“Invest in our planet” è il titolo della 52° edizione della Giornata mondiale della Terra. Istituita dall’ONU il 22 aprile 1970, è senza dubbio alcuno la manifestazione ambientale più importante per il nostro pianeta, creata allo scopo di sottolineare la necessità di tutelare le sempre più ridotte risorse naturali.
Si tratta, dunque, di un compleanno prezioso – ancorché simbolico – che alla base si pone l’obiettivo di ricordare che acqua, aria, terra (intesa come suolo, territorio e paesaggio) e fuoco (secondo la moderna accezione di calore ed energia) continuano ad essere gli elementi primari per la vita corretta dell’umanità all’interno di un pianeta non infinito nelle sue risorse essenziali. Elementi che rappresentavano la vita o la morte per i nostri antenati delle caverne e principi fondamentali di ognuna delle dottrine filosofiche e religiose. Purtroppo dimenticate o trascurate dall’homo sapiens nel corso della sua evoluzione.
In particolare anche il 22 aprile (ma non solo – lo auspichiamo – il 22 aprile…) centrale resta l’attenzione rivolta al suolo: una risorsa non rinnovabile che regola i principali processi ambientali e contribuisce a contrastare il cambiamento climatico.
Dopo anni di “ebbrezza” urbanistica che aveva trasformato il suolo libero e quello agricolo in puri spazi da occupare per finalità edilizie, da tempo assistiamo a un fenomeno di “ritorno” con aziende agricole che rinunciano ai facili guadagni derivanti della vendita di terreni ascritti nei Piani Regolatori a nuove espansioni costruttive per salvaguardare le superfici fertili essenziali per le loro attività.
Ma il dibattito sulla “custodia” del suolo ha molti altri risvolti che toccano anche lo sviluppo delle energie prodotte da fonti rinnovabili: Coldiretti Giovani Impresa lo scorso anno ha lanciato una petizione contro i pannelli solari a terra per promuovere, invece, il fotovoltaico ecosostenibile sui tetti di stalle, cascine, magazzini, fienili. Un “Sì all’energia rinnovabile, ma senza consumo di suolo agricolo” molto chiaro.
Ma quanto costa a una comunità rinunciare a un ettaro di suolo libero, impermeabilizzandolo? E’ una domanda che il Forum Salviamo il Paesaggio (una Rete civica nazionale formata da oltre mille organizzazioni e decine di migliaia di singole persone aderenti) si è posta prima di promuovere una campagna rivolta ad ogni consiglio comunale per chiedere di inserire questo dato nei propri bilanci ambientali. Facendo riferimento alle cifre indicate dall’ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale nel suo “Rapporto sul consumo di suolo 2021” e alle risultanze del team del Politecnico di Milano guidato dal prof. Paolo Pileri, il Forum ha evidenziato il danno che subisce ogni comunità dalla perdita di suolo. Un costo valutato non solo sotto l’abituale profilo ecosistemico, ma anche finanziario: tra 66.000 e 81.000€ a ettaro per il flusso di servizio che il suolo non sarà più in grado di assicurare e tra 23.000 e 28.000€ a ettaro per lo stock di risorsa perduta. Complessivamente, quindi, tra 89.000 e 109.000€ l’anno per ciascun ettaro di terreno libero che viene impermeabilizzato. Ogni anno. ISPRA non è un’associazione ambientalista (quindi passibile di “faziosità”) ma è un istituto scientifico di ricerca dello Stato, cui spetta monitorare la “salute” delle risorse naturali del nostro Paese.
Più che mai, la “terra” e la “Terra” hanno bisogno delle nostre attenzioni!
Alessandro Mortarino