È tempo di bilanci per la quinta edizione de La Prima dell’Alta Langa, la manifestazione appena conclusasi e e organizzata dal Consorzio Alta Langa presso la Reggia di Venaria Reale a Torino che ha visto la presenza di duemila persone accreditate per degustare più di 140 diverse cuvée presentate da sessanta produttori. La denominazione Alta Langa DOCG, nata nel 2011, attualmente viene rivendicata su quasi 400 ettari di vigneto per una produzione totale di circa 3 milioni di bottiglie.
In degustazione erano presenti sia le annate più giovani, la 2019 è l’ultima in commercio, che quelle più datate, alcune delle quali prevedono soste sui lieviti superiori ai dieci anni.Un panorama variegato e complesso, dunque.
Due i vitigni utilizzati: Pinot nero e Chardonnay. La maggioranza dei vini prevede l’assemblaggio delle due varietà con una prevalenza del Pinot nero (normalmente tra il 70 e l’80%). Relativamente poche le versioni in purezza e, tra queste, abbastanza rari i Blanc de Blanc.
Gli Alta Langa 2019 (è di almeno di 30 mesi il limite minimo di permanenza sui lieviti previsto dal disciplinare) scontano ovviamente la recente sboccatura che li rende non totalmente integrati nelle componenti acide e fruttate; sono prodotti non ancora all’apice delle loro possibilità che, certamente, si gioveranno di qualche altro mese in bottiglia.
L’annata 2018, di contro, presenta una maggiore eleganza e finezza e, a parità di sosta sui lieviti, l’anno in più di affinamento ha indubbiamente apportato maggiore armonia.
Un discorso a parte lo giocano i prodotti con lunghissime soste sui lieviti, oltre i 120 mesi. Sono prodotti di estrema complessità ed eleganza che riescono a trasmettere sensazioni tali da essere facilmente paragonabili ad alcune tra le migliori bollicine al mondo.
Una denominazione in grande crescita, non solo nei volumi, che ha saputo trovare un’identità propria nel panorama della spumantistica italiana, identità fatta di purezza e di sentori precisi, asciutti e senza sbavature, con un uso moderato della componente zuccherina.
Per lo più l’attenzione dei produttori è volta a non lasciarsi trasportare dalla voglia di fare un prodotto di apparente maggiore godibilità con un residuo zuccherino che, seppure limitato nei grammi, sia tale da determinare un allargamento del sorso a svantaggio della verticalità. Anche la presenza dello chardonnay deve essere calibrata opportunamente per evitare che i sentori fruttati (frutta gialla e tropicale) tipici della varietà risultino prevaricanti rispetto alla finezza olfattiva del pinot nero.
(Paolo Valente)