Era il 21 febbraio 2007 quando il Ministero delle Politiche Agricole emanava il decreto che modificava il disciplinare di produzione del Barbaresco. Non erano molte le disposizioni produttive da correggere, ma c’era tutto il lavoro di delimitazione delle Menzioni Geografiche Aggiuntive da recepire per dare ai produttori e ai consumatori la certezza della loro consistenza. E si profilava anche un’altra opportunità, ovvero quella di ancor meglio precisare l’origine del vino con l’uso del termine “Vigna” con il toponimo o nome tradizionale.
A distanza di quindici anni, si può dire che quella delle MeGA sia stata una scelta efficace e non solo perché ha chiarito senza equivoci la reale consistenza di ognuna di queste parti più piccole della zona di origine. Ciò che conta di più è il risultato che il loro uso ha determinato nell’identità del vino, sul suo valore reale e quello percepito e nel rapporto con il mercato e il consumatore.
Risultati così eclatanti non erano tanto scontati per una serie di incertezze, anche operative. La materia, in Italia, era assolutamente nuova e la stessa impostazione attuata dal Ministero lasciava non poche perplessità. È vero che in Italia erano poche le zone dove era molto sentita l’opportunità di riportare in etichetta il riferimento di un’origine più precisa, ma ciò non giustificava che proprio le terre dove il lavoro sull’identità e l’immagine era stato più attento dovessero essere penalizzate. E le Langhe, con Barbaresco e Barolo in testa, erano una di queste.
C’era d’altronde un obbligo preciso dettato dall’Unione Europea, che pretendeva che ogni riferimento riportato in etichetta fosse vero e documentabile: nel caso dei riferimenti di origine significava che “fossero ufficialmente delimitati e riconosciuti”.
Sulla base della loro tradizione e delle indicazioni molto chiare dell’Unione Europea, i produttori del Barbaresco e del Barolo furono i primi a sperimentare questo lavoro. E va detto, nonostante tutto, con ottimi risultati sia di carattere tecnico, sia – come vedremo più avanti – di tipo strategico.
In cammino verso le MeGA del Barbaresco
Pur senza rivangare i lavori pionieristici condotti addirittura nei primi anni Ottanta nel paese di Barbaresco, nella zona di questo vino si è cominciato a operare verso metà anni Novanta del Novecento per selezionare le zone meritevoli e procedere alla loro delimitazione.
Autorevoli sono stati al riguardo i contributi operativi dei comuni di Barbaresco, Neive e Treiso, con il coordinamento del Consorzio del Barolo e Barbaresco, che ha supplito anche alla “latitanza” del comune di Alba, che spesso ha dimenticato di avere una parte del proprio territorio (San Rocco Seno d’Elvio) nella zona di origine del Barbaresco.
La scelta di procedere con una delimitazione geografica e non vocazionale si è rivelata molto efficace. Facilitava il lavoro per tracciare i confini di queste parti più piccole della zona di origine, ma nulla toglieva alla qualità del risultato tecnico, perché su di queste delimitazioni si sarebbero innestate le regole del disciplinare a definire dove si potesse coltivare il Nebbiolo da Barbaresco.
I lavori di individuazione delle zone e della loro delimitazione sono terminati a fine anni Novanta, ma poi i tradizionali intralci della burocrazia romana hanno rallentato le fasi finali dell’iter di riconoscimento di tali menzioni e la loro idoneità a comparire sulle etichette del Barbaresco.
Se in un primo tempo, in base alla legge 164/92 sembrava che queste parti più piccole della zona di origine si potessero chiamare “Sottozone” (termine non molto infelice), il Ministero ha valutato troppo piccole le aree individuate nella zona del Barbaresco. Secondo il parere ministeriale, le “Sottozone” dovevano avere un territorio almeno equivalente a quello di un comune, mentre l’impostazione perseguita per il Barbaresco individuava anche 25-30 parti più piccole della zona di origine per ogni paese.
Così, i lavori condotti nella zona del Barbaresco sono “restati nel limbo” per alcuni anni, finché – a seguito di un’ennesima sollecitazione – il Ministero si è accorto che nella legge 164 c’era un altro istituto che poteva fare a questo caso: era quello delle Menzioni Geografiche Aggiuntive. Se già il termine “Sottozona” non trovava molti consensi, figurarsi quello delle Menzioni: si trattava di una locuzione lunga, piuttosto astrusa, fatta di ben tre parole. Qui la confrontavano con quanto fatto dai Francesi per individuare la stessa materia avevano coniato un termine di tre lettere: cru.
Le Menzioni Geografiche Aggiuntive nel Barbaresco
Il riconoscimento ministeriale del febbraio 2007 ha assegnato al Barbaresco Docg 66 Menzioni Geografiche Aggiuntive, così suddivise tra i vari territori della zona. Nel comune di Barbaresco ne sono state individuate 25: Asili, Ca’ Grossa, Cars. Cavanna, Cole, Faset, Martinenga, Montaribaldi, Montefico, Montestefano, Muncagota, Ovello, Pajè, Pora, Rabajà, Rabajà-Bas, Rio Sordo, Roccalini, Roncaglie, Roncagliette, Ronchi, Secondine, Tre Stelle, Trifolera e Vicenziana.
Venti sono quelle attribuite al comune di Neive: Albesani, Balluri, Basarin, Bordini, Bricco di Neive, Bric Micca, Canova, Cottà, Currà, Fausoni, Gaia-Principe, Gallina, Marcorino, Rivetti, San Cristoforo, San Giuliano, Serraboella, Serracapelli, Serragrilli e Starderi.
Situazione un po’ diversa è quella del comune di Treiso: a questo paese sono state assegnate 17 Menzioni in modo esclusivo e 3 in coabitazione con la frazione di San Rocco Seno d’Elvio. Le MeGA esclusive di Treiso sono Ausario, Bernardot, Bricco di Treiso, Casot, Castellizzano, Ferrere, Garassino, Giacone, Giacosa, Manzola, Marcarini, Nervo, Pajorè, Rombone, San Stunet, Valeirano e Vallegrande. Le tre in sinergia con San Rocco sono Meruzzano, Montersino e Rizzi.
San Rocco Seno d’Elvio ha una sola Menzione di propria esclusiva, Rocche Massalupo.
Oltre a queste 66 MeGa, ci sono sei aree che i comuni hanno delimitato, ma che non sono state inserite nel Disciplinare perché mai rivendicate. Queste sono temporaneamente “congelate” e potranno essere inserite in disciplinare quando ci sarà la richiesta di qualche produttore. Tali zone sono due a Barbaresco (Cortini e Niccolini), una a Neive (Casasse) e tre a Treiso (Bungioan, Canta e Sant’Alessandro.
Alcune curiosità su queste MeGA dicono che la più piccola è Rabajà-bas nel comune di Barbaresco, mentre la più estesa è Canova nel paese di Neive. Tra le 66 MeGA inserite a disciplinare, solo una (Trifolera) al momento non è rivendicata, mentre tutte le altre hanno almeno un produttore che le sta utilizzando. È un risultato straordinario, che riflette la grande attenzione che i produttori e gli operatori di mercato dedicano a queste specificazioni di origine in etichetta. Le MeGA con i numeri maggiori di rivendicazioni sono nell’ordine Ovello, Gallina, Rabajà, Albesani, Basarin, Starderi, Bricco di Neive, Montestefano, Meruzzano, Montersino, Gaia-Principe e Montefico.
Ciò che è ancora più importante è il risultato delle rivendicazioni del Barbaresco con MeGA rispetto a quello “classico”, che non ha ulteriore specificazione di origine. Nel 2021, a fronte di una rivendicazione totale che ha interessato 755 ettari di vigneto a Nebbiolo da Barbaresco, ben 426,63 ettari, pari al 56,89%, sono quelli rivendicati con la MeGA.
Il Barbaresco senza ulteriore specificazione di origine si è fermato a 325,54 ettari, pari al 43,11% del totale. Se lo stesso confronto lo sviluppiamo per la produzione effettiva, otteniamo una ripartizione simile, ovvero il 56,71% fa riferimento alla MeGA e il 43,29 al Barbaresco senza altra specificazione.
Un risultato così eclatante sottolinea l’attaccamento che produttori e operatori di mercato riservano all’indicazione in etichetta delle MeGA come indicazione di un’origine più precisa del vino.
Ma non va intesa come maggiore qualità del prodotto. Può essere questa una precisazione pleonastica, ma è bene ricordarla per evitare malintesi o errate interpretazioni. Nelle grandi annate, spesso il riscontro qualitativo delle MeGA equivale anche a un maggiore livello di gradevolezza e di ampiezza di caratteri. Non sempre, però, è vero nelle annate meno roboanti, nelle quali in genere i produttori preferiscono l’assemblaggio tra vigne differenti alla vinificazione separata, perché in questi millesimi la sinergia tra origini differenti aiuta spesso a potenziare il livello qualitativo.
Ma c’è ancora un altro elemento che vale la pena ricordare: questi risultati di maggiore preferenza del Barbaresco con MeGA rispetto a quello “classico” sono ancora più rilevanti se si pensa che sono ottenuti senza l’apporto delle MeGA comunali. Nel Barbaresco, infatti, non sono state richieste e riconosciute le Menzioni legate ai singoli paesi, cosa che ad esempio è possibile nel caso del Barolo. Oggi, nel Barbaresco c’è un ampio dibattito su questo tema e nei prossimi anni si potrebbe anche verificare l’inserimento delle MeGA comunali nel disciplinare di produzione.
Tale scelta potrebbe portare un ulteriore assottigliamento della quota del Barbaresco “classico”, con un altro 6-7% di superficie e produzione che potrebbe utilizzare la nuova opportunità.
Stabilità economica importante
Ci sono altri parametri che ci possono aiutare a valutare lo stato di salute della denominazione Barbaresco. In particolare, abbiamo analizzato, nel periodo tra il 2008 e il 2021, tre parametri di una certa affidabilità: la superficie vitata iscritta al fascicolo aziendale, la produzione effettiva e il volume del vino imbottigliato.
Come si può vedere dalla tabella pubblicata qui a fianco, il trend del potenziale viticolo è in costante crescita, ma non crea particolari problemi all’equilibrio di mercato grazie alla costante gestione degli impianti attuata da circa un decennio dal Consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe Dogliani. Tra il 2008 e il 2021 gli impianti vitati a Nebbiolo da Barbaresco sono passati dai 700 ettari del primo anno agli 812 del 2021, con un incremento medio di 8,6 ettari ad anno.
A tale riguardo va detto che l’entità della superficie iscritta al fascicolo aziendale è più elevata di quella attiva utilizzata nella rivendicazione annuale, perché in questo valore sono inclusi anche i vigneti ai primissimi anni di impianto che non partecipano ancora all’atto produttivo.
Per quanto concerne la produzione effettiva, la situazione è divenuta negli anni piuttosto stabile. Infatti, la produzione media degli ultimi 14 anni (2008-2021) è di 4.608.415 bottiglie, con una distribuzione anno per anno piuttosto coerente, con 8 annate la cui produzione supera tale valore medio e 6 nelle quali rimane al di sotto. Ma la differenza tra il valore medio e quello delle singole annate è sempre contenuta, a conferma della buona stabilità di produzione di cui abbiamo parlato.
Una coerenza questa che si riscontra anche nell’evoluzione dei volumi di imbottigliamento. Il dato medio dei quattordici anni tra il 2008 e il 2021 è stato di 3.959.245 bottiglie confezionate. In questo caso, la distribuzione tra le annate è ancora più favorevole, visto che sono 10 quelle nelle quali il volume di imbottigliamento ha superato il loro dato medio e solo 4 quelle ne sono rimaste al di sotto. L’incidenza del volume medio di imbottigliato rispetto al valore medio della produzione annuale è di quasi l’86% (85,9%).
È evidente che non può esserci corrispondenza di annata tra la produzione e il volume di imbottigliamento, visto che il Barbaresco prima di andare sul mercato deve trascorrere in cantina almeno 26 mesi tra maturazione in vari tipi di contenitori (acciaio, cemento e legno) e affinamento in bottiglia. Ciò che è importante è che i due valori siano coerenti, per evitare da un lato che si verifichi un aumento esagerato delle scorte e dall’altro che si vada in riduzione troppo forte del vino a disposizione.
Altri indicatori ci possono aiutare a dare un quadro completo dello stato di salute del Barbaresco e della sua evoluzione. La ripartizione tra le varie figure della filiera attribuisce il 16% di tutta la produzione al conferimento a cantina cooperativa. In questo caso, gli attori sono due, la Produttori del Barbaresco a Barbaresco, che raccoglie associati da Barbaresco e Neive, e la Cantina Pertinace a Treiso, che coinvolge associati di questo solo paese.
La quota della vinificazione in proprio è del 57% e quella dell’uva oggetto di compravendita del 27%, un dato questo in costante riduzione. Probabilmente, quest’ultimo dato potrebbe anche essere inferiore se si tenesse conto dei casi in cui chi vende e chi acquista è la stessa figura, rappresentata da un lato da una società o una persona individuale che ha la proprietà dei vigneti e produce le uve e dall’altro da una società che si dedica alla loro vinificazione e alla commercializzazione del vino.
Ultimo riferimento è il numero di aziende che operano con la denominazione Barbaresco. Molto numerose (337) sono le aziende che producono l’uva Nebbiolo per questo vino. Il che significa che il singolo viticoltore dispone di una superficie media di oltre 2 ettari, superiore ai valori di inizio anni Duemila, quando stava addirittura al di sotto di un ettaro.
I vinificatori, piccoli e grandi che siano, sono in numero inferiore: attualmente sono 152. Maggiore è il numero di coloro che imbottigliano vino Barbaresco e oscillano di anno in anno tra 185 e 200 aziende. Questo significa che la disponibilità media di bottiglie per ognuno di questi produttori è inferiore ai 25 mila pezzi. Anzi utilizzando il dato della produzione media degli ultimi 14 anni (4.608.415), la disponibilità media di prodotto da proporre al mercato oscilla tra 24.910 e 23.042 bottiglie.
In termini di mercato e di supporto promozionale all’identità del Barbaresco questo significa ancora un’altra cosa: ovvero che ci sono almeno 185-200 produttori che prendono sistematicamente le strade del mondo e vanno a valorizzare e commercializzare questo vino. Un potenziale di forze positive che si fanno paladine di questa piccola, ma straordinaria denominazione di origine.