Barbera d’Alba, da vino quotidiano a rosso di gran classe

Il vitigno Barbera, originario del Monferrato è giunto sulle colline albesi in pieno 1800. La terra è il grande palcoscenico di colline diffuso tra Langa e Roero.

Giancarlo Montaldo Ottobre 2022
Barbera d’Alba, da vino quotidiano a rosso di gran classe

Sotto un cielo a volte mutevole, altre volte più stabile, il vitigno e la terra, con l’occhio attento dell’uomo, danno origine a un vino maestoso e sorprendente nel colore, nei profumi e nel sapore

Che nella storia dei vini a denominazione di origine piemontesi il 1970 sia l’anno delle Barbere è un dato inconfutabile. Lo conferma il fatto che quell’anno gran parte del patrimonio viticolo piemontese legato a questo vitigno abbia conseguito la denominazione di origine controllata. Infatti, il 9 gennaio 1970 è toccato alla Barbera d’Asti e a quella del Monferrato e, pochi mesi dopo – il 27 maggio – è stata la Barbera d’Alba a raggiungere lo stesso traguardo.

Solo la Barbera dei Colli Tortonesi avrebbe ottenuto lo stesso risultato nel 1973, mentre per vedere riconosciuti Doc i vini Barbera di altre denominazioni si sarebbero dovuti attendere gli anni Novanta e i Duemila.
Prima di tagliare il traguardo della Barbera d’Alba Doc, però, si dovettero superare vari ostacoli, soprattutto interni al settore e alla zona: infatti, oltre i 54 comuni che formeranno la zona di origine di questo vino, molti altri, soprattutto in Langa, avevano manifestato interesse a condividere tale progetto. Soprattutto alcuni centri del Doglianese vantavano la coltivazione di tale vitigno, magari in misura più contenuta rispetto all’Albese. Allora, però, tra Albese e Doglianese il dialogo non era facile e questo fece naufragare sul nascere tale possibilità, insieme al desiderio di alcuni paesi di quelle terre di aggregarsi al meccanismo di regolamentazione e valorizzazione della Doc Barbera d’Alba.

Cosa che si è ripetuta ancora nel 2019 quando il Consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani ha aperto il dibattito tra i suoi associati per ampliare la zona di origine della Barbera d’Alba ad alcuni paesi del Doglianese e a una porzione del paese di Monteu Roero fino ad allora esclusa. La proposta consortile non trovato di nuovo il favore dei produttori, anche se nel contesto globale della denominazione si erano avuti vari anni di riduzione dei vigneti dedicati alla produzione di questo vino.

Tornando agli anni Settanta del Novecento, il “gran rifiuto” albese verso i paesi del Doglianese ebbe delle negative conseguenze sul progetto di realizzare la Doc Dolcetto delle Langhe in alternativa alla polverizzazione dei quattro vini a base di questo vitigno (Alba, Diano d’Alba, Dogliani e Langhe Monregalesi). Alla sottile opposizione dei produttori di Diano d’Alba, che ambivano a una denominazione esclusiva per il proprio comune, si univa la dura reazione del Doglianese che – memore del trattamento ricevuto nel progetto “Barbera d’Alba” – si opposero in modo categorico e aprirono la porta alle quattro denominazioni.

Tornando al progetto “Barbera d’Alba”, va ricordato come negli anni Sessanta e Settanta del Novecento questo vitigno, seppure tradizionale per il Piemonte e molto diffuso in Monferrato, sulle colline di Langa e Roero non avesse una diffusione facile, visto che non è mai diventato il vitigno per la produzione di vini per la quotidianità. Qui, prevaleva di gran lunga il Dolcetto, per lo meno alla destra del Tanaro. Forse un po’ più di spazio si poteva rintracciare alla sinistra del fiume, soprattutto sulle colline più vicine all’Astigiano, ma anche qui le concorrenze non mancavano, in particolare dal Nebbiolo (mitico il Nebiolin del Roero) e dalla Bonarda.

Perciò, nell’Albese il vitigno Barbera ha dovuto mettere a frutto la sua capacità – a precise condizioni di impianto e coltivazione – di produrre vini di qualità. Gli spazi vocati coerenti con le sue esigenze erano limitati, anche per la competizione del Nebbiolo, che mirava alle stesse tipologie di terreni e di ambienti colturali. È probabile che sia stata proprio questa forte concorrenza varietale a stimolarlo e a costringerlo a rivelare la sua grande attitudine alla qualità.

Da quel 27 maggio 1970 si è avviato un percorso di crescita colturale e produttiva che ha portato poco per volta a definire un vino – la Barbera d’Alba Doc – dai caratteri sempre più internazionali, correggendone le esagerazioni naturali (acidità), valorizzandone gli elementi positivi (colore e fragranza), eliminandone i luoghi comuni (vino scorbutico e acerbo) che avevano allontanato i mercati e le occasioni di consumo privilegiate.

Alla base del successo della Barbera d’Alba c’è stato il lavoro costante dei produttori, che hanno trasformare un vino nato anche qui per completare la dieta quotidiana di produttori e consumatori in un prodotto elegante e completo, capace di resistere al tempo e di competere con i grandi rossi del resto del mondo.

Una zona ampia ed eterogenea
Come abbiamo detto, la Barbera d’Alba Doc è prodotta in 54 comuni tra Destra e Sinistra del Tanaro. Il coinvolgimento di colline poste sulle due sponde del fiume è un primo elemento di variabilità ambientale, che porta in dote caratteri differenti per altitudine, origine geologica, costituzione dei suoli e situazioni micro e macro climatiche.
Alla destra del fiume, infatti, si sovrappone spesso alle zone del Barbaresco, Barolo, Nebbiolo d’Alba, Dolcetto d’Alba e di Diano d’Alba. In sinistra Tanaro, la zona coinvolge i territori del Roero e va anche al di là di tale delimitazione, interessando ad esempio spazi importanti sulla dorsale collinare che segue il corso del Tanaro nei paesi di Guarene, Castagnito, Magliano Alfieri, Castellinaldo d’Alba, Priocca e Govone. Su questa dorsale si trova il comune di Castellinaldo d’Alba, che dà il nome alla Sottozona “Castellinaldo” riconosciuta nel 2021 e illustrata in un capitolo specifico.

Nella zona di origine 34 sono i paesi alla destra del Tanaro: Alba, Albaretto Torre, Barbaresco, Barolo, Borgomale, Camo, Castiglione Falletto, Castiglione Tinella, Castino, Cherasco, Cortemilia, Cossano Belbo, Diano d’Alba, Grinzane Cavour, La Morra, Mango, Monchiero, Monforte d’Alba, Montelupo Albese, Narzole, Neive, Neviglie, Novello, Perletto, Rocchetta Belbo, Roddi, Roddino, Rodello, S. Stefano Belbo, Serralunga d’Alba, Sinio, Treiso, Trezzo Tinella e Verduno. Ne restano 20 situati alla sinistra del fiume: Baldissero d’Alba, Bra, Canale, Castagnito, Castellinaldo d’Alba, Corneliano d’Alba, Govone, Guarene, Magliano Alfieri, Montà, Montaldo Roero, Monteu Roero, Monticello d’Alba, Piobesi d’Alba, Pocapaglia, Priocca, S. Vittoria d’Alba, Santo Stefano Roero, Sommariva Perno e Vezza d’Alba.

La porzione di destra Tanaro è più antica e ricca di suoli calcarei-argillosi, mentre quella in Sinistra – di origine geologica più recente – al calcare aggiunge infiltrazioni sabbiose che ne limitano la compattezza.

Le regole della produzione
Dopo il riconoscimento della Doc a maggio 1970, le regole produttive della Barbera d’Alba sono cambiate più volte, grazie alle modificazioni che hanno adeguato il Disciplinare alla situazione reale. L’ultima correzione si è materializzata con il decreto 6 agosto 2021 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21 agosto 2021. È la modificazione che ha introdotto la Sottozona “Castellinaldo”. Le tipologie restano due: Barbera d’Alba e Barbera d’Alba Superiore. La differenza sta nella struttura e nel periodo di maturazione, maggiori per la Superiore. La Sottozona “Castellinaldo” è regolata da un disciplinare posto in calce al testo generale.

La base ampelografica si affida in prevalenza al vitigno Barbera (85 -100%), ma non esclude le uve Nebbiolo, fino al 15%. La resa massima di uva a ettaro è definita in 10.000 chilogrammi, che – grazie al rendimento massimo dell’uva in vino al 70% – equivale a 7.000 litri e 9.333 bottiglie.
Relativamente alle condizioni colturali, sono da preferire i terreni argillosi, calcarei e silicei di giacitura collinare, escludendo i fondovalle e le aree pianeggianti. Particolare attenzione è riservata all’esposizione per garantire la maturazione ottimale delle uve. A tale scopo, è escluso il versante nord da -22,5° a +22,5° sessagesimali.

L’obbligo di maturazione è prescritto solo per la tipologia “Superiore”, che deve restare in cantina almeno 12 mesi (di cui 4 in legno), calcolati dal 1° novembre dell’anno di vendemmia.
La Barbera d’Alba deve avere una gradazione alcolica minima di 12,0 % Vol. e un’acidità totale minima nel 4,5‰. Per la “Superiore” la gradazione alcolica non dev’essere inferiore a 12,5% Vol.

L’origine delle uve può essere meglio precisata ricorrendo – oltre alla specificazione della Sottozona “Castellinaldo” per il territorio specificatamente interessato – all’indicazione “Vigna” seguita dal toponimo o dal riferimento tradizionale. Infine, in etichetta è obbligatoria l’annata di produzione delle uve.

La Sottozona “Castellinaldo”
La storia della Sottozona “Castellinaldo” inizia il 9 febbraio 1992 con la fondazione della “Vinaioli di Castellinaldo”, associazione nata per valorizzare i vini del paese con iniziative di promozione e con l’impegno costante a sottolineare la qualità della Barbera d’Alba prodotta su queste colline.
Dopo un impegno trentennale, caratterizzato com’è ovvio da alti e bassi, il 21 agosto 2021 la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato il decreto 6 agosto 2021 che ufficializza la Sottozona “Castellinaldo” in abbinamento con la denominazione Barbera d’Alba.

Vediamo in sintesi le regole produttive che differenziano la “Castellinaldo” Barbera d’Alba dalla denominazione generale.
La zona di origine è formata dalle colline di Castellinaldo d’Alba e di sei paesi intorno (Castagnito, Guarene, Vezza d’Alba, Canale, Priocca e Magliano Alfieri) limitatamente ai territori più coerenti con la realtà di Castellinaldo d’Alba. La base ampelografica resta quella della Barbera d’Alba, cioè Barbera (minimo 85%) e Nebbiolo (15% al massimo).
Leggermente inferiore è la resa massima a ettaro: 9.500 chilogrammi di uva, ma il rendimento massimo in vino resta del 70%. Anche la zona di vinificazione è quella della Barbera d’Alba, cioè i territori delle province di Cuneo, Asti e Torino.

Le cose cambiano rispetto alla Barbera d’Alba per la maturazione obbligatoria: tale periodo minimo è fissato in 14 mesi nei quali il vino deve trascorrere almeno 6 mesi in legno e 3 in bottiglia. Quindi, il “Castellinaldo” Barbera d’Alba è pronto per il consumo il 1° gennaio del secondo anno successivo alla vendemmia.
Inoltre, il decreto di riconoscimento ha concesso la possibilità di richiedere la retroattività per le annate 2019 e 2020, a patto che i vini siano stati prodotti secondo il disciplinare della “Sottozona”.
La gradazione alcolica minima è fissata in 12,5% Vol. e l’acidità totale minima in 5 per mille.

Interessante la prescrizione relativa alla designazione in etichetta: la Sottozona “Castellinaldo” deve precedere la scritta “Barbera d’Alba” e dev’essere riportata in caratteri non superiori a quelli utilizzati per la denominazione, anche con colore o carattere diverso.
Il Disciplinare prevede poi la possibilità di usare la menzione “Vigna” seguita dal toponimo o dal riferimento tradizionale e in questo caso va rispettata la normativa nazionale.
Scontata è l’obbligatorietà dell’indicazione dell’annata in etichetta.

Lo stato di salute “economico”
Per valutare la situazione produttiva della Barbera d’Alba abbiamo riassunto nella tabella specifica l’andamento tra il 2008 e il 2021 di tre parametri: superficie vitata rivendicata, produzione effettiva e volumi imbottigliati anno per anno.


Nel 2020 questa denominazione ha varcato i suoi primi 50 anni di produzione e nel tempo il potenziale viticolo – partito nel 1970 da circa 1.200 ettari – è salito fino a sfiorare nella prima metà degli anni Ottanta i 2.800 ettari. Dal 1984, la superficie vitata si è gradatamente ridotta fino alla quota minima di 1.561 ettari del 31 dicembre 2015. Di lì poi è iniziata una parziale reazione del settore produttivo, che ha bloccato la caduta degli impianti, incrementandoli di nuovo fino ai 1.672 ettari del 2021.

Ci sono almeno tre ragioni che nel tempo hanno favorito la minore attenzione dei produttori per l’impianto del vitigno Barbera e per il ricorso alla denominazione Barbera d’Alba.
Dal punto di vista viticolo il fattore impattante è stato la sensibilità del vitigno alla Flavescenza dorata, che ha costretto molti produttori a sostituire sistematicamente le piante che man mano erano colpite dalla malattia.
Poi, si è verificata una decisa concorrenza da parte di altri vitigni, magari meno sensibili alla Flavescenza, ma anche temporaneamente più performanti sul mercato e nel consumo. La riduzione di impianti di Barbera non ha significato un abbandono della viticoltura, ma la sostituzione del vitigno con altre varietà: l’Arneis e il Nebbiolo nel Roero; il Nebbiolo o alcuni internazionali in Langa (Riesling, Sauvignon, Pinot nero e Merlot).

Ma c’è un terzo fattore concorrenziale che si è materializzato verso la rivendicazione della Barbera d’Alba Doc ed è legato al crescente successo maturato sui mercati dalla denominazione “Langhe”, tra le cui tipologie c’è anche il “Langhe Barbera”. Ci sono vari casi di produttori che hanno abbandonato la produzione della Barbera d’Alba a favore del Langhe Doc Barbera.
Per quanto concerne nella Tabella le colonne della produzione effettiva e dei volumi annuali di imbottigliamento, la situazione è positiva, pur tenendo conto della solita variabilità quantitativa che caratterizza il singolo millesimo.
Il dato relativo alla produzione effettiva segnala frequenti livelli oltre i 12 milioni di bottiglie e anche le situazioni al di sotto di tale soglia non se ne discostano troppo. Unica eccezione è l’annata 2014, oggettivamente caratterizzata da fatti climatici più critici che ne hanno influenzato sia la quantità che la qualità.

Anche il volume degli imbottigliamenti evidenzia situazioni favorevoli. Ovviamente, le oscillazioni tra gli anni sono influenzate dalla quantità di Barbera d’Alba a disposizione dei produttori.
Significativo è anche il risultato economico della prima vendemmia (il 2021) della Sottozona “Castellinaldo”, anche in relazione al fatto che proprio tale annata in quella zona è stata segnata da una violenta grandinata estiva: la superficie rivendicata è stata di 18,61 ettari e la produzione di 89.930 litri, equivalenti a 119.919 bottiglie. Le aziende rivendicatrici sono state 20.
Interessante è anche la ripartizione che il Consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani ha elaborato nell’annata 2020 sulla destinazione delle uve Barbera per Barbera d’Alba Doc: quelle oggetto di compravendita rappresentano il 33% del totale, mentre a quelle conferite a cantina cooperativa spetta la quota del 24%. Prevalente, quindi, è la quota di uve Barbera vinificate in proprio, con il 43% del dato globale.

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