Asti, figlio del Moscato e di una gran terra di colline

Una bella terra di colline nel triangolo tra Asti, Alba e Acqui Terme. Il timbro prezioso del Moscato e il regno del metodo Martinotti…

Giancarlo Montaldo Novembre 2020
Asti, figlio del Moscato e di una gran terra di colline

L’Asti non è solo un vino. È molto di più. È un universo di ambienti, situazioni e personaggi, che sa trasformare un’uva a suo modo semplice ma gustosa in un vino che unisce varie sensazioni di piena gradevolezza: i profumi aromatici che nascono dal frutto, la dolcezza dell’acino appena raccolto, la fragranza di un aroma che non è mai stucchevole, la gradazione alcolica mai esagerata e l’esuberanza di una spuma che invita al brindisi.

L’Asti non è nato ieri. Dietro a quel calice di bollicine e spuma c’è una storia fatta di tempo e di volontà. Il tempo è quello impiegato a diventare il vino di adesso; la volontà è quella dei viticoltori e cantinieri, che hanno lavorato per migliorare dovunque il comportamento di quest’uva.
Ciononostante, tutte le volte che si stappa una bottiglia di Asti si ha la sensazione che quel vino sia stato appena inventato, tant’è attuale il suo modo di essere, la sua gioiosità, quella ricchezza aromatica che cattura e quel sapore dicotomico che nasce dal contrasto tra la dolcezza e l’acidità.

Forse la sensazione di novità deriva dal fatto che il suo successo è relativamente recente, se pensiamo che sono stati gli anni Sessanta del Novecento, con la diffusione capillare del Metodo Martinotti e del suo recipiente prediletto, l’autoclave, a decretare il primato dell’Asti con una produzione e un mercato che hanno messo in fila decine di milioni di bottiglie.
Quello dell’Asti è stato anche un successo vorticoso, com’è nelle cose che capitano con repentinità.
È facile che in un percorso così rapido e forse nemmeno troppo sofferto non sempre sia stata seguita la strada maestra. D’altronde, la stessa composizione della filiera, con una segmentazione assai drastica tra chi coltiva la vigna e produce le uve e chi le vinifica e ne commercializza il vino, poteva far presagire alternanze di comportamenti e risultati.

Pochi sono in effetti, rispetto alla totalità dei viticoltori, i cosiddetti trasformatori artigiani, che in genere producono Moscato d’Asti. Ancora minore è il numero di quelli che, accanto al Moscato d’Asti, propongono anche l’Asti Spumante.
Sappiamo tutto questo. Il tempo e gli uomini daranno le loro risposte, correggendo i passi non efficaci. Oggi, vogliamo raccontare la realtà di un vino che nasce da una terra dai contorni speciali, recentemente riconosciuta anche Patrimonio dell’Umanità, da un vitigno dai toni originali e da un settore produttivo che fa leva sulla straordinaria intraprendenza dei viticoltori e sulla spiccata lungimiranza degli enologi e cantinieri.

All’origine grande terra di colline
Il triangolo territoriale tra Asti, Alba e Acqui Terme, con le colline ripide ed elevate, ha tra i suoi denominatori comuni la coltivazione della vite da vino e, in particolare, quella del Moscato per farne Asti e Moscato d’Asti.
Oggi, la sua zona di origine fa riferimento a 51 comuni di questo ambito territoriale, 50 dei quali alla destra del Tanaro e la sola Santa Vittoria d’Alba alla sinistra.
Ma non è stato sempre così. Nel passato la zona di coltivazione del Moscato era più ampia: nel 1895, infatti, secondo lo Strucchi e lo Zecchini, autori del volume “Il Moscato di Canelli”, i paesi interessati alla coltivazione del Moscato in Piemonte erano 56, di cui 44 nella provincia di Alessandria (9 paesi nel Circondario di Asti, 33 in quello di Acqui e 2 in quello di Alessandria) e 12 in quella di Cuneo (11 nel Circondario di Alba e 1 in quello di Saluzzo).

Ma allora non c’erano denominazioni di origine a declinare l’appartenenza dei vitigni ai vari territori. Il primo passo di tali interventi normativi è datato 1932, quando il Moscato d’Asti e l’Asti diventano “Vini Tipici di pregio”. L’allora zona di origine dell’Asti includeva 45 degli attuali comuni, ovvero 10 in provincia di Cuneo e 35 in quella di Alessandria (26 Asti e 9 Alessandria).
Nel 1967, al riconoscimento della Doc all’Asti e Moscato d’Asti, la zona di origine si è ampliata ad altri 4 comuni (Alba, Santa Vittoria d’Alba e Serralunga d’Alba in provincia di Cuneo e Rocchetta Palafea in quella di Asti). I comuni della zona sono saliti a 49.

Il numero di 52 comuni è raggiunto nel 1976, con la modifica del Disciplinare che aggiunge i paesi di Castino e Perletto in provincia di Cuneo e San Giorgio Scarampi in quella di Asti. Da quel momento i 52 comuni della zona di origine sono così ripartiti su base provinciale: 15 Cuneo, 28 Asti e 9 Alessandria. Recentemente, i paesi sono diventati 51 perché il comune di Camo si è aggregato a Santo Stefano Belbo.
Gran parte del territorio appartiene al sistema collinare tra Langhe e Monferrato posto alla destra del Tanaro: solo Santa Vittoria d’Alba è alla sinistra del fiume. La zona di origine è delimitata a nord per alcuni tratti dal fiume Tanaro e a sud-est dal Bormida di Spigno, mentre al suo interno è attraversata da altri corsi d’acqua: il Belbo, la Tinella, il Boglione e la Bormida di Millesimo.

Convivono in questa zona due sistemi collinari: uno fatto di colline allungate e ben elevate, fin oltre i 500 metri di altitudine, con valli strette e profonde e include la Langa albese, quella Astigiana e l’Alto Monferrato. Un secondo, composto da colline più tonde, dai fianchi morbidi e valli più ampie, fa riferimento al Monferrato astigiano e alla zona attorno ad Acqui Terme (Strevi e Cassine).
Dal punto di vista geologico, l’intera zona risale all’Era Terziaria e in particolare al Miocene. I terreni variano la loro composizione da collina a collina, con alcuni precisi riferimenti territoriali: i suoli di tipo Langhiano (marne biancastre calcaree) si trovano in prevalenza nella porzione di Langa albese e quelli di tipo Elveziano (depositi di conglomerati calcarei e sabbiosi) nella parte nord-orientale dell’Alto Monferrato.
Determinate è la componente climatica, capace di influenzare a fondo i caratteri dell’Asti, privilegiando le note fruttata, floreale e di fragranza rispetto alla struttura alcolica, alla grassezza e alla sapidità eccessiva. Un clima che, nonostante i recenti mutamenti, resta freddo-temperato e favorisce la resistenza al tempo e l’alternanza di qualità tra le annate. Non troverete mai un Asti con note esageratamente aromatiche al punto da essere stucchevoli. Nel calice avrete sempre un corredo olfattivo e sapido ispirato alla fragranza e all’armonia.

 

Il timbro prezioso del Moscato
Il Moscato bianco di Canelli, il vitigno dell’Asti, è l’erede di un’antica varietà di Moscato proveniente dalle coste orientali del Mediterraneo. Affascinante è il richiamo alle uve Apiciae di Catone o alle Apianae di Columella e Plinio. Certo, quello bianco di Canelli è una varietà a sé stante, che si è selezionata e diffusa sulle colline piemontesi. La storia ci ha regalato numerosi riferimenti, tra i quali citiamo gli Statuti di La Morra che lo segnalano nel 1511 e la richiesta del Duca di Mantova del 1597 che chiedeva alla comunità di Santo Stefano Belbo alcune talee di Moscato.
Quanto alle sue necessità ambientali, preferisce i suoli calcarei, le “terre bianche” frequenti sulle colline della zona dell’Asti. Non ha grandi esigenze in fatto di temperature attive. Anzi, ama le alternanze climatiche e gli sbalzi termici, in particolare nelle fasi finali del percorso viticolo.

Apprezza i versanti scoscesi dov’è spesso abbarbicato. Rispetto a varietà a lui vicine come il Nebbiolo, le sue piante hanno dimensioni ridotte e i suoi filari disegnano con ordine geometrico i fianchi collinari, seguendo i sistemi a cavalcapoggio, girapoggio o spina di pesce.
Tra le varietà della zona è una delle prime a maturare i grappoli, preceduta solo dai vitigni a bacca bianca o nera per gli spumanti Metodo Classico.
I Moscati si vendemmiano nella prima decade di settembre o qualche giorno successivo quando i suoi acini prendono una colorazione dorata, a volte tendente anche all’ambrato.
A fine vendemmia, nel cuore di ottobre, le vigne di Moscato appaiono come chiazze dorate in mezzo ai filari di altri vitigni e di altri colori.

Le vigne e le bottiglie, decenni di sviluppo
Con i dati ufficiali dell’Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte possiamo tracciare il quadro economico della realtà dell’Asti. Un quadro condiviso con il Moscato d’Asti. Nel 2019, la superficie vitata rivendicata era di 9.796 ettari e la produzione effettiva di 645.313 ettolitri: tradotta in bottiglie, circa 86 milioni di pezzi.
A fine 2019 il Consorzio dell’Asti ha diramato i dati di mercato: tra Asti e Moscato d’Asti circa 84.800.000 bottiglie: l’Asti continua a detenere il primato con 51 milioni e il Moscato d’Asti conferma il trend degli ultimi anni con 33 milioni di pezzi.
Se limitassimo l’analisi al solo 2019, le dinamiche tra produzione e mercato sono alla pari. Purtroppo, continuano a pesare sulla filiera le eccedenze degli anni passati che hanno generato giacenze pesanti: al 1° luglio 2020 superavano i 350.000 ettolitri, poco più del 50% di un’annata di produzione. Il controllo delle produzioni annuali, lo sviluppo dei mercati e le campagne di promozione potrebbero in pochi anni azzerare gli esuberi.

Ma non è sempre stato così. Anzi, fino agli anni Ottanta del Novecento i dati produttivi avevano valori ben inferiori. Alla fine del secolo XIX, la superficie coltivata a Moscato era stimata in 2.500 ettari, con la quota maggiore (1.880 ettari) in provincia di Alessandria e il resto (620 ettari) in quella di Cuneo.
Dal 1967 con la Doc la superficie vitata si è via via consolidata, facendo crescere soprattutto il vigneto a Moscato in provincia di Cuneo, che nel giro di pochi anni ne ha acquisito la maggioranza relativa (42-46% del totale).

Un ulteriore potenziamento si è avuto negli anni Sessanta e Settanta del Novecento: nel 1975, il potenziale viticolo ha raggiunto i 5.410 ettari.
Lo sviluppo definitivo è datato anni Ottanta, quando per la prima volta si sono superati i 9.000 ettari: il dato del 1985 parla, ad esempio, di 9.273 ettari. Periodo di consolidamento è stato il decennio degli anni Novanta, quando i 9.000 ettari diventano un dato consolidato. Emblematici sono i valori del 1995 (9.129 ettari) e del 1997 (9.342 ettari).
Da quel momento, la base produttiva non è più arretrata, sfiorando spesso i 10.000 ettari.
I dati della produzione seguono ovviamente l’evoluzione del vigneto. Poco significativa appare la stima della produzione a fine secolo XIX: non c’erano regole produttive, denominazioni e organismi consortili. Le stime per quegli anni danno un potenziale di 14.500.000 bottiglie.

I primi dati attendibili risalgono agli anni Settanta del Novecento quando la produzione oscilla tra 30 e 40 milioni di bottiglie. I dati annuali sono condizionati dalla crescita dei vigneti e dalla maggiore o minore fertilità dell’annata. Gli 80 milioni di bottiglie si raggiungono negli anni Ottanta, quando si fa strada la dicotomia tra Asti Spumante e Moscato d’Asti. Mentre le bottiglie di Asti sfiorano gli 80 milioni di pezzi, quelle del Moscato d’Asti si accontentano di poche centinaia di migliaia, con il fenomeno dei piccoli produttori artigiani che inizia il suo cammino.
La situazione si consolida negli anni Novanta: se l’Asti segnala livelli produttivi influenzati soprattutto dalla fertilità dell’annata e dalla vivacità dei mercati, attestandosi in prevalenza tra 75 e 80 milioni di bottiglie, la corsa del Moscato d’Asti anno dopo anno accelera pur senza raggiungere volumi esorbitanti: in questo decennio, passa dai 2 ai 5 milioni di pezzi.

Con gli anni Duemila, la dinamica tra Asti e Moscato d’Asti subisce un’inversione di tendenza, con il graduale decremento dei numeri di bottiglie del primo e l’aumento del secondo.
L’avvio dello sviluppo del Moscato d’Asti risale agli anni tra il 2003 e il 2006, con i balzi più forti verificatesi dal 2007 in poi: dai 7 milioni di bottiglie dei 2003 si è arrivati nel 2019 a superare i 33 milioni di pezzi. Il contemporaneo regresso dell’Asti ha determinato il passaggio dai 68,5 milioni del 2003 ai 51 milioni del 2019.

Le regole produttive
Dopo l’esperienza dell’Asti come “Vino tipico” negli anni Trenta del Novecento, il vero cambio di passo è avvenuto prima con il riconoscimento all’Asti della Doc (9 luglio 1967) e poi con quello della Docg (29 novembre 1993).
Oggi, le tipologie previste sono quattro: Asti Spumante, Asti Spumante Metodo Classico, Moscato d’Asti e Moscato d’Asti Vendemmia Tardiva. Nella zona d’origine – come visto formata di 51 comuni tra le province di Cuneo, Asti e Alessandria – nel 2011 sono state definite tre Sottozone: Santa Vittoria d’Alba (1 solo comune), Canelli (22 comuni) e Strevi (9 paesi).
La resa massima a ettaro è stabilita in 10.000 chilogrammi di uva per Asti e Moscato d’Asti, mentre per il Moscato d’Asti Vendemmia Tardiva in 6.000 chilogrammi. La resa dell’uva in vino è del 75% per Asti e Moscato d’Asti e del 50% per la Vendemmia Tardiva.

Ogni anno, però, la filiera può fissare una resa a ettaro inferiore o superiore in base all’andamento climatico e alle condizioni di mercato. In aumento può crescere solo fino al 20% del massimale.
La durata della fermentazione in autoclave con il Metodo Martinotti non dev’essere inferiore a 1 mese, mentre quella in bottiglia per il Metodo Classico deve protrarsi per almeno 9 mesi.
Si può riportare in etichetta il riferimento “Vigna” con il toponimo o nome tradizionale sia per Asti che Moscato d’Asti e la Vendemmia Tardiva, rispettando le regole specifiche.

Per quanto concerne le tre Sottozone, un discorso a parte merita “Canelli”: dal suo inserimento in disciplinare è riservata alla produzione di Moscato d’Asti. Al fondo ci sono ulteriori note.
La Sottozona “Santa Vittoria d’Alba” è a disposizione di tutte le tipologie della denominazione, dall’Asti fino al Moscato d’Asti Vendemmia Tardiva. Per Asti e Moscato d’Asti la resa massima per ettaro è di 9.500 chilogrammi e il rendimento da uva a vino del 75%; per la Vendemmia Tardiva la resa non deve superare i 5.000 chilogrammi, con un rendimento alla trasformazione del 45%. Per questo vino è fissato il periodo di maturazione di 2 anni dal 1° gennaio dopo la vendemmia.

La Sottozona “Strevi” è limitata a tre tipologie, i due Asti e il Moscato d’Asti. La Vendemmia Tardiva è esclusa in quanto per tale tipologia esiste una Doc specifica. La produzione massima a ettaro è fissata in 9.500 chilogrammi di uva con la resa uva-vino del 75%.

Le varie declinazioni dell’Asti
Risale al 2015 il progetto che il Consorzio dell’Asti ha messo in atto per dare ulteriori opportunità di sviluppo alle potenzialità produttive dell’uva Moscato. L’idea era ed è quella di affiancare alla tipologia originale, che rimarrà sempre il core business della filiera, una serie di altre soluzioni produttive con riferimento stretto al residuo zuccherino e quindi alla generale classificazione degli spumanti.
Il progetto è stato frettolosamente sintetizzato come “Asti Secco”, mentre l’obiettivo era quello di mettere a disposizione della filiera varie ipotesi produttive con un residuo minore di zuccheri. Dal punto di vista tecnico, il lavoro dello staff del Consorzio e del Prof. Rocco Di Stefano ha portato alla definizione di un protocollo di lavoro per realizzare vari Asti “meno dolci”, ma sempre di intensa e spiccata gradevolezza.


Il nuovo disciplinare

Nel 2017 c’è stata la integrazione del disciplinare con la correzione degli articoli 6 e 7. Nel primo è cambiata la gradazione alcolica complessiva: almeno 11,5 gradi (nel Metodo Classico 12,0 gradi) con l’alcool svolto non inferiore a 6% Vol. Nel secondo si sono state incluse tre nuove tipologie:

Extra dry con residuo zuccherino compreso tra 12 e 17 g/l;
Dry – Secco con residuo zuccherino compreso tra 17 e 32 g/l;
Demi sec con residuo zuccherino compreso tra 32 e 50 g/l.

Nel 2020, il progetto si è ancora arricchito con tre ulteriori tipologie:

Pas dosé o Dosaggio zero con residuo zuccherino inferiore a 3 g/l;
Extra brut con residuo zuccherino inferiore o uguale a 6 g/l;
Brut con residuo zuccherino inferiore a 12 g/l.

Resta, naturalmente, la tipologia Dolce quando il residuo zuccherino è superiore a 50 g/l.
Le opportunità di lavoro e di produzione per il mondo dell’Asti diventano molteplici e possono coinvolgere non solo i grandi gruppi che producono e commercializzano la quota maggiore di questo vino, ma anche i produttori piccoli e medi, che potrebbero trovare in questo ventaglio di interpretazioni lo stimolo a dedicare la loro attenzione all’Asti per favorire l’ampliamento dei mercati e nuove occasioni di consumo.


Il progetto Canelli Docg

L’abbinamento esclusivo tra la Sottozona “Canelli” e il Moscato d’Asti deriva dal fatto che da tempo si sta lavorando per trasformare tale “Sottozona” in uno specifico vino Docg.
Il cammino di questo progetto è iniziato il 15 aprile 2019 con il varo del Disciplinare della nuova Canelli Docg o Canelli Docg Moscato che avrà quattro tipologie: Canelli e Canelli con indicazione di Vigna, Canelli Riserva e Canelli Riserva con indicazione di Vigna.

La zona di origine occupa 17 paesi, dei quali 11 in provincia di Asti (Calamandrana, Calosso, Canelli, Cassinasco e Coazzolo per intero e Bubbio, Castagnole Lanze, Costigliole d’Asti, Loazzolo, Moasca e San Marzano Oliveto solo in parte) e 6 in provincia di Cuneo (Castiglione Tinella e S. Stefano Belbo per intero e Cossano Belbo, Neive, Neviglie e Mango solo in parte). Nella zona di origine non sono stati inclusi i paesi legati all’omonima Sottozona della Docg Asti i cui produttori non l’avevano mai rivendicata.
Le rese a ettaro sono di 9,500 chilogrammi per il Canelli e il Canelli Riserva e 8.500 chilogrammi per le tipologie con indicazione della Vigna. Di estremo interesse sono le due tipologie “Riserva”, i cui vini potranno essere immessi al consumo non prima di 30 mesi di invecchiamento di cui almeno 20 mesi di affinamento in bottiglia. L’ufficialità della nuova Docg è prevista nel 2021.

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