarà limitato a 150 ettari, attuando la gestione ragionata del potenziale viticolo che valorizzerà l’intera capacità produttiva.
Altro aspetto legato al miglior impiego del potenziale viticolo è l’incentivazione di produzione del Piemonte Barbera direttamente in vigneto. Ancora troppo vino oggi viene rivendicato come Barbera d’Asti e, nei mesi successivi, diventa Piemonte Barbera. Si tratta di un percorso poco razionale, sia dal punto di vista tecnico che economico. Infatti, i caratteri del Piemonte Barbera devono essere differenti rispetto alla Barbera d’Asti e perciò è fondamentale la sua produzione specifica; inoltre, producendo Piemonte Barbera direttamente in vigneto ci si può valere di regole produttive che mettono a disposizione 30 quintali in più di produzione. In caso contrario questa opportunità è vanificata.
Altri interventi restano da attuare. Primo fra tutti, lavorare sul territorio in due direttrici: da un lato, stimolare le due restanti Sottozone (Colli Astiani e Tinella) a sviluppare – sull’esempio del Nizza – un progetto di crescita analogo, accompagnato anche da un’ulteriore opera volta a individuare e valorizzare le cosiddette Menzioni Geografiche Aggiuntive. Un’iniziativa questa che andrebbe promossa anche al di fuori delle tre Sottozone, selezionando a macchia di leopardo le aree davvero vocate e in grado, grazie alla presenza di produttori di una certa lungimiranza, di compiere un proprio percorso di qualificazione ulteriore.
Per il resto, l’impegno è quello di proseguire le attività finora intraprese, confermando l’attuale posizionamento della denominazione sui mercati del mondo intero, continuando ad attrarre nuovi produttori di immagine da altri territori, fidelizzando i giovani consumatori, consapevoli che a ogni cambio di generazione occorre ricominciare da capo.
Certamente proseguirà il lavoro denominato “Barbera 2.0” finalizzato a fornire ai produttori un adeguato supporto scientifico per farne crescere in modo costante la conoscenza e la professionalità. Senza dimenticare l’enoturismo che secondo il parere di molti produttori ha dato un contributo decisivo nel determinare il cambio di tendenza e che, con il riconoscimento Unesco, si è negli ultimi anni ancora di più rafforzato.
Un ringraziamento speciale ai produttori e i tecnici con i quali mi sono confrontato in vista di questo racconto della Barbera d’Asti: Mariuccia Borio di Cascina Castlet, Stefano Chiarlo della Michele Chiarlo di Calamandrana, Enzo Gerbi della Cantina Sei Castelli di Agliano d’Asti, Lorenzo Giordano della Produttori di Vinchio, Federica e Ugo Massimelli della Bersano SpA di Nizza Monferrato, Filippo Mobrici presidente del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, Giulio Porzio presidente di Vignaioli Piemontesi e della Cantina ‘l Post del Vin di Rocchetta Tanaro